I giardini d’Italia (1904) di Luigi Paolucci. Edizione, studio e commento.

Parte I: “Quel supremo ornamento”

Luca Di Gioia

luca.digioia3@studio.unibo.it

/ Abstract

L’anconetano Luigi Paolucci (1849–1935) incarna un modello di studioso e naturalista reso possibile dalla stagione intellettuale che caratterizzò l’Italia del secondo Ottocento. Raccogliere e catalogare in un museo a carattere regionale la natura e i suoi “reperti”, collocati questi secondo il loro esatto stadio tassonomico, rappresentò per il Paolucci la volontà di dare concreta sostanza ad un Paese che, sconosciuto anzitutto a sé stesso, doveva cominciare a rappresentarsi come Uno. I giardini d’Italia, opera datata al 1904 ma mai sinora pubblicata, è un lungo excursus che, prendendo eloquentemente le mosse dai giardini romani, s’allunga sino a raggiungere le soglie del XX secolo, dove il “sogno del microcosmo” (per usare una formula di Pierre Grimal), nelle mani dei giardinieri, è divenuto il delirio del macrocosmo, in cui si sono perdute le origini e dove il naturale si confonde con l’ibrido: è esattamente da questo disordine, da questa “confusione”, che il Paolucci muove. Ricollocare nelle loro famiglie naturali le piante da giardino e da parco che ornano il suolo italico equivale per il naturalista non solo ad un dovere morale, come fu per Linneo (suo dichiarato modello, al pari di Darwin), ma ad una nuova pretesa di possesso sul mondo.

Luigi Paolucci from Ancona (1849–1935) embodies an ideal model of the scholar and naturalist made possible by the intellectual atmosphere in late 19th–century Italy. Gathering and cataloging nature and its “specimens” in a regional museum, placing them according to their precise taxonomic method, inspired Paolucci to give tangible substance to a country that, unknown primarily to itself, had to begin to see itself as one. “The Gardens of Italy”, a work dated 1904 but never published until now, is a lengthy exploration that eloquently starts from Roman gardens, extending to reach the threshold of the 20th century, where the “dream of the microcosm” (to use a phrase by Pierre Grimal), in the hands of gardeners, has become the delirium of the macrocosm, where origins have been lost and where the natural blends with the hybrid: it is precisely from this disorder, from this “confusion”, that Paolucci sets out. Reassigning garden and park plants that adorn the Italian soil to their natural families is, for the naturalist, not only a moral duty, as it was for Linnaeus (his role model, along with Darwin), but also a new claim of ownership over the world.

/ Keywords

Italian Risorgimento; History of gardening; Ornamental plants.

C’è chi lascia un poema

e chi non lascia niente

perché esse muto è ’l tema

de vive, in tanta gente.

Però te m’hai ingannato,

vechio, e pe’ non morì

muto com’eri stato,

m’hai lasciato un giardì.

Franco Scataglini, M’hai lasciato un giardì

1. Introduzione

1.1 L’incanto e il disincanto

V’è una sentenza di Ennio Flaiano (1910–1972) secondo cui “[q]uando la scienza avrà messo tutto in ordine, toccherà ai poeti mischiare daccapo le carte”.1 Nel suo incoraggiamento a vedere al di là del telescopio di Galileo, come fece Dante (sic), v’è un atteggiamento che Raimondi chiama, con grande consapevolezza, “umanesimo conservatore”,2 incapace per ferma volontà di superare quella dicotomia che, dai tempi di Platone, vede opporsi poesia e pensiero, scientia e sapientia, “nei termini irriducibili dell’idealismo crociano”3 il quale, correva l’anno 1907, nel condannare il verismo e i suoi paradigmi, così sentenziò: “[l]a scienza e l’arte sono inconciliabili, non perché avverse, ma perché diverse”.4 In questa cosmogonia: “[i]l poeta sarebbe appunto colui che in quanto esprime un’immagine dell’esperienza umana muove sempre dalla fede nella dignità della vita e dell’uomo, mentre la scienza, condizionando ancora di più il suo campo immaginativo, vanifica irrimediabilmente l’ipotesi esistenziale di un universo antropocentrico, simbolico e tolemaico”.5

Vi sarebbe dunque, per i poeti, un mistero da proteggere, che è quello del tutto, in cui si custodisce il senso irriducibile dell’umano, che con ogni mezzo, delegando da ogni morale, la scienza tenta da secoli di profanare, di ordinare, e dunque di assoggettare. Quando il poeta fallisce, e la scienza avanza portando con sé il suo “universo di morte” (Wordsworth, Ballate liriche, 1979), ecco l’uomo svanire, farsi essere minuto in un mondo espresso in un linguaggio a lui incomprensibile, spogliato di bellezza, ingabbiato in una formula. È il regno della non poesia, per usare la nota formula di Croce.

Non è però allo sguardo mediato dalle lenti del telescopio di Galileo che può imputarsi il disincanto del mondo.6 I caratteri che comunemente si attribuiscono alla scienza – esattezza assoluta, acronia, eclissi del soggetto, isolamento dell’oggetto indagato ecc. – sono da tempo stati smascherati come “idoli” (è stato Popper,7 sulla scorta di Bacone, a dar loro tale statuto). È ora possibile sostenere senza remore che “anche la scienza si vale dell’immaginazione e si muove secondo una sua estetica […] ha le sue scuole, i suoi ‘generi’, i suoi ‘movimenti’, le sue mode”.8

Non è nei presupposti epistemologici di questo elaborato negare a letteratura e scienza due diversi statuti e linguaggi; quel che qui s’intende provare è che esse non sono però inconciliabili, e men che meno in lotta, anzi: “le scoperte della scienza raggiungono il loro compimento nel vero della poesia, nella sua percezione interna degli oggetti, che coinvolge tutto l’uomo e si radica nel profondo della sua esperienza esistenziale”.9 Se s’intende assegnare alla letteratura una funzione gnoseologica di analisi del reale nella sfera del possibile, capace dunque non solamente di delectare, non è possibile separare i due poli che esse rappresentano, pena il dannoso arrestarsi di quel processo d’avanzamento noto col nome di conoscenza.

Tra quello del poeta e quello del naturalista v’è un discorso intermedio, com’è intermedio ogni paesaggio, che è possibile esprimere nei termini di una contemporanea equidistanza dal vero e dall’analogico, ricondotti questi ad uno stesso principio generatore di rigore ed esattezza sul modello dell’immaginazione pura. Letteratura e scienza, “alla luce della teoria einsteiniana e del suo postulato di un osservatore sempre interno al campo, appaiono i due momenti di una stessa ricerca gnoseologica”,10 mossi da una comune volontà di conoscenza in cui non è possibile separare il dominio del razionale da quello dell’irrazionale poiché non v’è che un’unica dimensione che li concepisce compresenti.11

Riconoscendo alle due discipline statuti e linguaggi diversi ci si tutela da ogni atteggiamento di enfasi declamatoria, di pedante ossequio, ponendosi così alla giusta distanza per poter cogliere usi e riusi, sincrasi e idiosincrasie, accogliendo così la proposta popperiana di un metodo a congetture e confutazioni che possa abolire l’aut aut di una lettura del fenomeno umano separata da un’analisi del fenomeno naturale,12 facendo così della scienza un campo della storia, una parte della letteratura.13

È infatti solamente nella polisemia dell’arte che i due linguaggi possono realizzarsi in un ferace binomio, capace di dar luogo a convergenze che: “consistono nella correlazione della forza immaginativa della letteratura con la logica preesistente dei suoi paradigmi, nella riduzione problematica del soggetto attraverso la scomposizione psicologica dei modelli rappresentati e nel dislocarsi del linguaggio dall’ambito di una descrittiva storica a nuova scienza analitica e fenomenologica […]”.14

2. Luigi Paolucci: profilo biografico

2.1 Una targa in via Indipendenza

Al numero 3 di via Indipendenza una targa in marmo, apposta dal Comune di Ancona nel novembre 2010, “a 75 anni dalla morte”, rende omaggio al prof. Luigi Paolucci, celebrato come “il più grande naturalista anconetano”.

Luigi Paolucci (Fig. 1) nacque ad Ancona il 23 marzo 1849 da famiglia borghese; “il padre veterinario anche lui ed appassionato naturalista”15 lo indirizzò nel 1861, all’indomani dell’Unità d’Italia, verso gli studi tecnici: Luigi aveva 12 anni quando fece il suo ingresso nel recentemente inaugurato Regio Istituto Tecnico e Nautico di Ancona16 dove, sin dagli esordi, palesò un notevole interesse per le scienze e le tecniche, colonne portanti dell’allora neonata nazione, che si voleva rappresentare laica e liberale.

Fig. 1. Il prof. Luigi Paolucci, 1898, Biblioteca storica di medicina e botanica Vincenzo Pinali e Giovanni Marsili, Università degli Studi di Padova, IB.FF.3.

Studente diligente e preparato (come documentano i numerosi premi ottenuti dal Municipio di Ancona negli anni 1865–1866),17 il Paolucci proseguì i propri studi presso la Scuola Provinciale di Veterinaria, dove divenne assistente del prof. Francesco De Bosis (1832–1883)18 (“posto riservato a quei giovani allievi che maggiormente si distinguono negli studi”19 nelle parole del docente stesso), allora alle prese con il progetto di un gabinetto di scienze naturali, il quale divenne poi, alla morte del professore, la principale occupazione del Paolucci dopo la laurea in Medicina veterinaria ottenuta a pieni voti nel 1870 presso l’ateneo bolognese.

Il progetto del De Bosis divenne ancor più ambizioso sotto l’egida del Paolucci, che lo fece proprio, tornando nel 1875 alla Scuola di Veterinaria nelle vesti di docente di Scienze naturali. Lo scopo divenne allora quello di predisporre un museo regionale di storia naturale, ampliandone le collezioni con i reperti che egli stesso andava raccogliendo nel corso di numerose esplorazioni condotte dal 1873 sino agli esordi del secolo venturo, e culminate nella pubblicazione di numerosi saggi di botanica, zoologia, paleontologia e mineralogia (come l’ancora insuperata Flora marchigiana, Le piante fossili dei gessi di Ancona, I funghi mangerecci, Le pescagioni della zona italiana del medio Adriatico ecc.).

L’idea di raccogliere in un museo i vari aspetti salienti della natura regionale rappresentava per il Paolucci la volontà di dare concreta sostanza ad un paese che, sconosciuto anzitutto a sé stesso, doveva cominciare a rappresentarsi come uno:20 indispensabile allo scopo diventava dunque raccogliere le fonti della ricerca e dello studio nei più diversi campi d’indagine, dall’arte alle scienze naturali. Come aveva infatti lamentato uno studioso della portata di Auguste De La Rive (1801–1873) durante la Seconda riunione degli scienziati italiani tenutasi a Torino nel 1840, la divisione della penisola in tanti Stati isolati rappresentava il più grande ostacolo per lo sviluppo della scienza nazionale italiana.21

È in questo scenario che si colloca la fondazione, avvenuta nel 1782 ad opera del veronese Anton Mario Lorgna (1735–1796), della Società italiana delle scienze (poi comunemente detta dei XL, dal numero dei suoi membri: quaranta per l’appunto). Nello stesso anno Lorgna pubblicò il primo numero delle Memorie accademiche, nella cui prefazione si legge: “lo svantaggio dell’Italia è l’avere ella le sue forze disunite” e che, per unirle, bisognava cominciare ad “associare le cognizioni e l’opera di tanti illustri italiani separati”.22

Il successo della Società, che nel giro di pochi anni venne considerata come la sola rappresentante della scienza italiana, documenta in maniera inequivocabile la volontà di valorizzazione della scienza nazionale, quadro in cui il Paolucci può esemplarmente essere collocato e il cui lavoro può essere letto: il suo studio non solamente incarna i valori risorgimentali ma se ne fa vessillo e portavoce.

Animati in quegli anni dagli stessi intenti furono il botanico e micologo Pier Andrea Saccardo (1845–1920),23 il quale nel 1864 diede alle stampe un Prospetto della Flora Trevigiana (Venezia, Antonelli) che si estese negli anni a seguire in un ambizioso progetto di catalogazione di tutte le specie fungine allora conosciute (erano all’incirca 70 mila), progetto che si realizzò nella pubblicazione in ben 25 volumi della Sylloge fungorum omnium hucusque cognitorum (Padova, 1882–1913) e il chimico e botanico Antonio Targioni Tozzetti (1785–1856),24 il quale, seguendo in ciò le orme del padre, dal 1821 gli si accostò nella direzione del Giardino dei Semplici di Firenze di cui nel 1841 realizzò un catalogo.25 Lo stesso Orazio Comes (1848–1917),26 dichiarata fonte del Paolucci soprattutto per quanto concerne i suoi studi sui dipinti pompeiani, con l’opera su I funghi del Napoletano (Napoli, 1878) si può ascrivere al medesimo clima di fermento che caratterizzò in quegli anni.

Sullo stesso sfondo si possono collocare, come conseguenza delle spoliazioni napoleoniche,27 voracemente mosse dal desiderio di radunare a Parigi il meglio dell’arte europea, la fondazione del museo archeologico e dell’archivio di Stato (ambedue datate al 1863) nati allo scopo di conservare, proteggere e rendere accessibili agli studiosi le fonti marchigiane di maggior pregio.

Come sottolinea Mangani nel presentare al pubblico il museo di scienze naturali “Luigi Paolucci”: “[l]a «collezione», come il museo, dovevano dare infatti agli studiosi la possibilità di rappresentare, secondo un ordine didatticamente utile, le fasi storico-genetiche del fenomeno studiato e, in questo modo, ripristinando in laboratorio una natura sistematizzata ed ordinata, ne avrebbero permesso lo studio organico e comparativo. Questo atteggiamento svolgeva anche una funzione vicaria dell’esperimento: il museo era diventato il tempio della nuova scienza sperimentale [corsivo aggiunto]”.28

Nella seconda metà dell’Ottocento i paradigmi del collezionismo naturalistico mutarono sensibilmente, anche in virtù dello sviluppo di nuove discipline fondate sullo studio e l’analisi dei “reperti” della natura (si prenda ad esempio la paleontologia) che andavano ricollocati, in questo laboratorio-museo, secondo il loro esatto stadio tassonomico. Viaggiare per collezionare, dunque, e collezionare per ordinare secondo una duplice prassi che per il Paolucci sarà determinante: quella linneiana e, soprattutto quella darwiniana.

2.2 Nel nome di Carlo (Paolucci, Linneo e Darwin)

Luigi Paolucci aveva dieci anni quando Charles Darwin (1809–1882) diede alle stampe l’opera On the Origin of Species [L’origine delle specie] (1859); diciassette l’anno in cui Gregor Mendel (1822–1884) presentò la sua memoria sui Versuche über Pflanzen-Hybriden [Esperimenti sull’ibridazione delle piante] (1865) alla Società dei naturalisti di Brünn (oggi Brno) e aveva già pubblicato numerosi saggi quando, agli esordi del Novecento, Hugo De Vries (1848–1935), Carl Correns (1864–1933) ed Erich von Tschermak (1871–1962) riscoprirono i Versuche mendeliani e la biologia acquisì il carattere di scienza sperimentale quantitativa.29

È questo il fecondo clima intellettuale in cui il Paolucci si forma. La lettura delle carte conservate presso il fondo Luigi e Carlo Paolucci ne documenta l’importanza: sono numerosi gli interessi che hanno caratterizzato la produzione del Paolucci, dalla linguistica alle scienze naturali, tutti accomunati però da un minimo comune denominatore.

Per cercare di comprenderne la natura occorre andare alla data del 25 febbraio 1884. Quel giorno: “[p]ochi momenti fa, cioè alle ore 7 e 37 minuti di questa sera, è nato un figlio maschio che fin da questo punto chiameremo Carlo, in onore e memoria dei due più grandi naturalisti: Linneo e Darwin che ebbero lo stesso nome”.

È con queste parole che s’apre Rose e Spine, cronaca e diario manoscritto30 dei primi otto anni di Carlo, sulle cui spalle pesa – sin dalla sua comparsa nel mondo – un pesante fardello. Non sorprenda, di conseguenza, che lo stesso Carlo conseguì la laurea in Scienze naturali, presumibilmente a Roma, seguendo in ciò le orme del padre.31

La nomea di “secondo Adamo” data a Carl von Linné (1707–1778)32 da Albrecht von Haller (1708–1777)33 dopo la pubblicazione del suo Systema naturae (1735) tanto ci dice dello stato informe e disordinato in cui versava, agli inizi del Settecento, una mole di dati naturali tanto ingente quanto mancante di un vero e proprio ordinamento sistematico.

Quando, nel 1735, fece la sua comparsa la prima edizione del Systema naturae la botanica era allora in uno “stato caotico”.34 Prima di Linneo le piante venivano catalogate con un’espressione detta “designazione diagnostica”, per analogia con talune procedure mediche. La diagnosi consisteva in una lunga sequenza di termini – in taluni casi anche quindici – che corrispondeva quasi alla descrizione completa dell’esemplare. Linneo, preceduto solamente da pochi – come, ad esempio, il medico e botanico Augustus Quirinus Rivinus (1652–1723) –, ne prese aspramente le distanze, proponendo – ed in ciò fu il primo – una valida soluzione ai consueti esercizi di mnemonica cui i botanici erano allora obbligati. Questa consisteva nel sostituire alla lunga diagnosi un’agile coppia di termini, richiamando dapprima il genere d’appartenenza dell’esemplare quindi la specie. La nomenclatura binaria, coi suoi indubbi ed innegabili vantaggi, venne acclamata come la “lingua comune” che ancora mancava alle scienze naturali.

Fondata sull’individuazione di cinque categorie (la varietà, la specie, il genere, l’ordine e la classe), il sistema linneiano è basato su di un metodo meramente “naturale”, ispirato cioè ad un rigidissimo principio di subordinazione dei caratteri. Questo consiste nel considerare come secondari i caratteri ambientali e comportamentali e come primari una piccola parte dei caratteri morfologici e anatomici dell’esemplare.

Il Paolucci, adottando questo modo d’intendere e vedere la natura, ne renderà omaggio all’autore all’interno del suo saggio su Le piante fossili dei gessi di Ancona (Ancona: Morelli, 1896, pp. X– XI): “[n]oi sappiamo come nella istituzione della specie sia indispensabile imporsi dei limiti nella valutazione dei caratteri differenziali, per non raggiungere i deliri di certi micromorfomani che, centuplicando i nomi della sistematica, col disconoscere tutto il grande e sapiente valore della scuola linneiana, condussero la storia naturale in un labirinto spesso inutile nonchè dannoso alla scienza”.35

Nel 1751 Linneo pubblicò un testo di fondamentale importanza: la Philosophia botanica, il quale si può “leggere come un libro delle leggi”36 e con la cui pubblicazione “chiuse un’epoca, organizzandone le conoscenze, per aprirne lui stesso, inconsapevolmente, una nuova”.37 Fa la sua comparsa in queste pagine la celebre sentenza secondo cui “species tot sunt, quot diversas formas ab initio produxit infinitum Ens”. Nulla poté provare la nascente disciplina paleontologica:38 per il naturalista svedese la natura era incontestabilmente immobile; così come fu creata, così ancora la si poteva osservare.39 Su questo terreno, com’è noto, nacque e si combatté la lunga contesa con il naturalista George-Louis Leclerc de Buffon (1707–1788), pubblicamente inaugurata nel 1744, quando questi presentò dinnanzi all’Académie des sciences l’abbozzo40 di quella che sarebbe poi divenuta, nel 1749, la sua monumentale Histoire naturelle.

Se per Linneo la natura è ordinata per il fatto stesso di essere opera di Dio,41 che nel crearla ha indubbiamente operato secondo un piano coerente e omogeneo, per il Paolucci, a distanza di un secolo, questa tesi è irrimediabilmente compromessa, inaccettabile nella sua preponderante componente meta-sensibile. A separare i due fu una stupefacente coincidenza:42 la pubblicazione, avvenuta nel 1859, dell’Origin of Species ad opera del naturalista inglese Charles Darwin. L’opera fu resa disponibile ai lettori italiani nel 1864 (Modena: Zanichelli),43 quando il Paolucci aveva appena quindici anni.

Nell’opera che lo rese celebre, perlomeno all’interno della sua terra natale, la Flora marchigiana (Pesaro: Federici, 1890, p. X), il Paolucci dichiara sin dagli esordi che “[i]l metodo naturale che ho scelto per le divisioni fondamentali è informato ai principî del moderno evoluzionismo [corsivo aggiunto]”. Pochi anni prima, nel 1878, il Paolucci aveva dato alle stampe un testo che, collocando il suo autore ben al di là del mero contesto provinciale, rivelava sin dal nome il suo carattere moderno (nel senso cui supra): Il canto degli uccelli. Note di fisiologia e biologia zoologica in rapporto alla scelta sessuale e alla lotta per l’esistenza (Milano: Bernardoni, 1878).

In questo saggio il Paolucci applica, in maniera assai originale, i dettami darwiniani all’analisi del canto degli uccelli da lui studiati direttamente sul campo, sul suo amato monte Conero. È qui avanzata dal naturalista anconetano una tesi che pone in diretto collegamento gli organi funzionali dei volatili con il suono da loro emesso, ed il fenomeno – secondo quanto appreso dalla lettura dell’Origin – muterebbero col mutare delle condizioni ambientali, in maniera del tutto analoga con quanto accadrebbe nell’essere umano. Come espone Darwin: “la variabilità è generalmente in rapporto con le condizioni d’esistenza a cui ciascuna specie è stata esposta per diverse successive generazioni […] In tutti i casi vi sono due fattori, la natura dell’organismo, che è il più importante dei due, e la natura delle condizioni. […] In un certo senso si può dire che le condizioni d’esistenza non solo causano la variabilità, o direttamente o indirettamente, ma includono anche la selezione naturale, poiché le condizioni determinano se questa o quella varietà sopravviverà”.44

A fondamento della sua tesi il Paolucci pone quello che qui chiama principio di differenziazione, secondo il quale vi sarebbe una scala di progresso, di specializzazione, degli organi fonatori che appare e si rende nota man mano che si procede lungo la catena zoologica, dalle specie più remote a quelle più recenti. Tornando a Darwin: “la selezione naturale agisce esclusivamente per mezzo della conservazione e accumulazione delle variazioni che sono utili nelle condizioni organiche e inorganiche alle quali ciascuna creatura è esposta in tutti i periodi della sua esistenza. Ciò comporta che ciascuna creatura tende a divenire sempre più migliorata in relazione alle sue condizioni. Questo miglioramento inevitabilmente conduce ad un graduale progresso nell’organizzazione del più grande numero di esseri viventi nel mondo”.45

A questo principio il Paolucci ne assomma un secondo, quello della legge della sostituzione funzionale che, nelle parole dell’autore stesso, agisce “quando un animale, per carenza biologica, non potendo eseguire due o più atti di relazione con mezzi diversi, li eseguisce con un mezzo solo, che sostituisce tutti quelli dell’animale più perfetto”.46 In una parola: adattamento.

Consapevole della pregnanza e del valore del lavoro condotto, nel 1878 il Paolucci comunicherà al suo mentore, Charles Darwin, le importanti conseguenze del suo studio sul canto degli uccelli. Lo scambio di opinioni che ne seguirà è comprovato da un breve carteggio, i cui originali sono sfortunatamente andati perduti nel tempo.47 Ciononostante, il lavoro del Paolucci conobbe negli anni a seguire un discreto successo, tanto da fornire al Pascoli spunti di pregevole valore lirico per la sua opera in versi.48

2.3 Ἄνδρα πολύτροπον

Com’è noto, quelli che seguirono la pubblicazione dell’Origin of Species furono anni di enorme fermento intellettuale. Nel 1883, l’11 marzo a Roma e il 30 a Napoli, Francesco De Sanctis (1817–1883), l’autore della monumentale Storia della letteratura italiana, tenne una conferenza dal nome: Il darwinismo nell’arte. Pochi mesi dopo, il 29 dicembre, morì. Nel testo della conferenza si legge (Napoli, 1883, p. 4): “[s]e Darwin fosse stato solo un naturalista, la sua influenza sarebbe rimasta in quella cerchia speciale di studi. Ma Darwin non fu solo lo storico, fu il filosofo della natura, e dai fatti e dalle leggi naturali cavò tutta una teoria intorno ai problemi più importanti della nostra esistenza, ai quali l’umanità non può rimanere indifferente. E da questo rispetto Darwin fu e sarà pel suo quarto d’ora una forza dirigente, la cui presenza si sente in tutti gli indirizzi”.

Tra gli indirizzi che maggiormente fecero propri i dettami darwiniani vi furono indubbiamente le scienze sociali, le quali applicarono impropriamente le leggi naturali all’intero corpus sociale,49 degenerando presto in teorie imperialiste, colonialiste e razziste, basate sulla supremazia di un uomo (l’Übermensch nietzschiano) sui suoi pari (guardati come deboli, e dunque necessariamente condannati a soccombere o a essere assoggettati), con le infelici conseguenze che ognun sa.

Miglior uso ne fecero invece i linguisti50 contemporanei del Paolucci: August Schleicher (1821–1868), che nel 1873 diede alle stampe l’opera Die Darwinsche Theorie und die Sprachwissenschaft [La teoria darwiniana e le scienze del linguaggio], Franz Bopp (1791–1867), Wilhelm von Humboldt (1767–1835) e Friedrich Müller (1834–1898).

Non v’è dunque da stupirsi se il Paolucci, allora giovane studente di veterinaria presso l’ateneo bolognese, leggesse con gusto i testi del linguista e orientalista tedesco Max Müller (1823–1900) che, facendo propri gli insegnamenti di Schleicher, nelle sue Lectures on the Science of Language [Letture sopra le scienze del linguaggio] (Milano: Daelli & Co., 1870, p. 46) scrisse: “[v]i è una scienza del linguaggio come vi è una scienza della natura e della terra, delle piante e delle stelle. Il linguaggio è così un organismo che si evolve [corsivo aggiunto], è pregno di un dinamismo che lo rende dialettico, così come la natura di cui è parte e, in qualche modo, specchio”.51

Chiedendo per il linguaggio un posto all’interno dell’alveo delle cosiddette scienze dure, Müller dovette prepararsi alle numerose obiezioni di coloro che fermamente credevano che le lingue fossero opera dell’uomo (pp. 29 ss.): “[f]osse pure qualunque l’origine del linguaggio, fu notato con grande apparenza di vero che il linguaggio ha una storia propria, come l’arte, la legge, la religione; e che, perciò, la scienza del linguaggio spetta al campo delle scienze storiche, ossia, nel modo che si usò chiaramente per distinguerle dalle fisiche, al campo delle scienze morali”.

Ciononostante, mette in guardia Müller: “[n]oi dobbiamo distinguere il cambiamento storico dallo svolgimento naturale. L’arte, la scienza, la filosofia e la religione, tutte hanno una istoria; il linguaggio […] non ammette se non uno svolgimento progressivo”.

L’interesse per le lingue del mondo, nato sui banchi dell’Alma Mater, accompagnerà il Paolucci per tutto il corso della sua esistenza: nel 1926, nove anni prima di morire, comporrà le Voci e modismi ad uso degli italiani per parlare e scrivere correttamente la moderna lingua spagnola, ma già nel 1923 (secondo il numero di giugno de La voce studentesca in cui se ne dà nuova) aveva elaborato uno Studio comparativo teorico-pratico sulla morfologia, fonetica e fraseologia della lingua spagnola.

Ma basta dare una scorsa all’inventario del fondo Luigi e Carlo Paolucci per rendersi conto che l’idioma spagnolo non fu il solo ad occupare l’ingegno proteiforme dell’anconetano: è infatti del 1867 la Grammatica dell’antica lingua greca, preceduta di poco (1866) da un quaderno d’esercizi e temi redatti in greco moderno.

3. Paradisi perduti e mai cercati: i giardini d’Italia

3.1 Alma Roma

Narrare i prodromi del giardinaggio prendendo le mosse dall’Eden, il “paradiso delle delizie” secondo la Vulgata di Girolamo (Genesi 2,8–15), è prassi comune nella maggior parte dei testi sull’argomento.52 Secondo Gilles Clément (1943) “[…] il principio del giardino rimane costante: avvicinarsi il più possibile al paradiso”.53 Il termine giardino, prosegue in nota Clément, origina dal tedesco Garten: recinto (vedi: hortus conclusus); paradiso da paradisus, calco dal greco paradeisos, termine che origina dal persiano pairidaeza, recinto, da pairi, intorno (che darà luogo al peri greco) e daeza, bastione. Il giardino, conclude Clément, come il paradiso, è dunque in primo luogo una fortezza, un luogo di protezione.

Secondo Pierre Grimal (1912–1996), autore di una celebre Art des jardins [L’arte dei giardini]: “il giardino dà corpo al vecchio sogno del microcosmo. […] In un giardino tutto diventa possibile. Vi si può modellare a proprio modo la creazione, giocare con le stagioni, le luci, le prospettive, le chiome. […] Il giardino è il recinto meraviglioso in cui si impara a «barare» con le leggi della natura”.54

Per i due autori, dunque, giardino è sinonimo di un mondo chiuso (secondo le parole dello stesso Grimal);55 per il secondo esso è nientemeno che esterno alle leggi della natura, al cui interno (in quanto recinto, sacrale tèmenos) sembrerebbe quasi poterci venire a patti.

Per il Paolucci, invece, sin dagli esordi dell’opera qui presentata, il giardino è un mondo aperto, in perenne mutamento e divenire, una cacofonia di forme e colori, al cui ordine del cosmo si oppone il disordine del caos [4]; ed è esattamente da questo disordine, da questa confusione [1] che il Paolucci muove: il sogno del microcosmo, nelle mani dei giardinieri,56 è divenuto il delirio del macrocosmo, in cui si sono perdute le origini e dove il naturale si confonde con l’ibrido [5].

Barare con le leggi della natura (se questo è possibile) ha creato un mondo instabile, sfuggente ogni ordinamento [9]: si prenda il genere Rosa, dove “nel pelago delle sue numerosissime e incessanti varietà” [12] è divenuto pressoché impossibile individuarne la progenie. Ricollocare nelle loro famiglie naturali le piante da giardino e da parco che ornano il suolo italico equivale per il Paolucci non solo ad un dovere morale, come fu per Linneo,57 ma ad una nuova pretesa di possesso sul mondo, perché è solamente nell’ordine e nella chiarezza che può esservi comprensione.58 Per far ciò è allora necessario tornare alle origini, nella culla del genere umano. L’Eden, il paradisus voluptatis della Genesi? No: Roma.

Collocare gli esordi del giardinaggio a Roma non è fatto imputabile ad ignoranza dell’autore. Soprattutto, come s’è detto (§ 2.3), alla luce degli interessi del Paolucci e, a maggior ragione, alla luce dell’indagine condotta sui Nomi volgarmente più comunemente noti delle piante e degli animali pubblicata nel 1925. Del resto, è lo stesso Paolucci ad informarci [30] che è a conoscenza dell’origine tedesca della parola, pur commettendo un’inesattezza: egli crede infatti erroneamente che la parola giardino origini direttamente da hortus, ipotesi da tempo scartata (e ciò nonostante dall’orto discendano tutti i giardini),59 come conferma il Tommaseo-Bellini.60 In ogni caso, al di là d’ogni convinzione, quella commessa dal Paolucci si può leggere come una vera e propria dichiarazione d’intenti.61

Si torni al De Sanctis, ora però all’interno della Storia della letteratura italiana. Egli, in apertura del cap. XIX: La nuova scienza, così esordisce: “[i]l carattere di questo nuovo filosofare [è] l’indipendenza della filosofia dirimpetto la fede e l’autorità, il metodo sperimentale, e la riabilitazione della materia o della natura, risecato dalla investigazione tutto ciò che è soprannaturale e materia di fede”.62

A questo processo di secolarizzazione del sapere, comune tanto all’arte quanto alla scienza, non può non accostarsi il concetto di Romanitas. Il 17 marzo 1861, com’è noto, il primo parlamento proclamò nato il Regno d’Italia. Il nuovo regno, però, non comprendeva ancora Roma, fermo dominio del papato. Pochi giorni dopo, il 25 e il 27 marzo, Cavour tenne il suo primo, celebre discorso alla Camera dei deputati. Per Cavour Roma “è la necessaria capitale d’Italia”, senza la quale il processo allora in corso non avrebbe potuto dirsi concluso. Al termine del suo discorso, il parlamento approvò un ordine del giorno proclamando Roma capitale naturale d’Italia e chiedendo che “Roma, capitale acclamata dall’opinione nazionale, sia congiunta all’Italia”. Il discorso di Cavour, le cui conseguenze portarono alla presa di Roma (il 20 settembre 1870), si può leggere come la volontà di dare all’Italia e agli italiani (ancora tutti da fare, secondo la nota sentenza di d’Azeglio) un comune nodo ombelicale.

Per il Paolucci, dunque, Roma non può che essere la sua alma, la sua anima, “ove tutto era grande, tutto era bello, tutto pareva dovesse durare per sempre”. E che cos’è il paradiso se non questo: una promessa d’eterna, grandiosa, bellezza?

Perché i giardini? Per Clément “[i]l primo giardino della Storia non è quello dei libri di Storia, bensì quello della storia dei popoli che nel tempo – quale che sia stata l’epoca – hanno abbandonato il nomadismo per stabilirsi in un punto del loro territorio”.63 I nomadi non fanno giardini, questo l’assunto di partenza per Clément. Se ciò è vero, ne consegue che fare la storia dei giardini è fare la storia di un popolo; collocarne gli esordi a Roma – questo il punto – è per il Paolucci sostenere che lì s’è fatto il popolo italiano, e che da lì, dunque, è doveroso prendere le mosse per fare, contemporaneamente, la storia d’Italia e quella dei suoi giardini.64

3.2 Parlare chiaro

Parlare oscuramente lo sa fare ognuno, ma chiaro pochissimi.

Galileo Galilei, Considerazioni al Tasso, Venezia, Valle, 1793.

Nel presentare al lettore l’opera del Paolucci è indispensabile fare almeno un cenno alla forma di suddetto corpus. Come s’è detto (§ 2.1), l’autore dedicò all’insegnamento numerosi anni della propria carriera, la quale si concluse felicemente nel 1923, quando venne congedato dall’Istituto Tecnico e Navale Benincasa. In una pubblica cerimonia che si tenne ad Ancona, presso le Muse, numerose e ammirate lodi gli vennero cantate tanto dai colleghi quanto dagli studenti. Questi, nel discorso di commiato, così resero omaggio al professore: “[c]hi è stato studente dell’Ist.to tecnico ha certamente fatto, sotto la sua guida, almeno una passeggiata portando sulle spalle la cassetta delle erbe. È uno dei godimenti indimenticabili. Quest’uomo conquista chi lo ascolta […] i suoi racconti scientifici sono pieni di poesia – Paolucci non è solo uno scienziato. È anche un artista innamorato della sua scienza”.

In segno di riconoscenza per il lavoro condotto e l’impegno profuso nello sviluppo delle scienze naturali, l’allora Ministro dell’Istruzione Giovanni Gentile (1875–1944) gli conferì la Commenda della Corona d’Italia, venne fondata una borsa di studio a suo nome65 ed egli stesso fu nominato conservatore onorario delle collezioni dell’Istituto Tecnico.66

Gli anni passati in cattedra, come documentano le cronache commosse dei propri studenti, sono stati forse fondamentali nello sviluppo di una forma chiara e comprensibile, ma non per questo scevra di poesia, indirizzata al coinvolgimento e al genuino entusiasmo di coloro che gli prestavano orecchio, che fossero studenti o meno.

Ben lungi da ogni forma di solipsismo, di ragionamento tortuoso, di abuso di tecnicismo, la prosa del Paolucci è un esempio di chiarezza e rigore. Se ne ha prova documentata leggendo le parole adoperate dall’autore stesso nel presentare al lettore la sua Flora marchigiana (prefazione, pp. IX–X): “[i]l concetto fondamentale che mi ha guidato in tutto il corso dell’opera fu la massima semplicità del linguaggio e la più discreta economia della parte descrittiva, compatibili con la necessaria chiarezza. Allorché pertanto mi fu possibile, ho sempre sostituito alle parole dotte termini volgari del comune linguaggio italiano, e nella compilazione delle chiavi analitiche come delle diagnosi di famiglie, di generi e di specie ho preferito, senza però trascurarne il valore, l’apprezzamento di caratteri facilmente indagabili e riconoscibili, escludendo quelli di esame difficile, quando la sufficienza delle diagnosi stesse me lo concedeva”.

E conclude: “[s]o per prova quanto sia di sconforto a chi principia lo studio delle specie vegetali, il convenzionale e conciso linguaggio della scienza e la minuta ricerca, alla quale non si riesce se non si possiede una tecnica lungamente sperimentata”.

Il Paolucci è, degli insegnanti, il genere che t’accompagna per mano in un sapere vasto quanto il mondo, in cui è assai facile perdersi o provare lo sconforto di chi s’accinge a muovere i suoi primi passi: lo studente che vaga in questo mondo senza nessuno a sgombrargli il cammino, senza un Virgilio capace di ammutolire quell’animale feroce ch’è il tecnicismo, è per fato condannato a perdersi – come lo stesso Paolacci sa per prova. Esattamente come con le passeggiate fatte in compagnia dei suoi studenti, cassetta delle erbe in spalla, la lingua è da intendersi per il Paolucci come una guida: sapiente e capace, sa sempre dove condurti, coniugando al rigore del passo la chiarezza dello sguardo, e a questo la ferma conoscenza d’ogni minuto dettaglio del paesaggio.

Gli stessi concetti fondamentali (nel senso cui supra) che hanno ispirato l’autore nella stesura della Flora, sono presenti in egual misura all’interno dell’opera che qui s’intende presentare. Il linguaggio è semplice, sobrio benché elegante, perennemente teso nel raggiungimento di un equilibrio capace di coniugare l’esattezza della disamina “con la necessaria chiarezza”. Al linguaggio convenzionale e conciso della scienza egli ha saputo sovrapporre un italiano limpido e arioso, talora persino capace di slanci di lirismo, com’è il caso [46] della splendida veduta sui giardini romani, “con i suoi viali di platani, di pioppi, di elei, ove già nella superba Roma Imperiale, come oggi, svolazzavano le cornacchie […]”.

Le seconda parte che compone I giardini d’Italia, nelle cui pagine il Paolucci colloca e dispone nelle proprie famiglie naturali le piante ornamentali all’epoca presenti su suolo italico, nonostante il suo carattere tecnico e assai meno discorsivo della parte precedente, è stata pensata e realizzata secondo gli stessi principî: alla semplicità del linguaggio si assomma qui la discreta economia nella descrizione delle 144 famiglie presentate. D’ognuna è detto brevemente la natura, se erbacea o lignescente; l’allevamento, se in serra o a pien’aria; le ragioni di suddetto allevamento, se per il fogliame o i germogli e come questi si dispongono: a pannocchie, in ombrelle, grappoli, spiche o cime; la morfologia delle foglie e – se presente – quella del pomo. Sovente, o in chiusura o in nota, si accenna agli ibridi e alle varietà date da taluni generi, complice – naturalmente – la mano del giardiniere.

È, chiaramente, lo stesso “apprezzamento di caratteri facilmente indagabili e riconoscibili” premesso e promesso all’interno della Flora.

3.3 Tityre, tu patulae recubans sub tegmine fagi: Paolucci e le sue fonti

“Un parco che, di stagione in stagione, non sia continuamente creato dalla mano dell’uomo, è condannato a morte. Dopo pochi mesi non ne rimane che un ricordo: la descrizione di un poeta, il disegno di un pittore o di un incisore”. Queste le parole di Grimal,67 che ben si prestano a far comprendere al lettore quanto ardua possa essere l’impresa di stendere una storia dei giardini che possa dirsi quantomeno soddisfacente, benché perennemente incompleta.

Per cercare di evocare un fantasma dei giardini che furono, il Paolucci interroga a mo’ di oracoli i testi degli autori classici, cui assomma lo studio dei dipinti pompeiani, cercando, nonostante la lamentata pochezza delle fonti, che sovente confondono le piante ornamentali con quelle agrarie [19], di renderne un’immagine quantomeno testualmente accurata.

Plinio il Vecchio (23–79 d.C.), padre della monumentale Naturalis historia, è autore di cui il Paolucci fa (abbondante) uso. Egli fu il primo a raccontare di un hortus romano: quello del re Tarquinio il Superbo, reso celebre dal gesto sanguinario lì compiuto (XIX, 168–169): “[f]uisse autem in honore apud Romanos semper indicio est Tarquinius Superbus, qui legatis a filio missis decutiendo papavera in horto altissima sanguinarium illud responsum hac facti ambage reddidit”.

Il Liber XII è il primo dedicato al mondo vegetale, argomento che occuperà una larga parte dell’opera pliniana: dal XII al XIX saranno presentate tutte le piante e i loro prodotti, dal XX al XXVII i medicamenti che se ne possono ottenere. A fondamento dell’importanza data da Plinio ai vegetali v’è il fatto che gli alberi furono i primi idoli della religione pagana (XII, 3): “[h]aec fuere numinum templa, priscoque ritu semplicia rura etiam nunc deo praecellentem arborem dicant. Nec magis auro fulgentia atque ebore sumulacra quam lucos et in iis silentia ipsa adoramus”.

Il Liber XIX, da cui è preso il passo sull’hortus di Tarquinio il Superbo, ha per oggetto gli ortaggi, e con loro Plinio si accinge a concludere la sua disamina sul mondo vegetale. Sono numerosi i luoghi del testo in cui il Paolucci dà prova di una profonda conoscenza dell’opera pliniana ma, soprattutto, è da imputarsi a Plinio l’aspetto disordinato e miscellaneo che il giardino romano assume agli occhi dell’autore: com’è noto, non era prassi pliniana procedere ordinatamente, secondo una metodica standardizzata e modulare. Plinio, anzi, deroga spesso e con gusto da un ordine scrupoloso, concorrendo così a dare all’immaginario del giardino romano lo stesso aspetto confuso ed eterogeneo della sua prosa.

Un secondo autore caro al Paolucci fu Columella (4–70 d.C.), celebre per il suo De re rustica. L’opera, composta di dodici volumi, rappresenta – con quella di Catone il Vecchio (234–149 a.C.) e Varrone (116–27 a.C.) – la maggior fonte di conoscenza sullo stato delle scienze agrarie in epoca romana. Il Liber X, dedicato a Virgilio, il quale in numerosi passi delle Georgiche (IV, 116–124; 147–148) aveva lamentato di non poter dedicare una parte della sua opera al tema degli horti, è interamente dedicato all’argomento.

Columella abbandona qui l’usuale concretezza della sua prosa e, mosso dalle preghiere di Silvino, s’accinge qui a completare le Georgiche con il loro stesso verso: “Hortorum quoque te cultus, Silvine, docebo / atque ea, quae quondam spatiis exclusus iniquis, / cum caneret laetas segetes et munera Bacchi / et te, magna Pales, nec non caelestia mella, / Vergilius nobis post se memoranda reliquit”.

Lo stesso Virgilio (70–19 a.C.), poc’anzi nominato, rappresenta per il Paolucci una fonte di sommo interesse. La lettura delle Georgiche, nonostante il loro carattere assai idealizzante, consente al naturalista di cogliere taluni importanti aspetti dell’hortus romano, come l’apprezzata presenza di recessi ombrosi68 o di profumi grati all’uomo tanto quanto all’insetto, presenza costante d’ogni hortus, qui rappresentati in uno stato di equilibrata armonia.69 Le Bucoliche, non diversamente dalle Georgiche, vengono soventemente adoperate dal Paolucci per cavarne informazioni circa la presenza a Roma di alberi a scopo ornamentale: ecco, dunque, il corbezzolo (VII, 45–46), il bosso o mortella (II, 437), il pino (Egloga VIII) ecc. Benché in misura minore, anche l’Eneide (nonché l’Appendix) può essere annoverata nel lungo elenco delle fonti paolucciane.

La sua lettura consente all’autore di appropriarsi di un tòpos assai caro all’immaginario romano, quello del locus amoenus. L’uso del vocabolo amoenus rimanda con inequivocabile chiarezza al lessico virgiliano, che così chiama sempre la sua ‘bella’ natura (per es. in En. V, 734 e VII, 30). Echeggiano qui soprattutto i versi che narrano l’approdo di Enea all’Elisio (VI 638 ss.) laddove il paesaggio è dipinto nei termini seguenti: “[d]evenere locos laetos et amoena virecta / fortunatorum nemorum sedesque beatas. / Largior hic campos aether et lumine vestit / purpureo, solemque suum, sua sidera norunt”. Come fa notare Servio nel suo commento all’opera, amoenus è posto in diretto rapporto con la parolaamor (un nesso analogo a quello presente nei vocaboli tedeschi Lieblich e Liebe). I luoghi ameni sarebbero dunque quelli che hanno come scopo il solo godimento dell’animo come – per l’appunto – i giardini.70

Virgilio non è però il solo poeta ad esser chiamato in causa. All’augusteo vanno ad aggiungersi l’Ovidio (43 a.C. –18 d.C.) dei Fasti (V, 336) e il Properzio (47–16 a.C.) delle Elegie (I, 17; 21–22), ambedue interrogati sull’uso romano delle ghirlande di rose.

Accanto agli autori romani, fondamentale è l’apporto dato dalla lettura dei testi greci. Tra questi l’Historia plantarum (Περὶ Φυτῶν Ιστορίας) e il De causis plantarum (Περὶ φυτικῶν αἰτιῶν) del greco Teofrasto (371–287 a.C.), testi imprescindibili per chiunque voglia andare comparando gli horti romani con i loro predecessori greci, la cui conoscenza e attento studio permetteranno di importarne forme e contenuti.71

Tra i contemporanei del Paolucci è da segnalarsi l’opera del botanico napoletano Orazio Comes (1848–1917). La sua Illustrazione delle piante rappresentate nei dipinti pompeiani (Napoli: Giannini, 1878) è per il Paolucci una fonte assai pregevole. Egli, chiedendosi “[m]a, le piante rappresentate sugl’intonachi pompeiani sono desse fantastiche, oppure riproduzioni dal vero?” (p. 2), procede in una disamina assai attenta e scrupolosa dei dipinti murali rinvenuti a Pompei, fornendo con l’opera sua numerosi indizi sulla natura dell’hortus romano, dal momento che “[…] ci è tanto elemento di verità in quei dipinti, che non si può fare a meno di riconoscere le diverse piante feconde ed ornamentali ivi rappresentate” (ibidem).

4. Nota al testo

Il presente elaborato pubblica il testo del naturalista anconetano Luigi Paolucci in edizione diplomatica del manoscritto I giardini d’Italia (conservato presso il fondo Luigi e Carlo Paolucci della Biblioteca San Giacomo della Marca) con la mera correzione degli errori materiali di forma.

Il fondo Luigi e Carlo Paolucci, conservato presso le sedi dell’Archivio storico della Provincia di San Giacomo della Marca dell’ordine dei Frati Minori delle Marche (AN), è stato schedato ed inventariato nel 2012, all’interno del progetto CEI-Ar, promosso dall’UNBCE della Conferenza Episcopale Italiana (CEI) in accordo col MiBACT secondo l’Intesa del 18 aprile 2000.

Il fondo in oggetto, contenente le carte prodotte dal naturalista anconetano dall’anno 1863 sino al 1932 e quelle della di lui progenie, Carlo, contenente documenti dal 1880 al 1921, è pervenuto alla Biblioteca da donatore anonimo.

Il manoscritto che in questa sede s’intende presentare (busta 11) si presenta autografo in fascicolo cartaceo legato in cartone di 200 carte, comprensive degli apparati di corredo interni, con indice per carte (posto in apertura) per nome dei generi vegetali. Come l’autore stesso ci informa (c. 2v), il manoscritto può essere datato al 1904, anno di presunto compimento, nonostante la presenza di luoghi ancora incerti (segnalati con punto di domanda in parentesi tonde) nonché la presenza di generi segnalati in indice ma assenti all’interno del manoscritto (è questo il caso dei due generi Dasylirion e Glycine).

All’interno del fascicolo sono presenti numerose carte non legate e non numerate, scartafacci rappresentanti un precedente ordinamento delle famiglie, per aree di provenienza, poi abbandonato (Figg. 5 e 6) in fase avanzata di stesura in favore di un raggruppamento per generi. Non di tutte le famiglie è possibile però osservare detta bozza preparatoria, parte delle quali è andata probabilmente perduta nel tempo.

Le carte del manoscritto, composto di due parti, presentano una numerazione autografa (in diretto rapporto con l’indice dei generi) solamente nella seconda parte, apposta nel margine superiore sinistro in lapis. Le carte poste invece in apertura del manoscritto si presentano non numerate. È però da segnalarsi la presenza, in suddette carte, di numeri romani di colore bluette, apposti in ordine crescente (da I a VII) al termine di paragrafi omogenei, si suppone a mo’ di spunta, e dunque posteriori ad una stesura base del testo, da leggersi e intendersi come un “riveduto e corretto” (Fig. 2).

Fig. 2. C. 15r. – es. di cassatura, aggiunta in margine con segno di rappicco e “spunta” blu (BSFP, fondo Luigi e Carlo Paolucci, b. 11).

Tale correzione è avvenuta per mano dell’autore direttamente sul testo, mediante comune lapis, intervenendo con cassature e rimpiazzi o con aggiunte in margine collegate al testo per mezzo di segni di rappicco (sovente numerici). È in questi luoghi del testo che è stato collocato dal Paolucci la maggior parte degli echi alle fonti da lui adoperate, si suppone dunque in un secondo momento, posteriore ad una stesura base del testo.

Tale metodo correttorio è stato adoperato anche nella seconda parte del manoscritto, nella quale è possibile osservare lo “smantellamento” di talune tabelle di famiglie (Fig. 3) che sono state in questo modo integrate all’interno del testo che precede ogni tabella.

Fig. 3. C. 40v (p. 14) - famiglia delle Balsaminacee (BSFP, fondo Luigi e Carlo Paolucci, b. 11).

È da segnalarsi la presenza di due campagne correttorie: terminata la stesura base del testo, il Paolucci, lapis alla mano, è tornato su questo adoperandosi per apportare numerose aggiunte: la maggior parte delle note, degli echi alle fonti, delle integrazioni nonché la compilazione stessa dell’indice dei generi con l’aggiunta dei numeri di pagina è da intendersi attuato in questa campagna. La seconda, invece, condotta in lapis color bluette, si palesa per mezzo di accenti di colore: marcati e ben visibili nelle carte 10v–21r, appena accennati nelle carte che compongono la seconda parte dell’opera, apposti accanto al luogo di provenienza del genere a mo’ di “spunta” (Fig. 4).

Si ignorano le cause che, nonostante lo stato pressoché concluso dei lavori, non hanno condotto alla stampa. I carteggi che dell’autore è ancora possibile leggere72 hanno carattere formale, ossequioso, e in nessun modo hanno permesso di cogliere indizi in tal senso.

Fig. 4. C. 21v. (p. 2) - famiglia delle Acantacee (BSFP, fondo Luigi e Carlo Paolucci, b. 11).

Fig. 5. C. non numerata - bozza famiglia delle Acantacee (BSFP, fondo Luigi e Carlo Paolucci, b. 11).

CRITERI DI EDIZIONE

1. Testo

[39] Ma allora, domandiamoci, che cosa erano, nella loro indiscussa sontuosità, i famosi horti di Sallustio, di Lucullo, di Mecenate, di Plinio, dei Cesari, di Pompeo, di Adriano, di Nerone? <E> che cosa i κηποι di Epicuro, dell’Accademia di Atene, i paradisi di Ciro il persiano, l’incantevole giardino delle Esperidi?(1)

1.1. Si propone a testo l’ultima lezione ricavabile dal msn. La trascrizione è quanto più possibile fedele alle originali volontà dell’autore, di cui è così possibile cogliere ogni singolarità (punteggiatura, paragrafatura ecc.).

1.2. L’inizio di ogni paragrafo è segnalato all’interno di parentesi quadre numerate in ordine progressivo, in raccordo con l’apparato, nella forma seguente:

[1] paragrafo 1…

[2] paragrafo 2…

1.3. La paragrafatura non è prodotta del curatore bensì dell’autore stesso, che ne dà indicazione nel msn. per mezzo di un leggero discostamento dal margine sx. della pagina.

1.4. Le aggiunte tardive, presenti sovente nei margini del ms. o in interlinea, vengono integrate al testo nel luogo indicato dall’autore per mezzo di un segno di rappicco, o, in assenza di questo, per congettura del curatore, che ne dà poi conto nel commento.

1.5. Per il corretto uso dei nomi di piante ci si è attenuti alle linee guida contenute nel Codice internazionale di nomenclatura per le alghe, funghi e piante (IAPT, 2012, https://www.iapt-taxon.org/melbourne/main.php).

1.6. Tutti i nomi di piante, a qualunque rango, sono stati sottoposti ad authority control per mezzo del database realizzato all’interno del progetto The World Flora Online (WFO, 2023, http://www.worldfloraonline.org).

2. Apparato

[46] di pioppi… come oggi,] ins. svolazzavano… Virg.] ins. in marg. sx. (laureta)] ins. seducenti nascondigli] sps. a le sue siepi con le sue siepi] ins.

2.1. L’apparato è genetico, annota quindi tutti gli interventi correttori, immediati o tardivi, desumibili dal ms. in rapporto alla lezione riprodotta a testo. L’apparato, orizzontale e misto – parlato e simbolico – è collocato separatamente dal testo, in un cap. lui dedicato. Questo per agevolare la lettura del commento, che è stato collocato a piè di pagina.

2.2. Il raccordo al testo nell’apparato è dato dal numero di paragrafo [n] e dalla porzione di testo interessata da variante racchiusa in parentesi quadra. Dopo di essa vengono presentate le varianti genetiche; ogni variante è separata dalle restanti per mezzo di spazi bianchi.

2.3. La seriazione delle fasi di correzione, unicamente se plurime, è segnalata da un esponente numerico progressivo apposto davanti alla variante. Quando invece non vi sia che una sola fase di correzione, la variante genetica viene presentata immediatamente, senza apice numerico. La fase terminale, coincidente con la lezione a testo, è stata resa nota per mezzo dell’abbreviazione “T” solo quando questa sia stata ricavata dal parziale riuso della lezione precedente.

2.4. Le parole lasciate in sospeso dall’autore o di incerta lettura sono state completate per congettura dal curatore, che segnala il suo intervento racchiudendo le porzioni di testo aggiunto in parentesi uncinate (<…>).

3. Note e commento

23 Gli horti Luculliani si estendevano dall’attuale scalinata di piazza di Spagna sino a Villa Borghese; il dislivello del terreno allora presente venne colmato da terrazze con scalinate. Stando ai documenti, Lucullo fece piantare sulla terrazza principale alcuni alberi, che cent’anni dopo la sua morte erano cresciuti in tutto il loro splendore, divenendo così una rappresentazione unica dell’idea del rus in urbe. Kluckert, Giardini d’Europa, 17. Sarà proprio questo sistema a terrazze sovrapposte ad ispirare, nel 1503, al Bramante il progetto per i suoi Giardini del Belvedere, con i quali “è tutta l’estetica del giardino romano che rinasce”, Grimal, L’arte dei giardini, 62.

3.1. Le note di carattere autoriale sono state poste al termine del paragrafo cui originariamente sono state collocate per mezzo di apici numerici in parentesi tonda (n).

3.2. Il commento del curatore, posto a piè di pagina, si raccorda al testo per mezzo di semplici apici numerici.

Luigi Paolucci

I FIORI E GLI ALBERI ORNAMENTALI IN ITALIA

Ordinamento e origine delle piante attualmente coltivate nei giardini, nelle serre e nei parchi

Ragione del presente lavoro

[1] Per la confusione che ormai regna nei cataloghi dei floricultori, tra le specie, gl’ibridi, le varietà artificiali delle piante ornamentali, le loro determinazioni, la trascuranza delle famiglie naturali a cui tali specie si riferiscono, la incompleta designazione della loro origine, ho creduto non inutile sottoporre ad un esame scientifico la flora dei nostri giardini, delle serre e dei parchi, onde ordinarla nelle stirpi naturali che la rappresentano, e farci conoscere il tributo fornito all’arte del giardinaggio dalle diverse parti del mondo(1).

[2] Onde facilitare la ricerca delle specie comprese in questa rassegna e non elevare d’altronde di troppo la loro sistemazione botanica, ho disposto in ordine alfabetico tanto le famiglie, quanto i nomi italiani delle piante comprese in ciascuna di esse, senza ommettere l’indice dei generi, per chi ricercasse direttamente la denominazione latina.

[3] Io, prima d’ogni altro, riconosco questo mio scritto come un lavoro di semplice compilazione, dove certo le lacune non mancheranno: ad altri quindi, con mezzi di studio più vasti dei miei e con maggiore competenza, il far meglio.

Ancona, gennaio 1904

L. Paolucci

(1) Italianizzati i nomi scientifici73 con la pronuncia corretta.

Posto accanto al nome una qualifica della pianta, poi spesso il colore dei fiori.

Indice dei generi

Abelia

pag. 20

Abies

“ 31

Abobra

“ 39

Abronia

“ 74

Abutilon

“ 67

Acacia

“ 60–61

Acalypha

“ 46

Acanthus

“ 2

Acer

“ 102

Achillea

“ 27

Achimenes

“ 50

Achyranthes

“ 7

Aconitum

“ 95

Acorus

“ 10

Acroclinium

“ 27

Actinidia

“ 40

Adamia

“ 11

Adenophora

“ 19

Adianthum

“ 47

Adlumia

“ 48

Adonis

“ 95

Aechmea

“ 17

Aeschynanthus

“ 50

Aesculus

“ 103

Agapanthus

“ 51

Agathea

“ 27

Agave

“ 6

Ageratum

“ 28

Agl<a>onema

“ 10

Agnostus

“ 92

Agrostis

“ 53

Ailant<h>us

“ 112

Ajax

“ 6

Akebia

“15

Alcea

“ 67

Allamanda

“ 9

Allium

“ 51

Alnus

“ 16

Alocasia

“ 10

Aloe

“ 52

Alonsoa

“ 107

Alpinia

“ 106

Alsophila

“ 47

Alstroemeria

“ 5

Alternanthera

“ 7

Alyssum

“ 38

Amaranthus

“ 7

Amar<y>llis

“ 5

Amelanchier

“ 90

Ammobium

“ 27

Amorpha

“ 60

Amorphophallus

“ 10

Ampelopsis

“ 8

Amsonia

“ 9

Amygdalopsis

“ 93

Andromeda

“ 44

Anemone

“ 95

Angraecum

“ 77

Anguloa

“ 77

Anoectochilus

“ 77

A<n>nona

“ 8

Anthurium

“ 10

Aphelandra

“ 2

Apios

“ 62

Apocynum

“ 9

Aponogeton

“ 73

Aquilegia

“ 95

Arabis

“ 38

Aralia

“ 11

Araucaria

“ 32

Arbutus

“ 44

Ardisia

“ 70

Areca

“ 81–82

Arenaria

“ 22

Arenga

“ 82

Aristolochia

“ 11

Aristotelia

“ 113

Armeria

“ 87

Arnebia

“ 17

Arpophyllum

“ 77

Artanema

“ 108

Artemisia

“ 27–29

Arundinaria

“ 53

Asclepias

“ 12

Asparagus

“ 13

Asphodelus

“ 57

Aspidistra

“ 13

Aspidium

“ 47

Asplenium

“ 47

Aster

“ 27

Astilbe

“ 104

Astrocaryum

“ 82

Athanasia

“ 28

Athrotaxis

“ 33

Attalea

“ 82

Aubr<i>eta

“ 37

Aucuba

“ 36

Azalea

“ 44

Bacc<h>aris

pag. 28

Balsamina

“ 14

Bambusa

“ 53

Baptisia

“ 60

Bartonia

“ 5

Begonia

“ 14

Bellis

“ 30

Benthamia

“ 36

Berberis

“ 15

Bertolonia

“ 68

Betula

“ 15

Bignonia

“ 16

Billardiera

“ 86

Biota

“ 34

Blechnum

“ 47

Ble<t>ia

“ 77

Bocconia

“ 84

Boehmeria

“ 80

Boltonia

“ 28

Bonapartea

“ 17

Bouvardia

“ 100

Boussingaultia

“ 24

Bournea

“ 13

Brachycome

“ 28

Brachychiton

“ 110

Brahea

“ 82

Brassavola

“ 77

Broussonetia

“ 72

Browallia

“ 109

Brugmansia

“ 109

Brunfelsia

“ 109

Br<o>melia

“ 103

Bryonopsis

“ 39

Buddleja

“ 65

Bureavella

“ 87

Burchellia

“ 100

Burlingtonia

“ 77

Buphthalmum

“ 28

Bupleurum

“ 76

Buxus

“ 18

Ca<i>ophora

pag. 64

Caladium

“ 10

Calampelis

“ 16

Calandrinia

“ 91

Calanthe

“ 77

Calceolaria

“ 107

Calendula

“ 28

Calla

“ 10

Callicarpa

“ 116

Calliopsis

“ 28

Callirhoe

“ 67

Callistemon

“ 71

Callistephus

“ 27

Calonyction

“ 35

Calycanthus

“ 72

Calystegia

“ 35

Camellia

“ 113

Canarina

“ 20

Campanula

“ 19

Campylobotrys

“ 100

Canna

“ 106

Capsicum

“ 109

Caragana

“ 60

Cardiospermum

“ 103

Cartha<m>us

“ 31

Carya

“ 57

Caryopteris

“ 116

Caryota

“ 82

Cassia

“ 61

Cassine

“ 4

Casuarina

“ 23

Catalpa

“ 16

Cat<t>le<y>a

“ 77

Ceanothus

“ 94

Cedrela

“ 69

Cedrus

“ 32–33

Celastrus

“ 23

Celestina74

“ 28

Celosia

“ 7

Celtis

“ 80

Centaurea

“ 27–28–29

Centradenia

“ 69

Centranthus

“ 116

Centropogon

“ 65

Centrostemma

“ 12

Cephalanthus

“ 100

Cephalotaxus

“ 33

Cerastium

“ 22

Cercis

“ 60

Cereus

“ 18

Ceroxylon

“ 83

Cestrum

“ 109

Chama<e>cyparis

“ 33

Chamaedorea

“ 82

Chamaerops

“ 83

Cheiranthus

“ 38

Chelone

“ 107

Chimonanthus

“ 72

Chionanthus

“ 75

Chirita

“ 50

Choisya

“ 101

Chorizema

“ 61

Chrysanthemum

“ 28–29

Chrysocoma

“ 28

Chy<s>is

“ 78

Cineraria

“ 28

Cissus

“ 8

Citrus

“ 101

Clarkia

“ 42–43

Clematis

“ 95

Cleome

“ 20

Clerodendr<um>

“ 116

Clethra

“ 44

Cleyera

“ 113

Clianthus

“ 61

Clintonia

“ 65

C<r>inum

“ 6

Clivia

“ 6

Cobaea

“ 87

Coccoloba

“ 89

Cocculus

“ 69

Cocos

“ 82

Coelogyne

“ 78

Coffea

“ 100

Coix

“ 54

Colchicum

“ 25

Coleus

“ 57

Colle<t>ia

“ 94

Collinsia

“ 107

Collomia

“ 87

Colocasia

“ 10

Columnea

“ 50

Colutea

“ 61

Commelina

“ 26

Convallaria

“ 13

Convolvulus

“ 35

Coprosma

“ 100

Corchorus

“ 99

Cordyline

“ 13

Coreopsis

“ 28

Coriaria

“ 63

Cormus

“ 36

Coronilla

“ 61

Correa

“ 101

Corylopsis

“ 5

Corynocarpus

“ 8

Corypha

“ 82

Cosmea

“ 27

Costus

“ 106

Cotoneaster

“ 90

Crassula

“ 36

Crataegus

“ 90

Crepis

“ 28

Crocus

“ 56

Croton

“ 46

Cryptomeria

“ 33

Cucurbita

“ 39

Cunning<h>amia

“ 33

Cuphea

“ 64

Cupressus

“ 33

Curculigo

“ 6

Curcuma

“ 106

Cyanophyllum

“ 68

Cyathea

“ 47

Cycas

“ 24

Cyclamen

“ 92

Cyclanthus

“ 24

Cymbidium

“ 78

Cyperus

“ 25

Cypripedium

“ 78

Cytisus

“ 60

Dahlia

pag. 28

Dalechampia

“ 46

Daphne

“ 114

Dasyliri<on>

[assente]

Datura

“ 110

Daubentonia

“ 61

Delphinium

“ 96

Dendrobium

“ 78

Desmodium

“ 61

Deutzia

“ 104

Dianthus

“ 22

Dichorisandra

“ 26

Dieffenbachia

“ 10

Diclytra

“ 48

Diervilla

“ 21

Digitalis

“ 107

Dillonia

“ 47

Dioclea

“ 61

Dioon

“ 24

Dioscorea

“ 40

Diosma

“ 101

Diospyros

“ 41

Diplopappus

“ 29

Dodecatheon

“ 92

Dolichos

“ 61

Doryanthes

“ 6

Drac<a>ena

“ 13

Dracocephalum

“ 58

Duranta

“ 116

Dyckia

“ 17

Eccremocarpus

pag. 16

Echeveria

“ 37

Echinocactus

“ 18

Echites

“ 9

Elaeagnus

“ 42

Elaeis

“ 83

Epacris

“ 45

Epidendrum

“ 78

Epimedium

“ 15

Epiphyllum

“ 19

Eranthemum

“ 2

Erianthus

“ 54

Erigeron

“ 28

Erinus

“ 107

Erysi<m>um

“ 38

Erythrina

“ 61

Escallonia

“ 105

Eschscholzia

“ 84

Eucalyptus

“ 71

Eucharis

“ 6

Eucomis

“ 52

Eugenia

“ 71

Eupatorium

“ 29

Euphorbia

“ 46

Eurya

“ 113

Euterpe

“ 82

Eutoca

“ 54

Euonymus

“ 46

Fabiana

pag. 109

Fagus

“ 39

Farfugium

“ 29

Feijoa

“ 71

Ferdinanda

“ 29

Ferraria

“ 56

Ficus

“ 72

Fittonia

“ 2

Fontanesia

“ 75

Forsythia

“ 75

Fragaria

“ 48

Franciscea

“ 109

Fraxinus

“ 75

Freesia

“ 56

Fre<y>c<i>netia

“ 13

Fritillaria

“ 51–52

Fuchsia

“ 43

Funkia

“ 51–52

Gaillardia

pag. 29

Gardenia

“ 100

Garrya

“ 36

Gastonia

“ 11

Gaultheria

“ 44

Gaura

“ 43

Gazania

“ 29

Gelsemium

“ 65

Genista

“ 61

Geonoma

“ 82

Gesneria

“ 50

Geum

“ 98

Gilia

“ 88

Gladiolus

“ 56

Glaziova

“ 82

Gleditsia

“ 61

Gloxinia

“ 50

Glycine

[assente]

Glyptostrobus

“ 33

Gnaphalium

“ 29

Godetia

“ 43

Gomphrena

“ 7

Gossypium

“ 67

Grevillea

“ 92

Griffinia

“ 6

Griselinia

“ 36

Gunnera

“ 80

Guzmania

“ 17

Gymnocladus

“ 61

Gymnogramma

“ 47

Gymnothrix

“ 54

Gynerium

“ 54

Gynura

“ 28

Gypsophila

“ 22

Habrothamnus

pag. 109

Haemanthus

“ 6

Hakea

“ 92

Halimodendron

“ 60

Halesia

“ 111

Halleria

“ 107

Haloragis

“ 4

Harpalium

“ 29

Hebeclinium

“ 29

Hedera

“ 41

Hedychium

“ 106

Hedysarum

“ 61

Helenium

“ 29

Helianthus

“ 29

Helichrysum

“ 30

Heliconia

“ 73

Heliotropium

“ 17

Helleborus

“ 96

Helwingia

“ 36

Hemerocallis

“ 52

Hesperis

“ 38

Heuchera

“ 105

Hibiscus

“ 67

Higg<i>nsia

“ 100

Hote<i>a

“ 105

Hovenia

“ 94

Hoya

“ 12

Hyacinthus

“ 51

Hydrangea

“ 105

Hyophorbe

“ 81

Hypericum

“ 55

Hyssopus (vedi I)

“ 58

Kalmia

pag. 44

Kadsura

“ 66

Kaempferia

“ 106

Kennedya

“ 61

Kentia

“ 82

Kerria

“ 99

Kleinia

“ 28

Koelreuteria

“ 103

Lachenalia

pag. 52

Laelia

“ 78

Lagerstroemia

“ 64

Lantana

“ 116

Lapageria

“ 13

Larix

“ 33

Lasiandra

“ 69

Latania

“ 82

Lathyrus

“ 62

Laurus

“ 59

Lavandula

“ 58

Lavatera

“ 67

Leon<o>tis

“ 58

Leptosiphon

“ 88

Lespede<za>

“ 62

Leucojum

“ 5

Leycesteria

“ 21

Libertia

“ 56

Libocedrus

“ 32

Libonia

“ 2

Licuala

“ 82

Ligularia

“ 29

Ligustrum

“ 75

Lilium

“ 51–52–53

Limnanthemum

“ 48

Limnocharis

“ 4

Limonia

“ 101

Linospadix

“ 82

Linum

“ 63

Lippia

“ 116

Liquidambar

“ 5

Liriodendron

“ 66

Livistona

“ 82

Loasa

“ 64

Lobelia

“ 65

Lomaria

“ 47

Lomatia

“ 92

Lonicera

“ 21

Lopezia

“ 43

Lophospermum

“ 107

Luffa

“ 39

Lunaria

“ 38

Lupinus

“ 62

Lycaste

“ 78

Lychnis

“ 22

Lycopodium

“ 62

Lygodium

“ 47

Iberis

pag. 38

Idesia

“ 62

Ilex

“ 4

Illicium

“ 66

Indigofera

“ 62

Inula

“ 29

Ipom<o>ea

“ 35

Ipomopsis

“ 88

Iresine

“ 7

Iris

“ 56

Isolepis

“ 25

Itea

“ 105

Ixia

“ 56

Jasminum

pag. 75

Jubaea

“ 82

Juglans

“ 57

Juniperus

“ 32–33

Justicia

“ 2

Macle<ay>a

pag. 84

Maclura

“ 80

Madia

“ 29

Magnolia

“ 66

Mahonia

“ 15

Malcolmia

“ 38

Malope

“ 67

Malva

“ 67

Mammillaria

“ 19

Mandevill<a>

“ 9

Manettia

“ 100

Maranta

“ 68

Martynia

“ 50

Matthiola

“ 38

Maurand<y>a

“ 107

Maxillaria

“ 78

Meconopsis

“ 84

Medeola

“ 13

Medicago

“ 61

Medinilla

“ 69

Melaleuca

“ 71

Melia

“ 69

Melissa

“ 58

Melocactus

“ 19

Men<y>anthes

“ 48

Menispermum

“ 69

Menziesia

“ 44

Mespilus

“ 90

Mesembr<y>anthemum

“ 3

Metrosideros

“ 71

Miltonia

“ 79

Mimosa

“ 61–62

Mimulus

“ 107

Mina

“ 109

Mirabilis

“ 74

Momordica

“ 39

Monarda

“ 58

Monstera

“ 10

Montanoa

“ 30

Montbretia

“ 56

Moraea

“ 56

Musa

“ 73

Myosotis

“ 17

Myrica

“ 70

Myrsine

“ 70

Myrsiphyllum

“ 13

Myrtus

“ 71

Naegelia

pag. 50

Nandina

“ 15

Narcissus

“ 6

Negundo

“ 102

Nelumbium

“ 74

Nemophila

“ 54

Nepeta

“ 58

Nerine

“ 6

Nerium

“ 9

Nicotiana

“ 110

Nidularium

“ 17

Niere<m>bergia

“ 109

Nigella

“ 96

Nolana

“ 35

Nuphar

“ 74

Nuttal<l>ia

“ 93

Nyctago

“ 74

Nycterin<i>a

“ 108

Nymphaea

“ 74

Odontoglossum

pag. 79

Oenocarpus

“ 82

Oenothera

“ 43

Olearia

“ 30

Omphalodes

“ 17

Oncidium

“ 79

Opuntia

“ 19

Oreodo<x>a

“ 82

Origanum

“ 58

Osmanthus

“ 76

Osmunda

“ 47

Oxalis

“ 81

Pachysandra

pag. 18

Paeonia

“ 96

Pancratium

“ 6

Pandanus

“ 83

Papaver

“ 84

Parrotia

“ 5

Passiflora

“ 85

Paulownia

“ 108

Pavetta

“ 100

Pavia

“ 103

Pavonia

“ 67

Pelargonium

“ 49

Pellionia

“ 80

Pennisetum

“ 54

Penstemon

“ 108

Peperomia

“ 85

Pereskia

“ 19

Perilla

“ 58

Peripocla

“ 12

Persea

“ 59

Petracanthus

“ 116

Petunia

“ 109

Phaedra

“ 54

Phajus

“ 78

Phalaenopsis

“ 78

Phalaris

“ 54

Pharbitis

“ 35

Phaseolus

“ 61

Philadedelphus

“ 105

Phillyrea

“ 76

Philodendron

“ 10

Phlomis

“ 58

Phlox

“ 87–88

Phoenix

“ 83

Phormium

“ 57

Photinia

“ 90

Phygelius

“ 107

Phylica

“ 97

Phyllocactus

“ 19

Physianthus

“ 12

Physostegia

“ 58

Pilea

“ 80

Pilogyne

“ 39

Pinus

“ 33–34

Pistacia

“ 112

Pittosporum

“ 86

Platanus

“ 86

Platycerium

“ 47

Platycodon

“ 20

Plumbago

“ 86–87

Plumeria

“ 9

Plodocarpus

“ 34

Pogonia

“ 79

Pogostemon

“ 58

Poinciana

“ 62

Poinsettia

“ 46

Polemonium

“ 88

Polyanthes

“ 53

Polygalaceae

“ 88

Polygonatum

“ 13

Polygonum

“ 89

Polypodium

“ 47

Pontederia

“ 90

Populus

“ 102

Porlieria

“ 117

Portulaca

“ 91

Potentilla

“ 98

Pothos

“ 10

Primula

“ 92

Prinos

“ 23

Pritchardia

“ 83

Prumnopitys

“ 34

Prunus

“ 93

Psidium

“ 71

Ptelea

“ 101

Pterocarya

“ 57

Ptychosperma

“ 83

Pueraria

“ 62

Pulmonaria

“ 17

Punica

“ 93

Pyrethrum

“ 28/30

Pyrus

“ 90

Quercus

pag. 39

Ranunculus

pag. 96

Raphiolepis

“ 90

Reseda

“ 96

Restrepia

“ 79

Retin<i>spora

“ 34

Rhamnus

“ 94

Rhapis

“ 83

Rhodanthe

“ 30

Rhododendron

“ 44–45

Rhus

“ 112

Rhynchospermum

“ 9

Ribes

“ 97

Ricinus

“ 46

Richardia

“ 10

Robinia

“ 60/62

Rochea

“ 37

Rohdea

“ 13

Rondeletia

“ 100

Rosa

“ 98

Rubus

“ 98

Rudbeckia

“ 30

Ruellia

“ 3

Ruscus

“ 13

Russelia

“ 108

Sabal

pag. 83

Saccharum

“ 54

Saccolabium

“ 79

Saguerus

“ 82

Salisburia

“ 34

Salix

“ 102

Salpiglossis

“ 109

Salvia

“ 58

Sambucus

“ 21

Sanchezia

“ 108

Sansevieria

“ 13

Santolina

“ 30

Sanvitalia

“ 30

Saponaria

“ 22

Sarcococca

“ 18

Sarracenia

“ 104

Sassafras

“ 59

Saxegoth<a>ea

“ 34

Saxifraga

“ 105

Scabiosa

“ 41

Schinus

“ 8

Schizanthus

“ 109

Schizophragma

“ 105

Sciadocalyx

“ 50

Sciadopitys

“ 34

Scilla

“ 53

Scolopendrium

“ 47

Scyphanthus

“ 64

Seaforthia

“ 83

Sedum

“ 37

Selaginella

“ 63

Senecio

“ 27/30

Sequoia

“ 34

Serissa

“ 100

Sicyos

“ 39

Silene

“ 22

Siphocampylus

“ 65

Skimmia

“ 101

Sobralia

“ 79

Solanum

“ 109

Solidago

“ 31

Sollya

“ 86

Sonerila

“ 69

Sophora

“ 62

Sophronitis

“ 79

Sparaxis

“ 56

Sparmannia

“ 113

Sphenogyne

“ 30

Spiraea

“ 98–99

Stachys

“ 58

Stachyurus

“ 113

Stanhopea

“ 79

Stapelia

“ 12

Staphylea

“ 103

Statice

“ 87

Stauntonia

“ 15

Stenocarpus

“ 92

Stephanophysum

“ 3

Stephanotis

“ 12

Sterculia

“ 110

Stevia

“ 30

Stokesia

“ 30

Stranvaesia

“ 90

Strelitzia

“ 73

Strobilanthes

“ 3

Struthiopteris

“ 47

Styrax

“ 111

Syagrus

“ 83

Symphoria

“ 91

Syringa

“ 76

Tabernaemontana

pag. 9

Tagetes

“ 30

Tamarix

“ 111

Tamonopsis

“ 47

Tanacetum

“ 29–30

Taxodium

“ 33

Taxus

“ 34

Tecoma

“ 16

Tetranthera

“ 59

Teucrium

“ 58

Thalia

“ 68

Thalictrum

“ 96

Thrinax

“ 83

Thuia

“ 34

Thu<j>opsis

“ 33–34

Thunbergia

“ 3

Thymus

“ 58

Tilia

“ 113

Tillandsia

“ 17

Torenia

“ 108

Torreya

“ 34

Tournefortia

“ 17

Trachycarpus

“ 83

Tradescantia

“ 26

Trichopilia

“ 79

Trichosanthes

“ 39

Tricyrtis

“ 53

Triteleia

“ 53

Trithrinax

“ 83

Tritoma

“ 52

Trollius

“ 96

Tropaeolum

“ 114

Tulipa

“ 53

Tupistra

“ 10

Tydaea

“ 50

Ulmus

pag. 80

Uniola

“ 54

Urostigma

“ 72

Vallota

pag. 6

Vanda

“ 80

Vanilla

“ 80

Verbena

“ 116

Vernonia

“ 31

Veronica

“ 117

Viburnum

“ 21

Villarezia

“ 23

Villarsia

“ 48

Vinca

“ 9

Viola

“ 117

Virgilia

“ 62

Viscaria

“ 23

Vitex

“ 115

Vittadinia

“ 31

Vol<k>ameria

“ 116

Wahlenbergia

pag. 20

Washingtonia

“ 83

Weigelia

“ 21

Wellingtonia

“ 34

Wigandia

“ 54

Wistaria

“ 61–62

Withania

“ 110

Xanthoceras

pag. 103

Xanthoxylon

“ 101

Xeranthemum

“ 30

Yucca

pag. 52

Zamia

pag. 24

Zausch<n>eria

“ 43

Zelkova

“ 80

Zeph<y>ranthes

“ 6

Zinnia

“ 31

Zygopetalum

“ 80

I. Cenno storico sui giardini d’Italia

[I.I.] Specie e varietà culturali

[4] Le piante coltivate in Italia a scopo d’ornamento, escluse quelle più rare che <qua> e là s’introducono dagli amatori, ammontano a poco più di 1800 specie.75 Tra esse sono comprese quelle allevate a <pien’aria>,76 se provenienti da clima simile al nostro, e a cui abbiano potuto facilmente adattarsi, e le altre custodite nei <tepidari>,77 nelle aranciere,78 nelle serre, se originarie dei paesi assai più caldi del bacino mediterraneo, <per cui> non è concesso di esporle all’aria libera se non nell’estate.

[5] Ma il numero delle forme vegetali di cui si occupa l’arte del giardinaggio sarebbe di molto accresciuto, se si volesse tener conto degl’ibridi e delle varietà,79 che ascendono a parecchie migliaia, ottenute fin giù e che si ottengono di continuo mercé l’opera dei floricultori. Per l’intento del presente lavoro, col quale ho voluto semplicemente rintracciare l’origine geografica, il paese nativo delle nostre piante da giardino e da parco, ordinandole, come dissi, nelle loro famiglie naturali, si è dovuta escludere la far<r>agine di tutte le varietà uscite dalla scelta artificiale e dalla ibridazione.

[6] È ben vero che in molti casi, siffatte varietà artificiali, sia per la bizzarria delle forme, sia per la bellezza dei colori, interessano gli amatori assai più delle buone specie. Ma, attesa la loro grande mutabilità, sarebbe stato forse impossibile, avendone pure avuta larga conoscenza, trattarle con quegli stessi | criteri scientifici che valgono a determinare e classificare le specie originarie e tenaci.

[7] In questa rassegna non vennero dunque registrate le numerosissime piante ornamentali, derivate in Europa e in altri paesi da modificazioni di vere e buone specie, dalla coltura delle quali, o il caso o l’arte,80 fecero uscire discendenti diversi, ove apparvero caratteri nuovi,81 che al coltivatore premette di mantenere, talvolta con difficile cura,82 tanto nella mole, quanto nella forma o nel colore, sia degli organi vegetativi, sia di quelli fiorali.

[8] Nelle piante erbacee i prodotti della ibridazione e le forme ottenute coi vari mezzi della coltura e della selezione artificiale, furono di gran lunga più numerosi in confronto degli alberi. E ciò principalmente perché in quelle la durata della vita è più breve, maggiore la loro naturale plasticità morfologica, assai più rapida la moltiplicazione o per seme o per talea83 o per rizomi o per bulbi.84

[9] È così ad esempio che da una sola specie di giacinto, di ranuncolo, di cineraria, da due specie di crisantemo, di dalia<,> da poche specie di pelargonio, di tulipano, di viola ecc. si ottennero centinaia e anche migliaia (giacinti 2500)85 di varietà, continuamente mutabili alla loro volta e che mentre fuggono, con la loro instabilità, a qualunque sistemazione, costituiscono una suppellettile di sommo interesse per i floricultori.

[10] Nelle piante arboree, per ragioni fisiologiche opposte a quelle ricordate nelle piante erbacee, il numero delle varietà è, relativamente, ristretto, in particolar | modo nelle famiglie che si riproducono per seme. Fanno eccezione quindi le specie legnose, in cui è facile la moltiplicazione per talea o per margotta,86 come le azalee, le camelie, le gardenie, le rose.

[11] E tra le piante legnose stesse, quelle minori, cioè i suffrutici e gli arbusti, che concorrono alla ornamentazione dei giardini con i loro fiori e col vario colore delle foglie, come le piante erbacee, offrono <un> maggiore numero di varietà, a paragone dei grandi alberi, sia perché più facilmente si prestano alla mutabilità e alla selezione artificiale, sia perché in esse tale mutabilità è promossa con maggiore arte, e ricercata con maggiore premura. Si hanno, ad es<empio>, serie ammirevoli di varietà nei generi: Fucsia, Azalea, Rhododendron, Camellia, Hibiscus, Abutilon, Spiraea, Syringa, Weigelia, Clematis, Hedera, Aucuba, Euonymus, Ligustrum, Nerium, Bouvardia ecc.

[12] Tra i frutici merita speciale ricordo il gen<enere> Rosa,87 la regina dei fiori entrata sotto il dominio dell’uomo dai tempi più remoti, tenuta in altissimo conto dai Greci e dai Romani, proclive per sua natura alla ibridazione, facilmente sottomessa agli incroci, spinta a variazioni sempre nuove con diversi metodi di coltura. Dimodoché nel pelago delle sue numerosissime e incessanti varietà, è reso assai difficile, se non impossibile, rintracciare le specie originarie, dopo l’aggiunta di nuove razze alle poche stirpi antiche.

[13] Le diverse suddivisioni dei rosai, adottate dai floricultori, sono fondate spesso su criteri empirici, e piuttosto ché illuminarci nel rintracciare le specie selvatiche | da cui uscì la serie innumerevole delle rose domestiche, ne intralciano e arrestano anche la ricerca.88

[14] Tra gli alberi ornamentali una sola famiglia, quella delle Conifere,89 in mezzo a circa un centinaio di specie, coltivate oggi più abbondantemente in Italia, ci ha dato un buon numero di varietà artificiali, distinte più che altro per il portamento della chioma e per il colore delle foglie.

[I.II.] Giardini dell’epoca romana

[15] I Greci e i Romani, dotati di un sentimento estetico squisito, dovettero necessariamente tenere in gran pregio quel supremo ornamento, che è rappresentato sulla terra dalle piante e dai fiori.90 A prescindere quindi dalle specie che essi vollero sacre, per la loro utilità diretta (piante agrarie) o indiretta (essenze dei boschi), ebbero cura di coltivare nei loro giardini, dei quali cercheremo in seguito di rievocare l’aspetto,91 i fiori più pregiati o per il colore o pel profumo, noti al mondo antico.

[16] La mitologia, i poemi dell’antichità, ciò che resta delle storie di Grecia e di Roma, i rilievi scolpiti e gli affreschi salvati dalle rovine del tempo, sono le sorgenti ove possiamo attingere le notizie relative ai giardini delle età civili da noi più lontane.

[17] Ma è purtroppo da lamentare la scarsità di tali documenti, perché, negli scritti greci e romani, le piante ornamentali sono spesso ricordate per incidenza, confuse sovente con piante agrarie ed orticole, e nella descrizione di molte fra esse, non è detto ben chiaro se si mantenevano allo stato selvatico o erano già entrate nel dominio della domesticità. È da supporlo, ma molte volte non ci è dato di documentarlo.

[18] A significare il giardino usarono i Romani | la parola hortus92 (che doveva pronunziarsi, almeno in principio, ghortus), da cui derivò, come ognun vede, la parola italiana orto. Ma il senso che anche oggi noi attribuiamo all’orto, cioè quel recinto dove si coltivano particolarmente le piante alimentari o aromatiche da condimento, scaturisce evidentemente dal significato stesso che i Romani davano al loro hortus ove, se si allevavano le poche specie ornamentali a loro note, non mancavano le erbe propriamente orticole, che pare anzi avessero una certa predilezione. Tali sono ad esempio: la cicoria, la ruchetta, il sisero93 (venuto forse per la Grecia dall’Asia occidentale)<,> il cappero, l’aneto, la ruta, la senape, l’aglio, la cipolla, il lepidio, il cavolo, il porro, la maggiorana (d’origine persiana e quindi data a noi dai Greci)<,> la santoreggia, la zucca con il cocomero e il melone (venuti dalle Indie, probabilmente con la spedizione di Alessandro il Macedone), il carciofo, l’asparagio, la bietola, la rapa, il prezzemolo (apio), la pastinaca, il ravanello, l’elenio. E fra queste piante orticole, sono ricordate promiscuamente le specie ornamentali, come il narciso, il giglio, la viola, il papavero,94 la bocca di leone, l’amaranto (Plinio,95 Columella),96 tanto da far credere che si allevassero insieme. La separazione quindi fra piante orticole e piante fiorifere da giardino è da ritenere si effettuasse gradatamente più tardi.

[19] Al principio del medio evo (secolo IX) l’abate Valafrido97 nel suo poema l’<H>ortulus, ci descrive il giardino che continuava ad avere l’aspetto del<l’>|hortus romano, con ancora la coltura della salvia, della ruta,98 dell’assenzio, della menta, della melissa, del sedano, del finocchio ecc. insieme alla rosa, al giglio, al papavero, al gladiolo.99

[20] Ma allora fu che, nascendo la lingua italiana, essa serbò la parola orto per significare il recinto di coltura delle civaie,100 e fu costretta a creare la parola giardino, che del resto scaturisce dallo stesso nome latino hortus (ghortus),101 per intendere l’altro recinto, destinato all’allevamento delle piante ornamentali.

[21] Così la voce hortus si ritrova in quella d’un dialetto tedesco, gort’n, da cui venne il tedesco classico attuale garten, e quindi le parole: garden (ing<lese), giardino, jardin (fra<ncese>), jardín (sp<agnolo> - pronunciando con aspirazione ghardín)102 ecc.

[22] In una scrittura<,> riferendosi a Carlo il Calvo, nell’anno 849(1), occorse per la prima volta la parola gardinum o gardinium, dalla bassa latinità, ove si parla di uno stabilimento posto «inter vineam et aedificia et gardinium».103

(1) Debbo questa notizia alla cortesia del valente filologo prof. mns. Giamagli.104

[23] Si aggiunga che, allorquando si istituirono in Europa quelli che oggi si chiamano giardini botanici, prima in Italia a Venezia, a Padova, a Pisa, a Bologna,105 e più tardi altrove, essi non furono destinati di preferenza alla coltivazione delle piante ornamentali, ma valsero specialmente come sussidio agli studi della medicina, che attribuiva allora grandi virtù a certe piante | o semplici, e perciò si chiamarono orti dei semplici.106

[I.III.] Piante da fiore, allevate dai Romani

[24] Fra le piante che all’epoca romana si allevavano per la bellezza o l’odore dei fiori, sa ognuno che ebbe il primato la rosa, cantata e ricordata, può dirsi, da tutti i poeti dell’età latina, consacrata dalla mitologia, che la fece nascere dal sangue di Venere. E rammentando l’uso larghissimo che i Romani facevano delle rose, con le quali intessevano ghirlande per i conviti(1), i sacrifici, i dei Lari, le tombe(2), le glorie guerresche, convien pensare che della coltivazione delle rose molto s’interessassero.107 Sappiamo infatti (Plinio) che ne distinguevano alcune razze,108 cioè la Rosa Pr<a>enestina, la Ca<m>pana, la Milesia, la T<rach>inia, l’Alabandica, la Spin<i>ola(3), già in allora uscita da poche specie originarie.

(1) «Et latet iniecta splendida mensa rosa» OVID.109

(2) «Illa meo caros donasset funere crines, / molliter et tenera poneret ossa rosa» PROP.110

(3) E persino la rosa rifiorente di Pesto «biferique rosaria Paesti» VIRG.111

[25] Tra queste, assai probabilmente era entrata nella domesticità la specie indigena, Rosa gallica,112 dacché Plinio ci dice che le rose domestiche d’Italia uscivano, fin d’allora, anche da specie selvatiche. Ed esisteva pure, chiaramente descrittaci, la Rosa centifolia,113 che è la nostra comune rosa maggenga,114 splendida sempre, anche nella sua rusticità, per il colore e la forma, squisitamente profumata.

[26] Se si tiene conto dell’origine indiana di questa specie, è da credere che dalle Indie essa sia venuta in Grecia, donde fu trasportata in Italia.115 D’altronde il fatto che questa specie di rosa, che cresce oggi fra noi senz’alcuna cura, ha assunto il carattere biologico di pianta indigena, ci conferma nel ritenere antichissima la sua introduzione nei nostri | orti e giardini.

[27] Che le rose si coltivassero abbondantemente in Grecia è risaputo con certezza dagli scrittori di quel paese ed è particolarmente detto da Teofrasto,116 che ne distingue parecchie (non si può capire se varietà o specie) con odore e senza odore. E tanto nella lingua greca (ροδωνιά)117 quanto nella latina (rosetum, rosarium), abbiamo parole che rivelano come<,> nelle civiltà dei popoli greci e latini, le rose venissero coltivate anche allora gregarie, come si pratica oggi.

[28] Poche sono invero le altre piante, ornamentali per i loro fiori, che vengono ricordate nei libri greci e romani. E la maggior parte di esse è rimasta ancora negli attuali giardini, ma come piante volgari, coltivate talora anche nei nostri orti.

[29] Così sappiano che negli horti romani (Plinio) si allevavano le piante seguenti: il papavero, di cui Tito Livio fa risalire la coltivazione ai tempi leggendari di Tarquinio il Superbo,118 nominato pure da Omero (νηπενθες)119 e venutoci quindi dal Levante, sua patria, per il tramite della Grecia; l’anemolo,120 ove la mitologia simboleggiò le lacrime di Venere;121 l’adonide rossa,122 scaturita dal sangue di Adone; il giglio aranciato,123 che è l’emerocallide di Dioscoride;124 il giglio turco<,>125 che risponde all’asfodelo (ασφοδελος)126 dei greci; il nelumbio127 (κυαμος128 di Teofrasto)<,> che dalla sua terra nativa, l’Egitto, passò in Grecia; la mammola129 o viola (ίον)130 e il giacinto(1);131 la violacciocca,132 già distinta da Plinio in bianca e rossa;133 la violacciocca gialla;134 il mughetto;135 la ninfea;136 il giglio bianco comune137 (λειριον)138<,> che si ritiene anch’esso originario d’Oriente.139 |

(1) Ricordati da Virgilio nei versi: «qualem uirgineo demessum pollice florem / seu mollis uiolae seu languentis hyacinthi».140

[30] Altre piante da fiori si ricordano pure da scrittori romani (Varrone,141 Columella) e cioè: il narciso142 (νάρκισσος);143 la bocca di leone;144 l’iride o giaggiolo145 (Ιρις),146 di cui gli antichi possedevano varie specie o varietà, come ci dice Plinio<:> «floret [Iris] diversi coluris specie, sicut areus coelestis»;147 il fior di Giove o licnide148 (λυχνις)149 e l’immortale o amaranto150 (gomphrena <in> lat., αειζωον),151 originario delle Indie, donde venne in Grecia con la spedizione di Macedone, perciò detto anche amaranto d’Alessandro, e dalla Grecia in Italia(1).

(1) N<e> mancava l’aranciata calendula<,>152 che doveva essere la caltha di Virgilio. È ricordata infatti come pianta ornamentale insieme al giglio e al<lo> zafferano («aut crocus alterna coniungens lilia caltha» CIRIS).153

[31] Di tali piante alcune si riscontrano negli affreschi di Pompei154 (Comes),155 quali il nelumbio,156 il narciso,157 l’iride,158 il malvone,159 l’amello,160 senza dire delle rose.161

[32] È da rilevare infine che alcune altre piante floreali, ricordate più specialmente dai Greci, entrassero pure negli horti romani, come il cartamo o zafferanone162 (κνηκος)163 preso dall’Egitto, il ricino164 (κροτών)165 venuto dalle Indie, il ginestrone giallo166 (κύτισος),167 la saponaria168 (στρουθειοσ),169 il ciclamino170 (κυκλαμινος),171 l’asfodelo giallo172 (ασφοδελος),173 la scilla174 (σκιλλα),175 la peonia176 (Παιονία),177 la dafne178 (θυμελαια),179 il lillatro180 (φιλυρέα).181

[33] Ma pur tenendo conto di tutte le piante da fiore note nell’antichità e passate qui in rassegna, ben poca cosa poteva essere il giardino floristico di Roma, per quanto sussidiato dall’arte estetica d’allora, in confronto del vero giardino nel senso moderno, arricchito dagli splendori di migliaia di piante esotiche. Vedremo come gli antichi, a dare tutta la nota grandiosità ai loro horti, dovettero ricorrere ad altri | sussidi della bellezza vegetale, oltre quelli forniti dall’arte statuaria e architettonica.

[34] Basterebbe fare un semplice confronto: i Romani possedevano soltanto, allo stato domestico, una trentina d’erbe da fiore, mentre oggi si hanno in Italia parecchie migliaia di piante erbacee ornamentali, in specie o varietà o ibridi, diverse fra loro per il portamento, la figura e la tinta delle foglie, i colori dei fiori che ripetono la più ricca e vaga scala cromatica. Quanti accordi, quante combinazioni di toni e di armonie visive, in confronto delle poche note colorate che potevano usare, coi loro fiori, gli antichi! Come la musica del <R>inascimento, da Rossini su su fino a Verdi, in paragone delle canzonette di <due> secoli fa.

[35] Il giardino quindi dell’epoca antica, nel senso che noi oggi gli attribuiamo, cioè di un allevamento di piante erbacee o quasi, pregiate per i colori dei fiori, sarebbe stata una cosa assai modesta, inade<g>uata alla grandiosità delle altre opere artistiche del popolo greco e romano.

[36] Ecco perché i pochi fiori di quel tempo si allevavano negli horti, più per raccoglierli, usandone ad abbellimento della persona e delle feste, che per crearne un’opera d’arte, sto per dire vivente, riunendoli, aggregandoli nelle aiuole, nei bastieri, come oggi si costuma.

[37] A sostegno di quanto espongo, vi è da considerare che i Romani e i Greci, per supplire alla scarsità delle piante da fiore, nei loro orti minori, vi allevavano alcune specie di erbe odorose, tramandate nell’orto italiano fino ai tempi nostri. |

[38] Dell’Italia romana si noverano ad es<empio>: lo spiconardo,182 la menta,183 il dittamo,184 la melissa,185 il serpillo,186 il maro,187 la matricaria,188 il basilico,189 il tanaceto,190 l’assenzio,191 l’abrotano,192 venute in parte dall’Oriente, in parte prese dalla nostra flora indigena.

[39] Ma allora, domandiamoci, che cosa erano, nella loro indiscussa sontuosità, i famosi horti di Sallustio, di Lucullo,193 di Mecenate, di Plinio, dei Cesari, di Pompeo, di Adriano,194 di Nerone? <E> che cosa i κηποι195 di Epicuro, dell’Accademia di Atene, i paradisi di Ciro il persiano, l’incantevole giardino delle Esperidi?(1)

(1) Lo vedremo tra poco, dopo altre indagini che ci permetteranno di ricostruire il giardino <r>omano in ogni sua parte.

[I.IV.] Alberi ornamentali dell’età romana

[40] Ricercando unicamente sotto il punto di vista della flora ornamentale, noi possiamo arguire che l’abbellimento principale dei luoghi di delizia ove Greci e Romani, assetati di piacere, traevano ispirazione ai loro canti e nascondevano la voluttà dei loro vizi, doveva essere fornito dagli alberi, sia per la loro durabilità, sia per la mole, sia per il fascino che essi valgono a spiegare nel sentimento di un esteta, sia per il misticismo che vi annetteva la civiltà di quei tempi, scegliendo alcuni alberi come emblemi o personificazioni o pronubi del sensuale mito pagano.

[41] Sa ognuno, ad es<empio>, come l’alloro,196 che era coltivato anche | gregario (lauretum), fosse sacro ad Apollo e godesse la maggiore celebrità, per il preteso potere d’infondere l’entusiasmo ai poeti e lo spirito di profezia.197 Veniva piantato accanto alle porte dei palazzi imperiali e attorno ad essi e Plinio, con Cicerone, lo chiama: «gratissima domibus ianitrix».198 Il mirto,199 emblema degli amanti,200 dedicato a Venere,201 usato sovente nei ludi della dea,202 doveva allevarsi copiosamente nel myrtetum. Così l’edera,203 sacrata a Bacco dai Greci, doveva essere largamente sparsa nei giardini, dacché si usava anche coronarne le deità protettrici di questi. E così dicasi pure della quercia,204 sacra a Giove,205 del pioppo206 a Ercole.

[42] Il cipresso207 fu tramandato ai latini come emblema del dolore, dai Greci208 che lo trovarono selvatico nell’arcipelago. Il platano orientale,209 principale ornamento dei giardini dell’Accademia di Atene,210 venne a Roma verso l’epoca della sua conquista dai Galli, e tanto i Romani ne apprezzarono la grande bellezza, da coltivarlo abbondantemente nei loro platanon, ad imitazione dei Greci (πλατανων).

[43] A tali alberi, che sono fra i più maestosi, compresa l’edera211 che vi <sale>, si aggiungano tutti gli altri coltivati nell’antichità, indispensabili a completare l’adornamento di un parco. Rammentiamo, fra essi, il leandro,212 effigiato anche a Pompei;213 il melograno,214 che si ritiene portato in Roma da Cartagine;215 la palma,216 consacrata dai poeti agli eroi e alla vittoria; il pistacchio,217 tratto dalla flora indigena ed entrato nelle colture d’Italia ai tempi di Tiberio;218 il tiglio,219 grato anche all’ape, per il miele de’ suoi fiori fragranti (Virgilio);220 il corbezzolo,221 dai | rami e dai frutti di corallo, di cui Virgilio mirifica l’ombra soave in quei versi:

Muscosi font<e>s et somno mollior herba,

et quae vos rara viridis tegit arbutus umbra;222

l’agnocasto,223 apprezzato dai tempi più remoti; e poi il bosso o mortella,224 di cui Virgilio ammirava la folta chioma…<:> «et juvat undantem Buxo»;225 il corniolo,226 consacrato dai Romani, che ne recingevano di muri le piante;227 l’olivo di Boemia o eleagno,228 trasportato dall’Asia in Grecia e a Roma (Ziziphus Cappadocica (?) di Plinio); il ligustro,229 tenuto in pregio per il candore dei fiori (alba ligustra);230 il viburno<,>231 di cui dice Virgilio, alludendo alla sua coltivazione: «quantum lenta solent inter viburna cupressi»;232 l’acacia vera233 (da non confondersi con la nostra comune robinia)234 tradotta dall’Egitto, effigiata nei dipinti pompeiani;235 l’aloe di Grecia,236 il moro nero ricordato da Plinio e da Virgilio,237 dipinti pure a Pompei (Comes).238

[44] Né, a complemento delle colture di alberi ornamentali, potevano mancare certe conifere allora note in Europa. Ricordiamo che Virgilio ammira la bellezza del pino239 nei giardini, confrontandolo al frassino selvatico:240 «Fraxinus in silvis pulcherrima, pinus in horto».241 Il tasso242 <lo> avranno forse i Romani bandito dal novero delle conifere ornamentali, dacché ne ritenevano velenosa perfino l’ombra;243 seppure, insieme al cipresso, non l’usavano come pianta funebre, essendo esso triste emblema, portato ad ombreggiare le rive dello Stige e di Acheronte.244 Invece avranno compreso tra le conifere d’ornamento l’eccelso abete,245 di cui molto apprezzavano e largamente usavano il legno. |

[45] E ora si noti che quasi tutti gli alberi ornamentali che abbiamo ricordati e di cui è accertata la coltivazione negli antichi tempi, sono piante sempreverdi.246 I Romani dovevano quindi dare il carattere di una verdura perenne ai luoghi di delizia ove si allevavano. Da qui pertanto i nomi di viridarium, viridia, usati spesso dai latini come sinonimi della nostra parola giardino.

[I.V.] Aspetto del giardino romano

[46] Ecco adunque il giardino romano che ci si delinea in tutta la sua grandiosità, con i suoi viali di platani, di pioppi, di elei, ove già nella superba Roma Imperiale, come oggi, svolazzavano le cornacchie («ante sinistra cava monuisset ab ilice cornix» VIRG.247), co’ suoi recessi ombrosi e fragranti (amoena vire<c>ta)248 dell’alito dei pini e del profumo di tigli e di leandri fioriti<,> coi suoi boschetti d’alloro (laureta), con seducenti nascondigli di mirto(1), con le sue siepi di bossi, con le spalliere di rose, con le edere abbarbicanti e con le altre piante legnose che abbiamo in precedenza nominate(2).

(1) «gratissima <…> formosae myrtus Veneri» VIRG.249

(2) E fra queste piante disposte con arte squisita in spaziate di radure ove il sole concedesse le zolle fiorite, era profuso anche il superbo ornamento complementare dell’arte architettonica, della statua, delle fontane e di quant’altro fosse degno di aumentare la meravigliosa bellezza di quei luoghi di delizia in quell’alma Roma ove tutto era grande, tutto era bello, tutto pareva dovesse pure essere eterno.

[47] Che tale fosse in realtà il giardino romano, è confermato specialmente dagli scritti di Plinio il Giovane.250 Così nella lettera ad Apollinare,251 descrivendo egli la sua Tusculana,252 ricorda le siepi di bosso e di altre piante, ad arte modellate e tosate, gli allori, i mirti, i platani e, se accenna alle aiuole fiorite, dice più specialmente di porte e di finestre attorniate di verdura. Allorché parla della villa di Caninio Rufo a Como,253 ne esalta i viali e il platanon opacissimus, per dire delle fitte ombre, specialmente gradite, come già dissi, ai Romani.

[48] Ma se tanta parte avevano gli alberi nei giardini d’allora, ciò non toglie che vi si lasciassero, come si pratica oggi nei nostri parchi, quegli spazi che aggiungevano alla bellezza delle ombre gli splendori del sole. E in questi spazi si saranno allevati i pochi fiori che i Romani conoscevano. |

[49] Si aggiunga che alla flora ornamentale arborea, probabilmente partecipavano allora anche gli alberi da frutto. Plinio serviva a Gallo dei fichi e dei mori che adornavano il suo giardino di Laurento. Si sa inoltre che i Romani coltivavano le piante da frutto gregarie nel loro pometum, che avrà servito anche d’ornamento campestre, traendone forse esempio dai popoli d’Oriente.254 Sappiamo infatti che cosa fosse il giardino delle Esperidi, posto nella Cirenaica, descritto nel Periplo di Scyraz: tra i mirti, gli allori e l’edera, vi sono noverati molti alberi da frutto, oltre gli aranci o cedri che anche oggi si coltivano colà e che s’introdussero in Italia più tardi.

[I.VI.] Giardini del medio evo255

[50] E con l’arbusto che ci dà il profumato frutto chiamato cedro,256 noi entriamo nel periodo medievale del giardinaggio italico. Sebbene infatti il cedro, noto a Plinio257 e ai Greci (μήλον μηδικον)258 venisse portato dalle Indie nella Persia e nella Media, dopo la spedizione d’Alessandro, non si acclimatò in Italia se non nel V secolo,259 pare per opera di Palladio.

[51] Dopo il cedro, forse nel XIII secolo (Clarici),260 s’introdussero tra noi l’arancio amaro,261 probabilmente all’epoca delle Crociate,262 e il limone,263 ambedue di origine ugualmente indiana.264 Assai più tardi, cioè in epoca moderna dal XVI secolo, si ebbe dalla Cina l’arancio dolce.265

[52] Del resto poche notizie ho potuto raccogliere sull’accrescersi delle piante ornamentali, sia degli alberi, sia dei fiori, nei mezzi tempi.266 Però se di qualche poco aumentò il numero delle specie erbacee che scaturirono, più che altro, dalla flora selvatica indigena, pare non avanzassero i progressi del giardinaggio. È da ritenere invece | che nell’arte di quest’ultimo assai si decadesse in paragone della precedente età romana.267

[53] Tuttavia, da quanto lasciò scritto sui fiori l’imperatore Costantino IV,268 detto Pogonato, del VII secolo, sembra che a Costantinopoli, per opera specialmente dei turchi,269 si coltivassero in quel tempo molte piante di giardino. Certo è bizantina l’origine di parecchie, coltivate fra noi da vari secoli, che si considerano oggi tra le specie ornamentali più comuni.

[54] Ricordiamo anzitutto il garofano,270 che s’introdusse in Italia verso la fine del XIII secolo. E, dopo il garofano, il giacinto,271 portatoci dall’Oriente al ritorno dalle Crociate,272 l’artemisia dracuncolo,273 il muschio comune,274 la lunaria,275 il viburno palla di neve,276 l’alaterno,277 i primi ranuncoli,278 verso la metà del 1200; la rosa di Damasco,279 la nigella di Damasco,280 il croco comune o zafferano281 nel 1300.

[55] Oltre queste piante, che perdurano nei nostri giardini e boschetti, rammentiamo qui alcune altre specie di origine indigena, ormai abbandonate o quasi dai floricultori, ma la cui coltura resistette fino al principio del secolo testé chiuso. Tali sarebbero, coi nomi che loro si attribuivano nel 1700 (Clarici): il muschio greco (Muscari racemosum),282 l’ermodattilo (Hermodactylus tuberosus),283 la linaria di Portogallo (Linaria triornithophora), il gigliastro (Liliastrum album),284 l’ornitogolo (Ornithogalum narbonense et umbellatum), il giglio alessandrino (Ornithogalum arabicum), il giacinto stellare (Scilla campanulata),285 alcune Orchis e Ophrys indigene, distinte promiscuamente col nome di palmacristi, la viola bulbosa | (Leucojum vernum), il falangio (Phalangium liliago286 et ramonum)287<,> il moly giallo e bianco288 (Allium moly et neapolitanum)<,> la pulsatilla (Anemone pulsatilla),289 la frassinella (Dictamnus albus), la conyza (Linosyris vulgaris), l’asteroide290 (Inula salicina), la verga d’oro (Solidago virgaurea), il caprifoglio (Lonicera caprifolium) ed alcune altre che, come le nominate, s’incontrano facilmente selvatiche nella flora nostra.

[I.VII.] Giardini dell’epoca moderna

[56] È facile capire come, con l’estendersi delle comunicazioni verso l’Asia orientale e meridionale, con la circumnavigazione dell’Africa australe, con la scoperta infine dell’America, abbiano potuto giungere in Europa, dopo il medio evo, le prime falangi di piante ornamentali esotiche. E in tal modo i giardini, con l’intervento specialmente delle piante erbacee da fiore, abbiamo assunto l’aspetto odierno, siano sorte le serre per la coltura delle specie tropicali e fosse dato ai floricultori di modificare il numero degli ibridi e delle varietà.

[57] I veri giardini<,> pertanto, destinati specialmente alla coltivazione dei fiori sorsero tra il 1500 e 1600, distinti dai parchi ove, più che altro, si ha di mira l’ornamento degli alberi.

[58] Rammentiamo ad es<esempio> in Italia i giardini romani dei Cornari, dei Mattei, dei Peretti, dei Farnesi, dei Ludovisi, dei Doria, dei Borghese, dei Bentivoglio, dei Barberini, e dei Pontefici, oltre quelli di Tivoli, di Frascati, di Citerna; il giardino dei Gonzaga a Mantova, dei Medici a Firenze, del Principe | di Caserta. E fuori d’Italia, basterà ricordare i giardini di Costantinopoli, che continuarono a fornire di nuove piante i già nominati; indi i giardini dei Re di Spagna a Toledo, dei Re di Francia a Versaglia, a Parigi, dei Duchi di Brabanza a Bruselle;291 e poi quelli di Vienna, di Salisburgo, d’Olanda, di Windsor in Inghilterra.292

[I.VIII.] Piante ornamentali introdotte dal 1500 alla fine del 1700

[59] Per ciò che riguarda l’Italia tenterò, coi dati che ho potuto raccogliere, di enumerare le specie di piante ornamentali più rimarchevoli, tanto erbacee quanto legnose, entrate successivamente nelle nostre colture durante i secoli XVI, XVII e XVIII.

[I.VIII.I] Secolo XVI

[60] Nel 1500 s’introdussero fra noi le piante seguenti: aconito,293 speronella,294 vellutino,295 celosia,296 canna d’India,297 campanula piramidale,298 fiocco di cardinale,299 erba pappagalla,300 asfodelo giallo,301 meraviglia,302 gelsomino di Catalogna,303 ciclamino di Persia,304 gelsomino bianco,305 gelsomino della notte,306 riccio di dama,307 girasole,308 tuberosa,309 tulipano d’Olanda,310 pianta del refe,311 iberide violetta,312 lunaria,313 garofano a mazzetti,314 sassafrasso,315 lillà comune,316 stramonio bianco e violetto,317 polemonio,318 leonuro,319 digitale,320 corona imperiale,321 giglio susino, iride minore di Spagna,322 elleboro nero (rosa di Natale),323 sempiterno giallo,324 chioma d’oro,325 astro turchino,326 puzzola,327 crisantemo da corona, margheritina,328 bignonia o gelsomino del Canada, gelsomino giallo senza odore,329 gelsomino giunchiglia, lillà roseo,330 lonicera americana,331 lonicera della Cina,332 fior di passione o granadiglia.333

Di questo stesso secolo conviene ricordare la patata,334 introdotta da principio come pianta ornamentale.

[I.VIII.II] Secolo XVII

[61] Nel 1600 si aggiunsero: gladiolo,335 gelsomino mugherino,336 garofano da bordi, cappuccina o tropeolo comune,337 anemoli di Costantinopoli338 (in varietà), azalea delle Indie,339 gaggia,340 robinia comune341 (acacia), giglio del Canada,342 colchico maggiore di Bisanzio,343 colchico macchiato di Grecia,344 geranio malvarosa,345 geranio giallo odoroso,346 lavatera rosea,347 sensitiva,348 sommacco peloso,349 albero del pepe,350 ranuncoli di Costantinopoli351 (in varietà), stramonio a due colori,352 iride persiana,353 amarillide belladonna,354 amarillide vellutata,355 vite del Canada,356 fagiolo Caracalla,357 fagiolo scarlatto,358 lobelia della Virginia (cardinalizia),359 bella di notte o enotera,360 santolina o nebbia,361 balsamina,362 scilla spicata,363 corallino, rododendro porporino,364 noce americano,365 albero della canfora,366 castagno d’India (di Costantinopoli),367 pomo d’amore,368 zucca comune,369 rosa della Cina,370 tradescanzia azzurra,371 licnide croce di cavaliere,372 puzzole grandi,373 ambretta muschiata,374 ambretta candida,375 verga d’oro del Canada,376 viola matronale,377 campanula foglia di pesco,378 campanello o convolvolo comune,379 primule380 (in varietà), campanello rosso, campanello a tre colori,381 campanello quamoclit,382 astro delle Alpi,383 fisostegia,384 campanula delle Canarie,385 viola del pensiero minore,386 nerina rossa,387 vedovella.388

Si aggiungano anche in questo secolo alcuni alberi da frutto a fiore doppio come il pesco,389 il cotogno,390 il melograno.

[62] Inoltre il ‘600 può dirsi il secolo d’oro delle piante bulbose. Difatti sorse allora la mania dei tulipani d’Olanda e si crearono numeroso varietà di Gigliacee, Amarillidacee e Colchicacee, dalle specie introdotte. Di tali piante abbiamo una rassegna nell’opera di J. Parkinson,391 farmacista di Londra (1629), intitolata: Paradisi in Sole Paradisus Terrestris.

[I.VIII.III] Secolo XVIII

[63] Nel 1700392 al patrimonio floristico si aggiunsero: alisso o cesta d’oro,393 amorino o reseda,394 gardenia,395 azalea pontica,396 azalea a fiori nudi,397 calceolaria,398 camelia399 (1739), iberide sempreverde,400 celestina azzurra,401 crassula rossa,402 cedrina (lilla),403 cineraria,404 ciclamino maggiore di Persia, fucsia comune,405 zinnia,406 dalia,407 margherita rifiorente legnosa, ortensia,408 giglio corallo, giglio papilloso del Giappone,409 garofano della Cina,410 silene rosea,411 gilia rossa,412 glicinia violetta,413 pelargoni del Capo (geranî) ,414 calicanto Pompadour,415 vainiglia (eliotropio),416 valenbergia,417 latiro odoroso,418 lupino azzurro,419 lupino giallo,420 petrea,421 fico d’India,422 crisantemo (artemisia) maggiore,423 astro della Cina celeste,424 dracocefalo,425 flos a pannocchia,426 dodecanteo,427 stramonio tromba del giudizio, centranto (valeriana rossa),428 catalpa,429 cobea rampicante violetta,430 perla,431 < gleditsia >,432 liriodendro,433 paternostri,434 papirifero,435 nespolo del Giappone,436 lauroceraso,437 correa,438 lino azzurro,439 realcamara,440 poligono corallino,441 lobelia azzurra,442 caffè,443 sapindo giallo,444 sassifraga di Siberia,445 sassifraga sarmentosa.446

[I.IX.] Giardini contemporanei

[64] Siamo giunti così alle piante ornamentali che chiameremo odierne, di cui durante il 1800 si arricchirono in maniera sorprendente,447 non tanto le colture a pien’aria che già, come vedremo, ne avevano abbastanza dai secoli antecedenti, quanto i <tepidari>, ove, o per la bellezza o per le forma o per il profumo, ammiriamo oggi un grandissimo numero di specie, scelte di recente dalla flora tropicale di tutto il mondo. E ad esse aggiungansi le numerosissime varietà, ognora crescenti, ottenute dalla progredita arte del giardinaggio, in quelle specie che più si presentano alla scelta artificiale e all’ibridazione.

[65] Basterebbe ricordare i crisantemi,448 di cui gli amatori contano ormai le varietà a miglia, uscite tutte da <due> rappresentanti, che giunsero in Europa nei primi venti anni del 1700, dal Giappone e dalla Cina.

[I.X.] Conifere

[66] Nel chiudere questa breve rassegna storica sulle piante ornamentali, ricordiamo che le Conifere, scelte attentamente prima di ogni altra nella costruzione di qualunque giardino, e che conferiscono la più spiccata caratteristica ad un parco, sono, nella massima parte, d’importazione recente, cioè del secolo XIX.

[67] Fra le più antiche, abbiamo il tasso che, associato agli edifici sacri nei mezzi tempi, entrò a far parte del giardino durante il ’500, insieme alla tuia occidentale del Canada.449 L’abete argentato balsamico,450 | il cipresso della Virginia,451 il cedro della Virginia,452 giunsero in Europa dall’Ameria sett<entrionale> nel decorso del ’600; e in quel tempo stesso venne dall’Asia minore il cedro del Libano.453 Nel ’700 si aggiunsero: l’abete rosso,454 l’abete nano, il tsuga del Canada,455 il pino rigido,456 il pino di Weymouth,457 tutti nordamericani, l’abete orientale del Caucaso,458 l’araucaria rustica del Cile,459 la tuia comune del Giappone,460 la salisburia della Cina.461 E al principio del<l’>800 il ginepro greco,462 il ginepro della Cina,463 il podocarpo del Giappone.464 Tutte le altre conifere da noi registrate nei seguenti elenchi delle specie, si coltivano in Europa e in Italia da circa mezzo secolo o meno.

[I.XI.] Descrizione geografica generale di tutte le piante ornamentali

[68] Riguardo al contributo che le varie parti del mondo diedero, alla flora generale dei nostri giardini, l’America settentrionale tiene il primato, <avendo> avuto particolare riguardo alla sua flora forestale e alla facilità con cui, nelle specie di quella vasta regione geografica, si acclimatarono fra noi: ad es<esempio> le piante di California, che possiede un clima assai somigliante al clima d’Italia.

[69] Di poco inferiore al Nordamerica sta l’Asia, in special modo l’estremo Oriente, ove la Cina e il Giappone, che nutre un vero culto per i fiori,465 fornirono molte piante (specie e varietà) già colà addomesticate.

[70] Vengono in seguito l’America meridionale e l’Europa<,> che quasi si equivalgono. Indi, per ordine decrescente, l’Affrica, con predominio di piante dal Capo <di Buona Speranza>, l’Australia, l’America centrale, le maggiori isole oceaniche.


1 Ennio Flaiano, Autobiografia del Blu di Prussia (Milano: Adelphi, 2003), 14.

2 Ezio Raimondi, Scienza e letteratura (Torino: Einaudi, 1978), 17.

3 Andrea Battistini, Letteratura e scienza (Bologna: Zanichelli, 1977), 1.

4 Ibid.

5 Raimondi, Scienza e letteratura, 16.

6 Secondo un rapporto inversamente proporzionale espresso dal Vico nei termini seguenti: “[l]a fantasia tanto è più robusta quanto è più debole il raziocinio”. (La scienza nuova (1911) 1, XXXVI, 133).

7 Karl Raimund Popper, Logica della scoperta scientifica. Il carattere autocorrettivo della scienza (Torino: Einaudi, 2010).

8 Battistini, Letteratura e scienza, 2–3.

9 Raimondi, Scienza e letteratura, 6.

10 Ibid., 9.

11 Ludwik Fleck, Stili di pensiero. La conoscenza scientifica come creazione sociale (Milano: Mimesis, 2019); Robert King Merton, La sociologia della scienza. Indagini teoriche ed empiriche (Milano, Franco Angeli, 1981); Lorraine Daston, Peter Galison, Objectivity (New York: Zone Books, 2011).

12 Bruno Latour, Non siamo mai stati moderni (Milano: Elèuthera, 2018); Michel Serres, Il contratto naturale (Milano: Feltrinelli, 2019); Christophe Bonneuil, Jean-Baptiste Fressoz, La terra, la storia e noi. L’evento antropocene (Roma: Treccani, 2019).

13 Letteratura e scienza nella storia della cultura italiana. Atti del IX congresso A.I.S.L.L.I. , a cura di Vittore Branca et al. (Palermo: Manfredi, 1978).

14 Raimondi, Scienza e letteratura, 13.

15 Giorgio Mangani, Il Museo di scienze naturali “Luigi Paolucci” (Ancona: Sistema Museale della Provincia di Ancona, 2006), 5.

16 Il decreto Valerio del 1860 estese anche alle Marche quanto la legge Casati del 13 novembre 1859 già prevedeva circa l’educazione tecnica di Iº (scuola tecnica) e IIº grado (istituto tecnico). Sin dai primi anni l’Istituto si caratterizzò per i suoi successi, tanto nel numero degli allievi quanto nella qualità dei suoi insegnamenti.

17 Pamela Galeazzi, Massimo Bonifazi, “Luigi Paolucci: l’archivio, il museo, l’erbario tra studio e meraviglia”, Picenum Seraphicum XXXIII (2019), 145.

18 Nato ad Ancona nel 1832, si laureò in Ingegneria civile nel 1856. Dal 1860 occupò la cattedra di Fisica presso l’ateneo maceratese, per dedicarsi poi al riordino degli studi in Ancona, ove insegnò Storia naturale, Chimica e Fisica. Nel 1876 ottenne la direzione dell’Istituto Tecnico di Ancona.

19 Galeazzi, Bonifazi, Luigi Paolucci: l’archivio, il museo, l’erbario tra studio e meraviglia, 145.

20 Antonio Stoppani, Il Bel Paese. Conversazioni sulle bellezze naturali, la geologia e la geografia fisica dell’Italia (Firenze: Barbera, 2012); Carlo Bovolo, “Naturalisti sulle Alpi. Gli zoologi dell’Università di Torino e le scienze naturali sulle montagne dell’Ottocento”, Histoire des Alpes XXVI (2021): 51–69; Le Alpi: dalla riscoperta alla conquista. Scienziati, alpinisti e l’Accademia delle Scienze di Torino nell’Ottocento, a cura di Alberto Conte (Bologna: Il Mulino, 2015); Storia d’Italia. Annali XXVI. Scienza e cultura dell’Italia unita, a cura di Francesco Cassata, Claudio Pogliano (Torino: Einaudi, 2011), 11–35, 37–40, 58–62.

21 Marco Ciardi, “Scienza e Risorgimento nazionale”, Treccani.it – Enciclopedia on-line, 2013, https://www.treccani.it/enciclopedia/scienza-e-risorgimento-nazionale.

22 Per un approfondimento sulla storia della Società cfr. https://www.accademiaxl.it/accademia/storia.

23 Alessandro Ottaviani, “Saccardo, Pier Andrea”, in Dizionario Biografico degli Italiani (Roma: Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 2017), vol. 89. https://www.treccani.it/enciclopedia/pier-andrea-saccardo_%28Dizionario-Biografico%29/.

24 Daniele Vergari, “Targioni Tozzetti, Antonio”, in Dizionario Biografico degli Italiani (Roma: Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 2019), vol. 95. https://www.treccani.it/enciclopedia/antonio-targioni-tozzetti_(Dizionario-Biografico)/.

25 Federico Maniero, Fitocronologia d’Italia (Firenze: Olschki, 2000), 1–5.

26 Maurizia Alippi Cappelletti, “Comes, Orazio”, in Dizionario Biografico degli Italiani (Roma: Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1982), vol. 27. https://www.treccani.it/enciclopedia/orazio-comes_(Dizionario-Biografico)/.

27 Per Napoleone la Marca d’Ancona “è una delle più belle e certamente la più ricca degli stati del Papa”. Si pensi che, solamente a Loreto, la milizia napoleonica requisì 94 chili d’oro, 17 quintali d’argento, numerosi quadri e cristalli di Boemia, senza risparmiare nemmeno la famosa statua della Madonna nera con le sue reliquie. Per un approfondimento sul passaggio di Napoleone nelle Marche cfr. https://www.whymarche.com/napoleone-nelle-marche/.

28 Mangani, Il Museo di scienze naturali “Luigi Paolucci”, 7.

29 Leone Damiani, “Da Luigi a Carlo Paolucci. La declinazione della scienza pura per le tecnologie del primo Novecento”, in Generazioni: di padre in figlio. Luigi e Carlo Paolucci, a cura di Pamela Galeazzi (Ancona: Andrea Livi, 2022), 19–27.

30 Conservato presso la Biblioteca San Giacomo della Marca, fondo Luigi e Carlo Paolucci, busta 8 (http://www.bibliotecafrancescanapicena.it/strumenti-di-consultazione/).

31 Ibid.

32 Lisbet Koerner, Linnaeus. Nature and Nation (Cambridge: Harvard University Press, 1999).

33 Wolf Lepenies, Natura e scrittura. Autori e scienziati nel XVIII secolo (Bologna: Il Mulino, 1992), 32.

34 Ibid.

35 Mangani, Il Museo di scienze naturali “Luigi Paolucci”, 8.

36 Lepenies, Natura e scrittura, 32.

37 Giorgio Manzi, Il grande racconto dell’evoluzione umana (Bologna: Il Mulino, 2013), 26.

38 Laurent Goulven, “L’Ottocento: biologia. Sistematica, paleontologia e trasformismo in Francia”, in Treccani.it – Enciclopedia on-line, 2003. https://www.treccani.it/enciclopedia/l-ottocento-biologia-sistematica-paleontologia-e-trasformismo-in-francia.

39 Lucio Russo, Stelle, atomi e velieri. Percorsi di storia della scienza (Milano: Mondadori, 2015), 166. Era opinione di Linneo che le specie – animali o vegetali che fossero – note solamente allo stato fossile si fossero semplicemente spostate in luoghi diversi, “dove non erano ancora state osservate”.

40 Giulio Barsanti, La mappa della vita. Teorie della natura e teorie dell’uomo in Francia (1750–1850) (Napoli: Guida, 1983), 70 ss. In detta bozza si può leggere che: “[…] il metodo di Linneo è, di tutti, il meno sensato e il più mostruoso, poiché inserisce nella stessa classe, e spesso nello stesso genere, piante che sono assolutamente diverse”.

41 Manzi, Il grande racconto dell’evoluzione umana, 26; Russo, Stelle, atomi e velieri, 166.

42 È proprio nei termini di una stupefacente coincidenza che Darwin raccontò all’amico geologo Charles Lyell (1797–1875) gli avvenimenti che portarono alla pubblicazione dell’Origine. La lettera, datata 18 giugno 1858, è disponibile all’interno del Darwin Correspondence Project, “Letter n. 2285”. http://www.darwinproject.ac.uk/DCP-LETT-2285.

43 Giuliano Pancaldi, Darwin in Italia. Impresa scientifica e frontiere culturali (Bologna: Il Mulino, 1983); Sulle tracce di un evoluzionista: le “cose” di Giovanni Canestrini, a cura di Elena Canadelli, Elisa Dalla Longa (Milano: Editrice Bibliografica, 2022).

44 Charles Darwin, L’origine delle specie (Torino: Bollati Boringhieri, 2011), 202–203.

45 Ibid., 192.

46 Mangani, Il Museo di scienze naturali “Luigi Paolucci”, 11–12.

47 Benché perduti gli originali, è oggi possibile leggere il testo della corrispondenza per mezzo di reperti fotografici. Si veda: https://web.archive.org/web/20140803024605/http://www.musan.it/cms/vis_cms.php?id_cms=87.

48 Sull’importanza dell’opera del Paolucci per il Pascoli si veda Giuseppe Nava, Myricae. Ediz. critica (Bologna: Pàtron, 1974); Marina Marcolini, “Il peso della cultura scientifica di fine secolo nell’opera di Giovanni Pascoli”, Filologia & Critica XXII (1997); Edoardo Sanguineti, Poesia italiana del Novecento (Torino: Einaudi, 2018), vol. I, 9, nota 6.

49 Si vedano, ad esempio, Giacomo Novikow, Critica del darwinismo sociale (Bologna: Zanichelli, 1910); Storia d’Italia. Annali XXVI, a cura di Claudio Pogliano, Francesco Cassata (Torino: Einaudi, 2011), 131–156.

50 È interessante notare che, se le scienze sociali hanno da tempo smantellato e abbandonato ogni paradigma darwiniano, lo stesso non può dirsi delle scienze del linguaggio. Si veda, ad esempio, il recente Mark Aronoff, “Competition and the lexicon”, in Livelli di analisi e fenomeni di interfaccia, a cura di Annibale Elia, Claudio Iacobini, Miriam Voghera (Roma: Bulzoni, 2016), 39–52.

51 Mangani, Il Museo di scienze naturali “Luigi Paolucci”, 9–10.

52 Lucia Tongiorgi Tomasi, Luigi Zangheri (a cura di), Bibliografia del giardino e del paesaggio italiano. 1980-2005 (Firenze: Leo S. Olschki, 2007).

53 Gilles Clément, Breve storia del giardino (Macerata: Quodlibet, 20222), 17, note 2 e 3.

54 Pierre Grimal, L’arte dei giardini. Una breve storia (Milano: Feltrinelli, 20224), 4.

55 Ibid.

56 L’immagine di un Dio giardiniere è presente nella Bibbia sin dai suoi esordi, laddove nella Genesi si legge: “[…] poi il Signore Dio piantò un giardino in Eden, a oriente, e vi collocò l’uomo che aveva plasmato” (2,8–15).

57 Lepenies, Natura e scrittura, 32.

58 Giuseppe Olmi, L’inventario del mondo. Catalogazione della natura e luoghi del sapere nella prima età moderna (Bologna: Il Mulino, 1997); Paula Findlen, Possessing Nature (Berkeley: University of California Press, 1994); Brian Ogilvie, The science of describing. Natural history in Renaissance Europe (Chicago: University of Chicago Press, 2006); Hubertus Fischer, Volker Remmert, Joachim Wolschke-Bulmahn, Gardens, knowledge and the sciences in the early modern period (Switzerland: Birkhäuser, 2016); «Flora e Pomona». L’orticoltura nei disegni e nelle incisioni dei secoli XVI-XIX, a cura di Lucia Tongiorgi Tomasi, Arturo Tosi (Firenze: Olschki, 1990).

59 Clément, Breve storia del giardino, 21–22.

60 “Germ. Garten; ma questo non da hortus né da viretum” (Tommaseo-Bellini 2, 1068).

61 Clément, Breve storia del giardino, 55. “Nella sua complessità, il giardino riassume una cosmogonia e insieme un modello di società. Lungi dall’essere puro ornamento o semplice passeggiata pubblica, accoglie i giochi e le tecniche nuove, il teatro e la politica”.

62 Francesco De Sanctis, Storia della letteratura italiana (Firenze: Salani, 1965), 681. “Questo grande movimento dello spirito che segna l’aurora de’ tempi moderni, e che si può ben chiamare il Rinnovamento, avea nell’intelletto italiano la sua posizione più avanzata”.

63 Clément, Breve storia del giardino, 16.

64 Ibid., 19. “Se il primo giardino nasce con la storia della sedentarizzazione dei popoli, la prima organizzazione di questo giardino e, di conseguenza, le prime manifestazioni dell’arte dei giardini, nascono con lui”.

65 Con R.D. del 30 settembre 1926, n. 1856.

66 Galeazzi, Bonifazi, “Luigi Paolucci: l’archivio, il museo, l’erbario tra studio e meraviglia”, 148.

67 Grimal, L’arte dei giardini, 3.

68 Georgiche II, 437.

69 Georgiche IV, 149–227.

70 Ernst Robert Curtis, Letteratura europea e medioevo latino (Firenze: La Nuova Italia, 1992), 213–216.

71 Grimal, L’arte dei giardini, 18–21.

72 Anch’essi conservati presso la Biblioteca San Giacomo della Marca, fondo Luigi e Carlo Paolucci, busta 1 (1863–1931).

73 L’uso è stato mantenuto soprattutto nella denominazione delle famiglie di generi, laddove è stato eliminato l’uso del dittongo æ e delle consonanti estere X e Y. Questo in linea con i principî di chiarezza e semplicità che da sempre orientano l’operato del Paolucci (§ 3.2).

74 Popolarmente nota con diversi nomi – piombaggine, gelsomino azzurro, pianta del piombo o ancora geranio azzurro – il suo nome corretto è Plumbago, della famiglia delle Plumbaginaceae.

75 In assenza di fonti certe indicate dal Paolucci può forse giovare alla comprensione della portata dell’opera sapere che in un testo coevo (18892) Cazzuola e Nencioni si fermavano a 200 nell’indicare al lettore il numero di specie ornamentali presenti in Italia. Nel 2016 un rapporto del Royal Botanic Gardens, Kew ha indicato che sarebbero 391 mila le specie di piante attualmente note alla scienza. Di queste, il 94 per cento è rappresentato da piante potenzialmente ornamentali.

76 Dal fr. en plein air: espressione usata per indicare allevamenti vegetali fuori serra.

77 Dal lat. tepidarium: serra in ferro, non riscaldata, usata come riparo per le piante durante la stagione invernale.

78 Dall’arab. narangi: serra in muratura di forma allungata e sovente dotata sul lato meridionale di grandi aperture, usata come riparo per gli agrumi posti in vaso durante la stagione invernale. Per un approfondimento cfr. https://www.teknoring.com/wikitecnica/storia/aranciera/.

79 Gli ibridi sono piante nate dall’incrocio di specie diverse (generalmente però dello stesso genere); si parla invece di varietà se le diversità sono già presenti in natura.

80 cfr. Darwin, L’origine delle specie, capp. 1 e 2, laddove si parla di variazioni “allo stato domestico” e di variazioni “allo stato di natura”.

81 “[…] gli organismi devono essere sottoposti a nuove condizioni di esistenza per diverse generazioni perché possa prodursi una qualsiasi variazione di notevole entità”. Ibid., 89.

82 “[…] un certo tipo di organizzazione, quando abbia incominciato a variare, continua a farlo nel corso di numerose generazioni. Non si ricordano casi di organismi variabili che abbiano cessato di variare allo stato domestico”. Ibid.

83 La riproduzione per talea consiste nel recidere una piccola parte della pianta (un ramo, una foglia, parti di radici, bulbi) per piantarla nel terreno o immergerla in acqua, con lo scopo di creare una nuova pianta, del tutto autonoma dalla madre.

84 La riproduzione per rizomi o bulbi consiste, similmente a quella per talea, nel taglio di sezioni di queste parti, contenenti ognuno almeno una gemma o un germoglio, che dovranno poi essere piantati singolarmente.

85 Fu durante il XIX secolo che il giacinto raggiunse l’apice del suo successo, tanto che, a conferma di quanto indicato dal Paolucci – che qui, come in diversi luoghi del testo, non indica le fonti dei suoi dati – nel 1860 si contavano all’incirca duemila varietà.

86 La riproduzione per margotta consiste nel far radicare un ramo ancora collegato alla pianta madre; ciò è possibile grazie alla capacità di alcune specie vegetali – soprattutto legnose – di emettere nuove radici dal fusto e dai rami (proprietà nota col nome di rizogenesi).

87 Per una panoramica aggiornata del genere Rosa cfr. la scheda realizzata a cura del Royal Botanic Gardens Kew: https://powo.science.kew.org/taxon/urn:lsid:ipni.org:names:30002432-2.

88 La polemica procede al §121, interamente dedicato alla famiglia delle Rosacee.

89 Trattata dettagliatamente al §40.

90 Si aggiunga che: “mai, anche dopo aver sottomesso l’universo, i Romani perdettero la nostalgia delle loro tenute famigliari, sulle pendici delle colline del Lazio e nelle valli della Sabina”. Grimal, L’arte dei giardini, 17.

91 “Nei primi testi latini in cui si tratta di giardini di piacere, il giardiniere è topiarius, cioè “paesaggista”. La sua arte è l’ars topiaria, termine di cui gli storici moderni hanno troppo spesso limitato il senso affermando che si applicava solamente alla potatura pittoresca degli arbusti. In realtà questa potatura, di cui sappiamo che fu inventata e praticata dai giardinieri romani, è soltanto uno dei procedimenti dell’ars topiaria, e non appare che negli anni che precedettero immediatamente l’era cristiana, mezzo secolo circa dopo la nascita del giardino paesaggista romano”. Ibid., 18.

92 Per un approfondimento cfr. il lemma “orto” del Dizionario della lingua italiana di Niccolò Tommaseo e Bernardo Bellini, http://www.dizionario.org.

93 Sisaro (Sium sisarum L.), pianta comune dei luoghi umidi e paludosi, le cui radici vengono adoperate in cucina come quelle della carota.

94 Celebre l’episodio del “taglio dei papaveri” narrato tanto da Livio nella sua opera Ab Urbe condita libri quanto da Plinio il Vecchio nella sua Naturalis historia (XIX, 169), gesto con cui Tarquinio il Superbo, re di Roma, suggerì a Sesto Tarquinio la presa di Gabii per mezzo dell’assassinio dei nobili del luogo: “fuisse autem in honore apud Romanos semper indicio est Tarquinius Superbus, qui legatis a filio missis decutiendo papavera in horto altissima sanguinarium illud responsum hac facti ambage reddidit”.

95 Caio Plinio Secondo, meglio conosciuto come Plinio il Vecchio (23–79 d.C.), autore della monumentale Naturalis historia, fu il primo a narrare di un hortus romano, quello – appunto – di Tarquinio il Superbo (vedi supra).

96 Lucio Giunio Moderato Columella (4–70 d.C.), celebre per il suo De re rustica, rappresenta la maggiore fonte di conoscenza sullo stato delle scienze agrarie in epoca romana. Il Liber X, dedicato a Virgilio, il quale in numerosi passi delle Georgiche (IV, 116–124; 147–148) aveva lamentato di non poter dedicare una parte della sua opera al tema degli horti, è interamente dedicato all’argomento.

97 Poeta, glossatore e letterato di pregio, nacque nella prima metà dell’800 d.C. Divenuto monaco benedettino dell’abbazia di Reichenau, sul lago di Costanza in Svizzera, scrisse un libello, De cultura hortorum, più comunemente noto col nome di Hortulus, nel quale descrisse il primo modello di orto medievale: esso, sebbene riveli il desiderio del monaco di ristorare la propria anima ed evocare il paradiso biblico – secondo i canoni della regola benedettina – rappresenta comunque il suo sincero bisogno di una natura che possa fornire giornalmente il proprio sostentamento.

98 “Il bosco ombroso della ruta cerulea dipinge una piccola selva verdissima; la ruta dalle piccole foglie lanceolate con piccoli ombrelli […] allontana dal corpo ogni tossina e danno”. Franco Cardini, Massimo Miglio, Nostalgia del paradiso. Il giardino medievale (Roma-Bari: Laterza, 20206), 19.

99 Diversamente da quello che accadde in Oriente, dove i giardini non furono mai abbandonati, quest’arte conobbe in Occidente una lunga eclissi dopo la caduta dell’Impero romano: “senza dubbio i monasteri gli assegnarono un ruolo all’interno della propria economia materiale e spirituale, ma [fu] un ruolo subalterno […]”. Grimal, L’arte dei giardini, 41.

100 Dal lat. cibaria: nome generico di ogni legume, e spec. dei loro semi (fagioli, ceci, lenticchie, ecc.).

101 Qui il Paolucci commette un’inesattezza, dal momento che la parola ‘giardino’ origina da una radice indogermanica: Gart o Hart (Ghordho secondo Kluckert); “non da hortus né da viretum”. Per un approfondimento cfr. il lemma “giardino” del Tommaseo-Bellini.

102 Il paragrafo è prova di quell’interesse per le lingue del mondo che il Paolucci mai abbandonerà nel corso degli anni, redigendo numerosi quaderni d’esercizi in greco (tanto moderno quando ellenico) e, soprattutto, in spagnolo.

103 Il testo a cui il Paolucci qui allude è reperibile all’interno della Recueil des actes de Charles II le Chauve, roi de France. Tomo 1 (840-860), in Ferdinand Lot, Georges Tessier, Chartes et diplômes relatifs à l’histoire de France, 1943.

104 Nobile quanto longeva famiglia di Sebenico, in Dalmazia. Secondo la cronaca di Niccolò Tommaseo, i Giamagli si stanziarono in Ancona ai primi del 1700. Nel 1789 un ramo andò a stabilirsi a Polverigi, poco distante da Ancona, dove tuttora ha dimora. L’uomo cui qui il Paolucci rende omaggio è probabilmente monsignor Gualtiero Giamagli, nato a Polverigi il 14 marzo 1839 dove ebbe l’incarico di arciprete di lettere.

105 Qui il Paolucci commette nuovamente un’inesattezza, dal momento che Venezia fu dotata di un proprio giardino botanico solamente nel 1810; Padova nel 1545, Pisa nel 1543, Bologna nel 1568. Assente, seppur degna di menzione, è Firenze, che fu dotata di un proprio Giardino dei Semplici nel 1545 da Cosimo I de’ Medici.

106 In lat. horti simplicium.

107 “La coltivazione delle rose fece grandi progressi, e se ne conoscevano un gran numero di varietà, di cui alcune provenivano dall’Italia meridionale ed altre erano state importate dalla Grecia”. Grimal, L’arte dei giardini, 26.

108 NH XXI, 16–17. Otto, per l’esattezza: Praenestina, Campana, Milesia, Trachinia, Alabandica, Spiniola, Centifolia e Graecula.

109 Fasti V, 336.

110 Elegie I, 17; 21–22.

111 Georgiche IV, 119.

112 Rosa gallica L., Sp. Pl.: 492 (1753).

113 Rosa centifolia L., Sp. Pl.: 491 (1753). NH XXI, 4.

114 Meglio nota con il nome di rosa di maggio.

115 L’origine e la provenienza della Rosa centifolia è tutt’oggi incerta: taluni sostengono che la si debba collocare nell’Olanda del XVII secolo, taluni nell’India del 1596. In ogni caso, è indubbia la sua natura di complesso ibrido di diverse specie di rose.

116 Si deve al greco Teofrasto (Θεόφραστος; ٣٧١–287 a.C.), discepolo di Aristotele e a cui succedette come scolarca nella direzione del Liceo, da tanti considerato come il padre della botanica, la prima catalogazione delle rose conosciute in Occidente. Nella sua Historia plantarum (Περὶ Φυτῶν Ιστορίας) egli le cataloga non solamente in base al binomio con odore/senza odore, bensì anche secondo il numero dei petali (da cinque a cento, chiamate queste le rhoda hekatontophylla) e la bellezza del colore.

117 Cespuglio di rose, roseto. THPHR. HP. 2.2.1.

118 Vedi nota 18. “[…] rex velut deliberabundus in hortum aedium transit sequente nuntio filii; ibi inambulans tacitus summa papaverum capita dicitur baculo decussisse”. Ab Urbe condita libri (I, 54)

119 Lett. che scaccia il dolore. OD. 4, 219–221: “ἔνθ᾽ αὖτ᾽ ἄλλ᾽ ἐνόησ᾽ Ἑλένη Διὸς ἐκγεγαυῖα: / αὐτίκ᾽ ἄρ᾽ εἰς οἶνον βάλε φάρμακον, ἔνθεν ἔπινον, / νηπενθές τ᾽ ἄχολόν τε, κακῶν ἐπίληθον ἁπάντων”. Il termine nepente è un hapax, è cioè presente solamente in questo passo omerico in tutta la letteratura greca arcaica. THPHR. HP. 9.15.1.

120 Anemonoides Mill., Gard. Dict. Abr. ed. 4: s.p. (1754).

121 Qui il Paolucci commette nuovamente un’inesattezza, dal momento che Venere, piangendo sul corpo morente di Adone, ucciso da un cinghiale scagliato dall’ira gelosa di Marte, generò dal contatto delle sue lacrime col terreno delle fragole di bosco.

122 Adonis annua L., Sp. Pl.: 547 (1753).

123 Lilium bulbiferum L., Sp. Pl.: 302 (1753).

124 Dioscoride Pedanio (Πεδάνιος Διοσκουρίδης; 40–90) è stato un medico e botanico greco, nato sotto Nerone. È noto soprattutto per il suo De materia medica, un erbario medico che ebbe larga fortuna, rimanendo in uso sino al XVII secolo, eclissandosi poi con la venuta della moderna scienza medica. È da segnalare che, in assenza di fonti certe indicate dal Paolucci, il dato non può essere confermato. I due generi, Lilium Tourn. e Hemerocallis L., benché somiglianti in taluni aspetti morfologici, appartengono oggi a due famiglie diverse.

125 Hemerocallis fulva L., Sp. Pl. ed. 2: 462 (1762).

126 THPHR. HP. 1.10.7. Benché appartenenti alla stessa famiglia, quella cioè delle Asphodelaceae, Hemerocallis L. e Asphodelus L. sono oggi due specie diverse.

127 Nelumbo Adans., Fam. Pl. 2: 76, 582 (1763).

128 Fava egizia. THPHR. HP. 4.8.7.

129 Viola odorata L., Sp. Pl.: 934 (1753).

130 THPHR. HP. 1.13.2.

131 Hyacinthus Tourn. ex L., Sp. Pl.: 316 (1753)

132 Matthiola Aiton, Hortus Kew. 4: 119 (1812).

133 NH. XXI, 64.

134 Cheiranthus cheiri L., Sp. Pl.: 661 (1753).

135 Convallaria majalis L., Sp. Pl.: 814 (1753).

136 Nymphaea L., Sp. Pl.: 510 (1753).

137 Lilium candidum L., Sp. Pl.: 302 (1753).

138 THPHR. HP. 9.16.6.

139 L’areale originario di questa specie va dal sud della Macedonia del Nord al sud-ovest della Turchia, dal Libano a Israele.

140 EN. XI, 59–60.

141 Il testo da cui il Paoluccio può aver desunto le informazioni che seguono è indubbiamente il De re rustica, opera didascalica in prosa del 37 a.C. del letterato e agronomo romano Marco Terenzio Varrone (116–27 a.C.), il cui Liber X è dedicato interamente alla cura del giardino.

142 Narcissus L., Sp. Pl.: 289 (1753).

143 THPHR. HP. 6.8.1.

144 Antirrhinum majus L., Sp. Pl.: 617 (1753).

145 Iris L., Sp. Pl.: 38 (1753).

146 THPHR. HP. 1.7.2.

147 NH. XXI, 7. La parola Iris, in parentesi quadra nel testo, è aggiunta dal Paolucci e non compare nell’originale pliniano.

148 Lychnis flos-jovis Desr., Encycl. 3: 644 (1792).

149 THPHR. HP. 6.8.3.

150 Amaranthus L., Sp. Pl.: 989 (1753).

151 Lett. pianta che non appassisce. THPHR. HP. 1.10.4.

152 Calendula officinalis L., Sp. Pl.: 921 (1753).

153 Appendix Vergiliana, Ciris, 96–97: “[…] deponunt flores aut suave rubens narcissus / aut crocus alterna coniungens lilia caltha”.

154 “Le case trovate negli scavi di Pompei ci fanno conoscere un gran numero di giardini, come quelli che potevano possedere le famiglie della piccola borghesia. Uno studio minuzioso delle impronte lasciate dalle radici nella cenere unito all’esame delle rappresentazioni dei giardini permette di avere qualche idea della flora di cui disponevano i Romani”. Grimal, L’arte dei giardini, 25.

155 Il testo cui il Paolucci qui è allude è l’Illustrazione delle piante rappresentate nei dipinti pompeiani, opera del 1879 del botanico napoletano Orazio Comes (1848–1917).

156 Orazio Comes, Illustrazione delle piante rappresentate nei dipinti pompeiani (Napoli: Giannini, 1879), 45–47.

157 Ibid., 42–43.

158 Ibid., 34–35.

159 Alcea rosea L., Sp. Pl.: 687 (1753). Ibid., 12–13.

160 Aster amellus L., Sp. Pl.: 873 (1753). Ibid., 17–18.

161 Ibid., 65–66.

162 Carthamus tinctorius L., Sp. Pl.: 830 (1753).

163 THPHR. HP. 1.13.3.

164 Ricinus communis L., Sp. Pl.: 1007 (1753).

165 THPHR. HP. 1.10.1.

166 Ulex europaeus L., Sp. Pl.: 241 (1753).

167 THPHR. HP. 4.16.5.

168 Saponaria officinalis L., Sp. Pl.: 408 (1753).

169 THPHR. HP. 6.4.3.

170 Cyclamen L., Sp. Pl.: 145 (1753).

171 THEOCR. 5.123.

172 Asphodeline lutea Rchb., Fl. Germ. Excurs.: 116 (1830).

173 THPHR. HP. 1.10.7.

174 Scilla L., Sp. Pl.: 308 (1753).

175 THPHR. HP. 7.9.4.

176 Paeonia L., Sp. Pl.: 530 (1753).

177 Celidonia. DIOSC2. 2.180a.

178 Daphne L., Sp. Pl.: 356 (1753).

179 Timelea. HN. XIII, 114.

180 Phillyrea latifolia L., Sp. Pl.: 8 (1753).

181 Filirea. THPHR. HP. 1.9.3.

182 Var. meno comune di spigonardo. Lavandula dentata L., Sp. Pl.: 572 (1753).

183 Mentha L., Sp. Pl.: 576 (1753).

184 Dictamnus albus L., Sp. Pl.: 383 (1753).

185 Melissa officinalis L., Sp. Pl.: 592 (1753).

186 Thymus serpyllum L., Sp. Pl.: 590 (1753).

187 Comunemente noto come erba dei gatti. Teucrium marum L., Sp. Pl.: 564 (1753).

188 Comunemente nota come camomilla. Matricaria chamomilla L., Sp. Pl.: 891 (1753).

189 Ocimum basilicum L., Sp. Pl.: 597 (1753).

190 Tanacetum vulgare L., Sp. Pl.: 844 (1753).

191 Artemisia absinthium L., Sp. Pl.: 848 (1753).

192 Artemisia abrotanum L., Sp. Pl.: 845 (1753).

193 Gli horti Luculliani si estendevano dall’attuale scalinata di piazza di Spagna sino a Villa Borghese; il dislivello del terreno allora presente venne colmato da terrazze con scalinate. Stando ai documenti, Lucullo fece piantare sulla terrazza principale alcuni alberi che, cent’anni dopo la sua morte, erano cresciuti in tutto il loro splendore, divenendo così una rappresentazione unica dell’idea del rus in urbe. Ehrenfried Kluckert, Giardini d’Europa. Dall’antichità a oggi (Milano: Könemann, 2000), 17. Sarà proprio questo sistema a terrazze sovrapposte ad ispirare, nel 1503, al Bramante il progetto per i suoi Giardini del Belvedere, con i quali “è tutta l’estetica del giardino romano che rinasce”. Grimal, L’arte dei giardini, 62.

194 Ibid., 18–19.

195 Giardini, orti, parchi.

196 Laurus nobilis L., Sp. Pl.: 369 (1753).

197 Presunto potere dato dal consumo delle sue foglie che sono all’uomo in parte velenose e in parte inebrianti.

198 NH. XV, 127.

199 Myrtus communis L., Sp. Pl.: 471 (1753).

200 Considerato dai romani come una rappresentazione dell’amore e per questo soprannominato da Plinio “Myrtus coniugalis”, era uso comune ornarne i banchetti di nozze come augurio di un sereno e fecondo sposalizio.

201 Così racconta Catone all’interno dell’ottavo libro del suo De Agricoltura: “nei pressi di una città è consigliabile piantare un giardino (sub urbe hortum) con ogni genere di verdura e fiori per le corone, cipolle, mirto per la sposa, mirto bianco e mirto nero, alloro selvatico e alberi di noce”. Kluckert, Giardini d’Europa, 15.

202 Le donne che prendevano parte alle feste (ludi) in onore della Venere Mirtea se ne cingevano le braccia, il capo e le caviglie, sperando che il suo potere potesse accendere negli uomini il desiderio.

203 Hedera helix L., Sp. Pl.: 202 (1753).

204 Quercus L., Sp. Pl.: 994 (1753).

205 Come i greci, anche i romani consideravano la quercia sacra a Giove, facendola assurgere a emblema di virtù, forza, coraggio, dignità e perseveranza. Per un approfondimento sulle piante sacre ai romani cfr. https://www.romanoimpero.com/2018/03/piante-sacre-romane.html.

206 Populus L., Sp. Pl.: 1032 (1753).

207 Cupressus L., Sp. Pl.: 1002 (1753).

208 Si deve al personaggio di Ciparisso (Κυπάρισσος) la funesta fama del cipresso. Figlio di Telefo, e quindi nipote del semidio Eracle, fu uno dei ragazzi più amati dal dio Apollo. Compagnia prediletta di Ciparisso era un bel cervo, il quale un giorno, sfortunatamente, cadde preda di un giavellotto scagliato dallo stesso ragazzo. Il dolore fu tale e tanto che il giovane si mutò in cipresso, il quale divenne da allora emblema del lutto e dell’inconsolabile dolore della morte. Nella versione di Ovidio (Metamorphosĕon X, 106) Ciparisso avrebbe chiesto allo stesso Apollo di far scorrere per sempre le sue lacrime, così spiegando le goccioline di resina presenti sul fusto del cipresso, del tutto simili ad un pianto eterno.

209 Platanus orientalis L., Sp. Pl.: 999 (1753).

210 È noto un brano di Plutarco in cui si racconta come lo statista ateniese Cimone fece piantare alcuni platani intorno all’agorà e dispose in aggiunta la collocazione di diverse piante in città, soprattutto lungo i canali e le condutture idriche che portavano l’acqua ai chioschi. “Per Platone questo sistema idrico collegato ai giardini e alle zone alberate era uno degli elementi ideali e fondamentali dell’urbanistica, come riporta nel sesto libro delle sue Nomoi”. Questo sistema prese il nome di oikia kai kepos. Kluckert, Giardini d’Europa, 14.

211 Scrive Cicerone in una lettera a Quinto: “vorrei complimentarmi con il tuo giardiniere. Ha rivestito tutto di edera, a partire dalla base della villa alle colonne lungo il portico, così da dare l’impressione che le statue stiano facendo giardinaggio o vendendo l’edera”. Ibid., 16.

212 Var. meno comune di oleandro. Nerium oleander L., Sp. Pl.: 209 (1753).

213 Comes, Illustrazione delle piante rappresentate nei dipinti pompeiani, 47–48. Il leandro sarebbe forse, secondo il Comes, la pianta più comunemente rappresentata a Pompei (si vedano il viridario della casa n. 10, reg. VII, Is VII, decumano min.; la casa di Olconio, n. 4; le botteghe n. 4 e 5 ecc.).

214 Punica granatum L., Sp. Pl.: 472 (1753).

215 Nonostante il nome, assegnato lui da Plinio, possa far pensare ad un’origine in tal senso, l’ipotesi oggi più corroborata lo vede provenire dall’Asia.

216 Chamaerops humilis L., Sp. Pl.: 1187 (1753).

217 Pistacia vera L., Sp. Pl.: 1025 (1753).

218 Racconta Plinio (NH. XV, 83) che fu Lucio Vitellio (5 a.C.-51), legato dell’imperatore Tiberio in Siria, il primo a dedicarsi in Italia all’allevamento di pistacchi.

219 Tilia europaea L., Sp. Pl.: 514 (1753).

220 Georgiche IV, 149–227.

221 Arbutus unedo L., Sp. Pl.: 395 (1753).

222 Bucoliche VII, 45–46.

223 Vitex agnus-castus L., Sp. Pl.: 638 (1753).

224 Buxus sempervirens L., Sp. Pl.: 983 (1753).

225 Georgiche II, 437.

226 Cornus mas L., Sp. Pl.: 117 (1753).

227 Dopo che, per provare la sua prestanza, Romolo scagliò un’asta dall’Aventino e lì dove la punta s’immerse nel terreno nacque un corniolo, esso divenne sacro per i Romani, i quali – per sempre venerarlo – lo custodirono con un muro (Plutarco, Βίοι Παράλληλοι I, 20).

228 Elaeagnus angustifolia L., Sp. Pl.: 121 (1753).

229 Ligustrum L., Sp. Pl.: 7 (1753).

230 Bucoliche, Egloga II: “alba ligustra cadunt, vaccinia nigra leguntur”.

231 Viburnum L., Sp. Pl.: 267 (1753).

232 Bucoliche, Egloga I.

233 Acacia Mill., Gard. Dict. Abr.: s.p. (1754).

234 Robinia pseudoacacia L., Sp. Pl.: 722 (1753).

235 Comes, Illustrazione delle piante rappresentate nei dipinti pompeiani, 7–8. Si veda la casa di Adone, n. 18, reg. VI, Is VIII.

236 Aloe vera Burm.f., Fl. Indica: 83 (1768).

237 Morus nigra L., Sp. Pl.: 986 (1753). Secondo Plinio (NH. XVI, 25) il gelso è il più saggio degli alberi perché, cessato l’inverno, è il primo a rivestirsi di foglie. Virgilio ne parla invece all’interno delle Bucoliche (VI, 22): “Sanguineis frontem moris, et tempora pingit”.

238 Comes, Illustrazione delle piante rappresentate nei dipinti pompeiani, 38–39. Interamente rappresentato nel peristilio della casa n. 18, reg. V Is I, cardo (comunemente nota come casa del toro).

239 Pinus L., Sp. Pl.: 1000 (1753).

240 Fraxinus L., Sp. Pl.: 1057 (1753).

241 Bucoliche, Egloga VIII: “Fraxinus in silvis pulcherrima, pinus in horto, populus in fluviis, abies in montibus alti”.

242 Taxus baccata L., Sp. Pl.: 1040 (1753).

243 Velenoso in ogni sua parte (corteccia, foglie, semi, radici) a causa degli alcaloidi presenti nei suoi tessuti (soprattutto taxani), esso fu per questo impiegato dai greci – che lo chiamarono per l’appunto tóxon – per la fabbricazione di dardi letali.

244 EN. VI, 295-330.

245 Abies Mill., Gard. Dict. Abr.: s.p. (1754).

246 Maniero, Fitocronologia d’Italia, 7. “Pur nella consapevolezza che negli impianti più datati la distinzione fra la funzione ornamentale e quella utilitaristica era spesso impercettibile, possiamo dire […] che gli antichi giardini italiani erano realizzati con un numero limitato di specie e varietà, soprattutto sempreverdi”.

247 Bucoliche, Egloga IX.

248 Emerge qui, in questi toni lirici, il topos del locus amoenus, L’uso del vocabolo amoenus rimanda con inequivocabile chiarezza al lessico virgiliano (dichiarata fonte del Paolucci), che così chiama sempre la sua bella natura (ad es. EN. V, 734 e VII, 30). Echeggia qui soprattutto l’approdo di Enea all’Elisio (VI 638 ss.) laddove il paesaggio è dipinto in questi termini: “[d]evenere locos laetos et amoena virecta / fortunatorum nemorum sedesque beatas. / Largior hic campos aether et lumine vestit / purpureo, solemque suum, sua sidera norunt”. Come fa notare Servio nel suo commento all’opera, amoenus è posto in diretto rapporto con la parola amor (un nesso analogo a quello presente nei vocaboli tedeschi Lieblich e Liebe). I luoghi ameni sono dunque quelli che hanno come scopo il solo godimento dell’animo come – appunto – il giardino.

249 Bucoliche, Egloga VII.

250 Nipote di Plinio il Vecchio, e da lui adottato dopo la morte del padre, Gaio Plinio Cecilio Secondo (61/62–114 circa) è celebre soprattutto per il suo epistolario (Epistularum): composto da 371 lettere, di cui 72 compongono la sua corrispondenza con l’imperatore Traiano. Esse rappresentato una fonte di immenso valore per lo studio e la conoscenza dell’Impero romano.

251 Epistularum V, 6.

252 Una villa che egli possedeva in Tuscis, nell’area di Colle Plinio.

253 Epistularum I, 3: “[q]uid agit Comum, tuae meaeque deliciae? Quid suburbanum amoenissimum, quid illa porticus uerna semper, quid platanon opacissimus, quid euripus uiridis et gemmeus, quid subiectus et seruiens lacus, quid illa mollis et tamen solida gestatio, quid balineum illud quod plurimus sol implet et circumit, quid triclinia illa popularia illa paucorum, quid cubicula diurna nocturna?”.

254 “Alla metà del primo secolo dopo Cristo, i giardini e i pomari dell’aristocrazia romana erano assegnati a schiavi siriani o cilici ritenuti abilissimi nell’arte del giardinaggio, e probabilmente a loro si deve in Italia l’attecchimento del pesco (Prunus persica L.) e dell’albicocco (Prunus armeniaca L.) che, come indicano i nomi, provenivano dall’interno dell’Asia. Allora, i loro frutti erano tanto apprezzati da essere considerati esotici e senza prezzo”. Luigi Zangheri, Brunella Lorenzi, Nausikaa N. Rahmati, Il giardino islamico (Firenze: Olschki, 2006), 54.

255 “Il giardino […] nel medioevo, come lo raccontano le fonti più accessibili, […] è un’idea ed un’allegoria, piuttosto che una realtà: la proiezione di una rarefatta gerarchia sociale, spesso espressione di una perfezione irraggiungibile e di un mondo perfetto […] il giardino è un paradiso in terra”. Cardini, Miglio, Nostalgia del paradiso, VI; Kluckert, Giardini d’Europa, 20–31; Grimal, L’arte dei giardini, 41–53.

256 Citrus medica L., Sp. Pl.: 782 (1753).

257 Noto ai romani col nome di mela assira e originario, secondo Plinio, della Media, una vasta regione dell’Antica Persia.

258 Lett. alla maniera dei Medi.

259 Qui il Paolucci commette nuovamente un’inesattezza, dal momento che, come documentano Zangheri et al., l’attecchimento del cedro in Italia avvenne sul chiudersi del I secolo, divenendo una pianta ornamentale delle ville e dei giardini romani. I cedrati, racconta Florentino in un testo conservato all’interno della Geoponica di Cassiano Basso: “si tengono lungo i muri, che stendendosi, prospettando il mezzogiorno, da occidente ad oriente, e si coprono durante l’inverno con delle stuoie”. Zangheri, Lorenzi, Rahmati, Il giardino islamico, 55.

260 Il testo cui il Paolucci qui è allude è l’Istoria e coltura delle piante che sono pe’l fiore più ragguardevoli, e più distinte per ornare un giardino in tutto il tempo dell’anno del cartografo e botanico anconetano Paolo Bartolomeo Clarici (1664–1725), pubblicato postumo nel 1726.

261 Citrus aurantium L., Sp. Pl.: 783 (1753).

262 Secondo la cronaca di Al Musudi, prosatore arabo del X secolo: “il limone rotondo venne recato dall’India dopo l’anno 300 dall’Egira e fu dapprima seminato nel paese d’Oman. Di là fu portato a Bassora, nell’Irak e nella Siria ove divenne comunissimo […] Né prima d’allora si conosceva”. Zangheri, Lorenzi, Rahmati, Il giardino islamico, 57.

263 Citrus limon Osbeck, Reise Ostindien: 250 (1765).

264 La cui presenza in Italia è cantata dal poeta arabo Abd ar-Rahman: “i rigogliosi aranci dell’isoletta [di Favara, in Sicilia] sembrano fuoco ardente su rami di smeraldo; il limone sembra avere il pallore di un amante che abbia passato la notte dolendosi dell’angoscia della lontananza”. Cardini, Miglio, Nostalgia del paradiso, 53; Zangheri, Lorenzi, Rahmati, Il giardino islamico, 55–56.

265 Citrus sinensis Osbeck, Reise Ostindien: 250 (1765).

266 Un testo di fondamentale importanza per la conoscenza dello stato delle scienze agrarie in epoca tardo medievale è rappresentato dai Ruralia commoda del bolognese Piero de’ Crescenzi (1233–1320). Opera in dodici libri, l’autore ne dedica ai giardini ben due: il VI, che prende a modello soprattutto Palladio e ha come oggetto gli orti utili all’alimentazione e il VIII, che analizza invece i giardini ornamentali, “che all’animo danno diletto”. Cardini, Miglio, Nostalgia del paradiso.

267 Dopo il 476 d.C. i popoli germanici che si insediarono all’interno dell’Impero mutarono progressivamente quelle che furono le prassi alimentari dei romani, nonché i loro caratteri produttivi e il loro rapporto con l’ambiente e la natura. Portatori di una dieta basata sui grassi animali e sulle proteine, per procurarsene occorrevano loro grandi spazi aperti per l’allevamento di bovini, ovini e caprini: questa necessità determinò la lenta scomparsa degli horti romani.

268 Figlio di Costante II, fu proclamato augusto nel 654 e dal 662 al 668, durante la spedizione del padre in Italia, ebbe la reggenza del governo a Costantinopoli.

269 “[…] proprio ai turchi si dovette una nuova concezione della natura e del paesaggio, e quindi del giardino, sostanzialmente diversa da quella araba e persiana. Memori delle proprie origini asiatiche […] i turchi cercarono di replicarle nei loro giardini dove i kösk (chioschi) formavano dei padiglioni aperti al paesaggio su tutti i lati”. Zangheri, Lorenzi, Rahmati, Il giardino islamico, 63.

270 Dianthus caryophyllus L., Sp. Pl.: 410 (1753). Ibid., 64.

271 Hyacinthus orientalis L., Sp. Pl.: 317 (1753), “portato da Baghdad e Aleppo a Venezia e poi in Olanda”. Ibid.

272 L’importanza delle Crociate per la storia del giardinaggio è stata in questi anni fortemente discussa da diversi autori. Tra questi Grimal: “la Sicilia, dove l’imperatore Federico II aveva tenuto per lungo tempo una corte mezzo cristiana e mezzo moresca, era in relazione costante con i paesi italiani e con la Francia. In Spagna, le meraviglie di Granada, di Toledo, di Cordoba, non erano sconosciute. La “terra dei Saraceni” cominciava nella stessa Europa”. Grimal, L’arte dei giardini, 46.

273 Comunemente detta dragoncello. Artemisia dracunculus L., Sp. Pl.: 849 (1753).

274 Bryum argenteum Hedw., Sp. Musc. Frond.: 181 (1801).

275 Lunaria Tourn. ex L., Sp. Pl.: 653 (1753).

276 Viburnum opulus L., Sp. Pl.: 268 (1753).

277 Rhamnus alaternus L., Sp. Pl.: 193 (1753).

278 Ranunculus asiaticus L., Sp. Pl.: 552 (1753), “tanto amato da Maometto IV, il quale lo fece raccogliere in tutte le sue forme negli stati del suo grande impero per i giardini di Istanbul”. Ibid.

279 Rosa damascena Herrm., (1762).

280 Nigella damascena L., Sp. Pl.: 584 (1753).

281 Crocus sativus L., Sp. Pl.: 36 (1753).

282 Muscari neglectum Guss. ex Ten., Fl. Neap. Syll. App. v. 13 (1842).

283 Iris tuberosa L., Sp. Pl.: 40 (1753).

284 Paradisea liliastrum Bertol., Fl. Ital. 4: 133 (1840).

285 Hyacinthoides hispanica Rothm., Feddes Repert. Spec. Nov. Regni Veg. 53: 14 (1944).

286 Anthericum liliago L., Sp. Pl.: 310 (1753).

287 Anthericum ramosum L., Sp. Pl.: 310 (1753).

288 Comunemente noti come aglio dorato e aglio napoletano.

289 Pulsatilla vulgaris Mill., Gard. Dict. ed. 8: n. 1 (1768).

290 Comunemente nota come enula aspra; deve il nome con cui qui è presentata ad una sua superata nomenclatura: Aster salicinus.

291 Il presente fenomeno di italianizzazione dei toponimi era assai comune all’epoca. Il termine Versaglia in luogo di Versailles ha numerose occorrenze all’interno dei Commentarj della Rivoluzione Francese (1830–1831) di Lazzaro Papi (1763–1834); Brabanza in luogo di Brabante, benché meno attestato, ha comunque un’occorrenza all’interno del GDLI (vol. IVº, 829 in Birago, 101); Bruselle in luogo di Bruxelles torna invece ad avere numerose occorrenze in opere coeve a quella del Paolucci (come i famosi cavoletti di Bruselle in un’opera del Cecchi).

292 Per un approfondimento sui giardini qui nominati cfr. l’Indice dei luoghi in Kluckert, Giardini d’Europa, 494–495.

293 Aconitum L., Sp. Pl.: 532 (1753).

294 Delphinium L., Sp. Pl.: 530 (1753).

295 Cynoglossum officinale L., Sp. Pl.: 134 (1753).

296 Celosia L., Sp. Pl.: 205 (1753).

297 Canna indica L., Sp. Pl.: 1 (1753).

298 Campanula pyramidalis L., Sp. Pl.: 164 (1753).

299 Prunus cerasifera Ehrh., Gartenkalender 4: 190 (1785).

300 Amaranthus tricolor L., Sp. Pl.: 989 (1753).

301 Asphodelus luteus L., Sp. Pl.: 309 (1753).

302 Mirabilis jalapa L., Sp. Pl.: 177 (1753).

303 Jasminum grandiflorum L., Sp. Pl. ed. 2: 9 (1762).

304 Cyclamen persicum Mill., Gard. Dict. ed. 8: 5 (1768).

305 Jasminum officinale L., Sp. Pl.: 7 (1753).

306 Solanum laxum Spreng., Syst. Veg., ed. 16:682 (1824).

307 Lilium martagon L., Sp. Pl.: 303 (1753).

308 Helianthus annuus L., Sp. Pl.: 904 (1753).

309 Polianthes tuberosa L., Sp. Pl.: 316 (1753).

310 Tulipa L., Sp. Pl.: 305 (1753).

311 Agave geminiflora Gawl., Brand. J. Sci. 3: 3 (1817).

312 Iberis violacea Aiton, Hortus Kew. 4: 85 (1812).

313 Lunaria Tourn. ex L., Sp. Pl.: 653 (1753).

314 Dianthus barbatus L., Sp. Pl.: 409 (1753).

315 Sassafras officinale Nees & Eberm., Syst. Laurin: 488 (1836).

316 Syringa vulgaris L., Sp. Pl.: 9 (1753).

317 Datura stramonium L., Sp. Pl.: 179 (1753).

318 Polemonium L., Sp. Pl.: 162 (1753).

319 Leonurus L., Sp. Pl.: 584 (1753).

320 Digitalis Tourn. ex L., Sp. Pl.: 621 (1753).

321 Fritillaria imperialis L., Sp. Pl.: 303 (1753).

322 Iris pumila L., Sp. Pl.: 38 (1753).

323 Helleborus niger L., Sp. Pl.: 558 (1753).

324 Antennaria dioica Gaertn., Fruct. Sem. Pl. 2: 410 (1791).

325 Chrysocoma coma-aurea L., Sp. Pl.: 840 (1753).

326 Aster alpinus L., Sp. Pl.: 872 (1753).

327 Tagetes L., Sp. Pl.: 887 (1753).

328 Bellis perennis L., Sp. Pl.: 886 (1753).

329 Jasminum nudiflorum Lindl., J. Hort. Soc. London 1: 153 (1846).

330 Syringa L., Sp. Pl.: 9 (1753).

331 Lonicera americana Koch, Wochenschr. Vereines Beförd. Gartenbaues Königl. Preuss. St. 10: 279 (1867).

332 Lonicera sinensis Hort., Handb. Laubholzk. 1: 224 (1889).

333 Passiflora L., Sp. Pl.: 955 (1753).

334 Solanum tuberosum L., Sp. Pl.: 185 (1753).

335 Gladiolus L., Sp. Pl.: 36 (1753).

336 Jasminum sambac Aiton, Hort. Kew. 1: 8 (1789).

337 Tropaeolum L., Sp. Pl.: 345 (1753).

338 Anemonoides Mill., Gard. Dict. Abr. ed. 4: s.p. (1754).

339 Rhododendron indicum Sweet, Hort. Brit. ed. 2:343 (1830).

340 Mimosa farnesiana L., Sp. Pl.: 521 (1753).

341 Robinia pseudoacacia L., Sp. Pl.: 722 (1753).

342 Lilium canadense L., Sp. Pl.: 303 (1753).

343 Colchicum byzantinum Gawl., Bot. Mag. 26: t. 1028 (1807).

344 Colchicum variegatum L., Sp. Pl.: 342 (1753).

345 Pelargonium graveolens L’Hér., Hort. Kew. 2: 423 (1789).

346 Pelargonium triste L’Hér., Hort. Kew. 2: 418 (1789).

347 Lavatera trimestris L., Sp. Pl.: 692 (1753).

348 Mimosa pudica L., Sp. Pl.: 518 (1753).

349 Rhus typhina L., Cent. Pl. II: 14 (1756).

350 Schinus molle L., Sp. Pl.: 388 (1753).

351 Ranunculus L., Sp. Pl.: 548 (1753).

352 Datura metel L., Sp. Pl. 1: 179. (1753).

353 Iris susiana L., Sp. Pl.: 38 (1753).

354 Amaryllis belladonna L., Sp. Pl.: 293 (1753).

355 Amaryllis formosissima L., Sp. Pl.: 293 (1753).

356 Parthenocissus quinquefolia Planch., Monogr. Phan. 5: 448 (1887).

357 Phaseolus caracalla L., Sp. Pl.: 725 (1753).

358 Phaseolus coccineus L., Sp. Pl.: 724 (1753).

359 Lobelia cardinalis L., Sp. Pl.: 930 (1753).

360 Oenothera biennis L., Sp. Pl.: 346 (1753).

361 Santolina chamaecyparissus L., Sp. Pl.: 842 (1753).

362 Momordica balsamina L., Sp. Pl.: 1009 (1753)

363 Scilla hyacinthoides L., Syst. Nat. 2: 243 (1767).

364 Rhododendron ferrugineum L., Sp. Pl.: 392 (1753).

365 Juglans nigra L., Sp. Pl.: 997 (1753).

366 Laurus camphora L., Sp. Pl.: 369 (1753).

367 Aesculus hippocastanum L., Sp. Pl.: 344 (1753).

368 Solanum pseudocapsicum L., Sp. Pl.: 184 (1753).

369 Cucurbita maxima Duchesne, Ess. Hist. Nat. Courges: 7 (1786).

370 Hibiscus liliiflorus Cav., Diss. 3: 154 (1787).

371 Tradescantia virginica L., Sp. Pl.: 288 (1753).

372 Lychnis chalcedonica L., Sp. Pl.: 436 (1753).

373 Tagetes erecta L., Sp. Pl.: 887 (1753).

374 Centaurea moschata L., Sp. Pl.: 909 (1753).

375 Centaurea candidissima Lam., Encycl. 1: 669 (1785).

376 Solidago canadensis L., Sp. Pl.: 878 (1753).

377 Hesperis matronalis L., Sp. Pl.: 663 (1753).

378 Campanula persicifolia L., Sp. Pl.: 164 (1753).

379 Convolvulus arvensis L., Sp. Pl.: 153 (1753).

380 Primula L., Sp. Pl.: 142 (1753).

381 Convolvulus tricolor L., Sp. Pl.: 158 (1753).

382 Ipomoea quamoclit L., Sp. Pl.: 159 (1753).

383 Aster alpinus L., Sp. Pl. 2: 872 (1753).

384 Physostegia virginiana Benth., Edwards’s Bot. Reg. 15: sub t. (1829).

385 Canarina canariensis Vatke, Linnaea 38: 700 (1874).

386 Viola tricolor L., Sp. Pl.: 935 (1753).

387 Nerine bowdenii Watson, Gard. Chron. 36: 365 (1904).

388 Scabiosa caucasica Bieb., Fl. Taur.-Caucas. 1: 98 (1808).

389 Prunus persica Batsch, Beytr. Entw. Gewächsreich: 30 (1801).

390 Cydonia oblonga Mill., Gard. Dict. ed. 8: 1 (1768).

391 John Parkinson (1567–1650) fu farmacista alla corte di Giacomo I nonché uno dei membri fondatori della Worshipful Society of Apothecaries di Londra. Noto come uno dei giardinieri più eminenti del suo tempo, è oggi conosciuto soprattutto per due sue opere: il Paradisi in Sole Paradisus Terrestris correttamente datata dal Paolucci e il Theatrum Botanicum del 1640.

392 Maniero, Fitocronologia d’Italia, 7–17.

393 Alyssum saxatile L., Sp. Pl.: 650 (1753).

394 Reseda odorata L., Amoen. Acad. 3: 51 (1756).

395 Gardenia Ellis, Philos. Trans. 51: 935 (1761).

396 Azalea pontica L., Sp. Pl.: 150 (1753).

397 Azalea nudiflora L., Sp. Pl.1: 214 (1762).

398 Calceolaria L., Kongl. Vetensk. Acad. Handl. 31: 288 (1770).

399 Camellia L., Sp. Pl.: 698 (1753).

400 Iberis sempervirens L., Sp. Pl.: 648 (1753).

401 Caelestina caerulea Cass., Dict. Sci. Nat. 6: 8 (1817).

402 Crassula coccinea L., Sp. Pl.: 282 (1753).

403 Lippia citrodora Kunth, Nov. Gen. Sp. 2: 269 (1818).

404 Cineraria L., Sp. Pl. 2: 1242 (1763).

405 Fuchsia L., Sp. Pl.: 1191 (1753).

406 Zinnia L., Syst. Nat. 2: 1189 (1759).

407 Dahlia Cav., Icon. 1: 56 (1791).

408 Hydrangea Gronov., Sp. Pl.: 397 (1753).

409 Lilium japonicum Thunb., Nat. Hist. 2: 245 (1780).

410 Dianthus chinensis L., Sp. Pl.: 411 (1753).

411 Silene pendula L., Sp. Pl.: 418 (1753).

412 Ipomopsis rubra Wherry, Bartonia 18: 56 (1937).

413 Wisteria frutescens Poir., Tabl. Encycl. 3: 674 (1823).

414 Pelargonium L’Hér., Hort. Kew. 2: 417 (1789).

415 Calycanthus floridus L., Syst. Nat. 2: 1066 (1759).

416 Heliotropium arborescens L., Syst. Nat. 2: 913 (1759).

417 Wahlenbergia Schrad., Nov. Pl. Sp.: 399 (1821).

418 Lathyrus odoratus L., Sp. Pl.: 732 (1753).

419 Lupinus polyphyllus Lindl., Bot. Reg. 13: 1095 (1827).

420 Lupinus sulphureus Hook., Botany 57 (1871).

421 Petrea L., Sp. Pl.: 626 (1753).

422 Opuntia ficus-indica Mill., Gard. Dict.: 2. (1768).

423 Artemisia absinthium L., Sp. Pl.: 848 (1753).

424 Callistephus chinensis Nees, Gen. Sp. Aster.: 222 (1832).

425 Dracocephalum L., Sp. Pl.: 594 (1753).

426 Phlox paniculata L., Sp. Pl.: 151 (1753).

427 Dodecatheon L., Sp. Pl.: 144 (1753).

428 Valeriana rubra L., Sp. Pl.: 31 (1753).

429 Catalpa Scop., Intr. Hist. Nat.: 170 (1777).

430 Cobaea scandens Cav., Icon. 1: 11 (1791).

431 Symphoria racemosa Pursh, Fl. Amer. Sept. 1: 162 (1813).

432 Gleditsia L., Sp. Pl.: 1056 (1753).

433 Liriodendron L., Sp. Pl.: 535 (1753).

434 Melia azedarach L., Sp. Pl.: 384 (1753).

435 Broussonetia papyrifera Vent.,

436 Mespilus japonica Thunb., Fl. Jap. 206 (1784).

437 Prunus laurocerasus L., Sp. Pl.: 474 (1753).

438 Correa Andrews, Bot. Repos. 1: 18 (1798).

439 Linum perenne L., Sp. Pl.: 277 (1753).

440 Lantana L., Sp. Pl.: 627 (1753).

441 Polygonum orientale L., Sp. Pl.: 362 (1753).

442 Lobelia erinus L., Sp. Pl.: 932 (1753).

443 Coffea arabica L., Sp. Pl.: 172 (1753).

444 Koelreuteria paniculata Laxm., Novi Comment. Acad. Sci. Imp. Petrop. 16: 563 (1772).

445 Saxifraga crassifolia L., Sp. Pl.: 401 (1753).

446 Saxifraga sarmentosa L.f., Dionaea muscip.: 16 (1780).

447 Maniero, Fitocronologia d’Italia, 19–31.

448 Per una panoramica aggiornata del genere Chrysanthemum cfr. la scheda realizzata a cura del Royal Botanic Gardens Kew: https://powo.science.kew.org/taxon/urn:lsid:ipni.org:names:331492-2.

449 Thuja occidentalis L., Sp. Pl.: 1002 (1753).

450 Abies balsamea Mill., Gard. Dict.: 3 (1768).

451 Taxodium distichum Rich., Ann. Mus. Hist. Nat. 16: 298 (1810).

452 Juniperus virginiana L., Sp. Pl.: 1039 (1753).

453 Cedrus libani Rich., Dict. Class. Hist. Nat. 3: 299 (1823).

454 Picea abies Karst., Deut. Fl.: 325 (1881).

455 Abies canadensis Michx., Fl. Bor.-Amer. 2: 206 (1803).

456 Pinus rigida Mill., Gard. Dict.: 10 (1768).

457 Pinus strobus L., Sp. Pl. 2: 1001 (1753).

458 Abies orientalis Poir., Encycl. 6: 518 (1804).

459 Araucaria imbricata Pav., Mem. Real Acad. Méd. Madrid 1: 199 (1797).

460 Biota orientalis Endl., Syn. Conif.: 47 (1847).

461 Salisburia adiantifolia Sm., Trans. Linn. Soc. 3: 330 (1797).

462 Juniperus excelsa Bieb., Numer. List: 6041 (1831).

463 Juniperus chinensis L., Mant. Pl. 127 (1767).

464 Podocarpus macrophyllus Sweet, Hort. Suburb. Lond.: 211 (1818).

465 Grimal, L’arte dei giardini, 100–101.