Lucia Corrain
Università di Bologna
lucia.corrain@unibo.it
/ Abstract
Nel ms. 99 di Ulisse Aldrovandi (qui per la prima volta trascritto e pubblicato) – conservato presso la Biblioteca Universitaria di Bologna – lo scienziato registra il programma iconografico che aveva progettato per la sua villa di campagna. Il manoscritto è articolato in più parti: la prima, più consistente, riguarda la decorazione della prima stanza con l’Odissea, la seconda – quella su cui qui si fermerà maggiormente l’attenzione – è relativa ai tre ambienti dove, in fregio, erano dipinti emblemi, in molti casi affiancati da figure animali che trovano nelle tavole acquerellate fatte realizzare da Aldrovandi per illustrare la sua opera scritta, un puntuale riscontro.
In MS Bologna Biblioteca Universitaria 99 – here transcribed and published for the first time – Ulisse Aldrovandi proposes an iconographic project of his own design for his countryside villa. The manuscript is divided into two sections. The first, and most consistent section, deals with the first room of the villa, which is decorated with scenes from Homer’s Odyssey. The second section of the manuscript is dedicated to three spaces decorated with friezes containing emblems depicting animals and will serve as the principal focus of the present study. It is argued that the representations of these animals are closely paralleled in the watercolor plates that accompany Aldrovandi’s naturalistic treatises.
/ Keywords
Emblems; Odyssey; Animals; Iconographic program.
Il ms. 99, custodito presso la Biblioteca Universitaria di Bologna, è un documento di grande interesse. In esso, infatti, viene descritto il programma iconografico della villa suburbana che Ulisse Aldrovandi si fece realizzare a Sant’Antonio di Savena a partire dal 1585. Purtroppo della villa non resta più nulla: tra il 1857 e il 1860 essa è stata distrutta durante i lavori di realizzazione della linea ferroviaria Bologna-Ancona. Una grave perdita che ha mandato “in frantumi – come scrive Lina Bolzoni – quel gioco di specchi fra parole, immagini e cose che l’Aldrovandi aveva pensato e costruito”.1
Il manoscritto illustra quattro ambienti, tre decorati con emblemi e una stanza che ospitava una contenuta galleria di quadri,2 a cui va aggiunta la cappelletta abbellita da una pala di Camillo Procaccini.3
Composto da cinquanta carte, il manoscritto non è autografo, ma redatto da due mani coeve.4 Sulla prima carta appare in bella mostra l’ex libris: Ulyssis Aldrovandi et amicorum, scritto di pugno dallo stesso scienziato (Fig. 1).5 Le carte del manoscritto non sono numerate; qui si seguirà dunque la cartulazione proposta da Lina Bolzoni che così si articola: “Proposito de l’autore” (cc. 2r–4v); “Ulyssis etymologia” (cc. 5r–5v); “Isola d’Ithaca et sua descrittione et qualità” (cc. 5v–6r); “Effetto et habito di Ulisse” (c. 6v); “Descrizione dei 13 ‘quadri’, ognuna con un Avvertimento e un distico” (cc. 7r–22r); “Elenco degli emblemi con animali collocati in tre stanze” (cc. 23r–27r); “Iscrizioni della cappella” (cc. 27v–29r); “Delle imprese” (cc. 30r–31v); “Spiegazione degli emblemi” (cc. 32r–47r); “Iscrizioni di diverse stanze” (cc. 47v–49v); “Iscrizioni sotto i ritratti” (cc. 50r–50v).6
Dalla lettura del manoscritto appare evidente che la villa funzionava alla stregua di un microcosmo realizzato a immagine e somiglianza dello scienziato:7 un panegirico di ciò che Aldrovandi è e vuole essere, nel quale lo scienziato bolognese è il protagonista assoluto, e nello stesso tempo, committente e autore di un programma iconografico a cavallo tra i miti del passato e le nuove scoperte della scienza. Dal manoscritto emerge lo straordinario “ritratto” di un edificio che vuole rappresentare quello che senza dubbio può essere definito un “autoritratto” del committente. Autoritratto che si avvale degli spazi della villa, dei suoi apparati architettonici e decorativi, con specifici riferimenti alla storia e ai suoi miti, alla scienza e al mondo animale e vegetale, per produrre l’immagine “ideale” che Ulisse Aldrovandi vuole dare di sé, del suo lavoro, dei suoi studi, del suo essere uomo del proprio tempo.8
Fig. 1. Ex Libris di Ulisse Aldrovandi del ms. 99.
Per la sala più grande della villa ricorre a episodi tratti dall’Odissea, realizzati probabilmente già a partire dal 1585 per mano dell’artista Alessandro Borghini da Correggio. I dipinti di questo ambiente, oltre ad avere una chiara risonanza con il ciclo di analoga tematica realizzato da Pellegrino Tibaldi9 al pianterreno del bolognese Palazzo Poggi, appaiono come una sorta di scelta obbligata: nomina sunt omina. Lo stesso nome dello scienziato contemplava insomma un destino, in questo modo le qualità dell’antico eroe omerico si proiettavano sulla sua immagine di uomo del tardo Rinascimento.
Come si vede, le carte dalla 2v alla 22r sono dedicate all’Odissea, della quale Aldrovandi enuncia fin da subito che la sua è “una narratione ovvero rapresentatione / historica de fatti più illustri di Ulisse che realmente segue l’ordine de tempi”. La narrazione tiene conto di molte fonti letterarie che lo scienziato possedeva nella sua biblioteca e che egli opportunamente seleziona per poi ricomporle secondo i suoi desiderata. In breve, i diversi testi di cui dispone e che trattano dell’Odissea vengono “smembrati” per essere successivamente rimontati secondo un’inedita sequenza. Un vero e proprio montaggio che vede l’inizio in un avvenimento antecedente le peregrinazioni di Ulisse: “La simulata pazzia di Ulisse per non partire da Itaca”,10 e che si conclude con l’episodio di “Telegono, figlio di Ulisse e di Circe, [che] desideroso di conoscere il padre, giunge a Itaca ove trovatolo, per un fatal errore e senza riconoscerlo, lo uccide”; una storia che, come quella di inizio del ciclo, ha la sua origine nel Bellum Troianum di Ditti Cretense.11
Il ciclo complessivo era composto da tredici “quadri” in cui erano rappresentate ventiquattro scene,12 ciascuna delle quali veniva spiegata con un distico latino di accompagnamento che ne facilitava il riconoscimento. La descrizione di Aldrovandi lascia con facilità pensare che la disposizione dei vari riquadri dell’Odissea seguisse il consolidato modello del cosiddetto “fregio bolognese”.13
In definitiva, anche per Aldrovandi, come già aveva affermato Urceo Codro all’inizio del Cinquecento: “facilmente in Omero si potrà scoprire la grammatica, la retorica, la medicina, l’astrologia, la favola, la storia, la lirica, soprattutto la filosofia […] e tutto quanto può servire all’animo umano desideroso di sapere”.14 Il gioco di riflessione dell’Ulisse bolognese nell’Ulisse omerico risulta del tutto esplicitato: l’infaticabile viaggiatore, l’instancabile curioso, il raffinato sapiente sono peculiarità che Aldrovandi riconosce a se stesso e che vuole “immortalare” sulle pareti della sua villa suburbana.
2. Gli emblemi
Alla carta 22r si legge: “passata la sala dove è dipinta / l’Odissea andando verso la / Cappelletta si entra in una / stanza dove sono vari emblemi dipinti / Il primo lo faremmo uscendo de la Capel / letta à man sinistra”.15 Gli emblemi sono presenti anche in altri due ambienti, uno che si trova “presso la camera della cappella”,16 l’altro nelle vicinanze del “serraglio”.17 Dapprima Aldrovandi enumera i complessivi trentasette emblemi in latino con il motto che li accompagna e, in molti casi, con le figure animali che li affiancano, per procedere poi con alcune considerazioni che lo scienziato bolognese antepone alla descrizione vera e propria delle imprese e dove il registro espressivo si rivolge direttamente all’osservatore:
Essendo l’impresa un ritrovamento, fatto per manifestare / virtuose, et magnanime intentioni del animo nobile […]. / Per invitar dunque voi signori che lieti et udite a / dimostrarvi le nostre honorate intenzioni per facilitar / questa via che è quasi un labirinto, farò quivi / alchuni brevi, leggi, ma però necessarie a comporla. / L’impresa […] è un composto / d’anima e di corpo; cioè di figure e di motto realmente / a dichiarare un suo proprio lodevole desio: o intenzione, / et acciò sia ben regolata deve havere seco queste conditioni: / prima si legga quella figura che ai suoi pensieri (semplicemente) è più conforme. / Seconda che sia giusta proporzione tra l’anima e l’corpo.18
Considerazioni che Aldrovandi, con minime variazioni, riprende dalla nota definizione del genere impresa redatta da Paolo Giovio nel suo Dialogo dell’imprese del 1559,19 alle quali il bolognese aggiunge la distinzione tra emblemi e imprese. Una distinzione che tuttavia lui stesso non rispetta in modo particolarmente rigoroso, lasciando intendere la commutabilità tra i due termini.20
Complessivamente i trentasette emblemi/imprese disposti nei tre ambienti – salvo i casi in cui non vengono annotati – erano affiancati a destra e a sinistra da figure di animali. Ed è proprio la presenza di questi animali a costituire l’aspetto più innovativo: essi assolvono in primis al ruolo di inquadratura degli emblemi stessi.21
Il primo ambiente presenta tredici emblemi, gli altri due, dodici ciascuno. In questi ultimi, la presenza o assenza di figure animali non appare del tutto casuale: le quattro imprese che non sono affiancate da alcun animale si trovano sempre nella stessa posizione: al numero due, cinque, otto, undici. Una sequenza che crea un ritmo spaziale rispondente allo schema di due a uno, cioè due emblemi accompagnati da animali e uno senza. Anche nella prima camera gli emblemi senza animali sono quattro (alle imprese tre, sei, otto, undici), ma a causa dei tredici emblemi che la decoravano il ritmo non manifesta una costante.
Si è a conoscenza che il laboratorio del naturalista bolognese possedeva una raccolta dei “capisaldi di una ‘bibliotheca emblematica’, i più importanti dei quali hanno legami con l’ambiente bolognese ed emiliano”.22 A conferma di queste sue conoscenze, oltre al già ricordato Paolo Giovio, nel manoscritto vengono citati “Ricusnero”,23 “Paradiso”,24 “Gabriel Simeone”.25 Ma è sufficiente ripercorrere le dettagliate descrizioni che Aldrovandi fornisce per accrescere il numero degli autori di emblemata e non solo che hanno nutrito la sua personale enciclopedia.
3. La cultura emblematica e il suo “montaggio”
La tecnica del montaggio è già stata richiamata per la sala dell’Odissea. Ma il montaggio è pienamente in azione anche negli emblemi e si manifesta con evidenza nell’assemblaggio di “un’anima” prelevata da libri di emblemi, alla quale il “corpo” viene cambiato secondo gli intenti di Aldrovandi. Ne è un esempio l’impresa degli struzzi che Paolo Giovio inserisce fra quelle militari in riferimento al conte di Navarra, laddove il bolognese preleva e varia leggermente il motto per sottolineare che lo struzzo ha il potere di fare cose diverse: cova con lo sguardo le uova; cioè, “guardandole fisse, tale è la virtù de riaggi efficentissimi degli occhi suoi”, che è in grado di dischiudere le uova (Fig. 2).26
Fig. 2. Paolo Giovio, Dialogo delle imprese militari et amorose… (Lione: Guglielmo Roviglio, 1559).
Nell’XI impresa della prima sala – “alcionis nidulantes in mare / certa quies”27 – l’alcione che nidifica in mezzo al mare corrisponde agli emblemi presenti al numero XIX, Ex pace ubertas, del libro di Andrea Alciato (Fig. 3),28 nel libro XV al De Alcedone di Pierio Valeriano29 e in Paolo Giovio.30 In tutti i casi essi vogliono rappresentare la tranquillità che, con dovizia di particolari, Aldrovandi così descrive:
Cavano li naviganti da la vista de gli alcioni / nidificanti in mare la certezza de la bonazza / et sicurtà del navigare di maniera che mai non / falla l’inditio […]. Disse l’Ariosto: / «si vider l’alcioni à la marina / de l’antico infortunio lamentarsi» […] Certa quies // vuole per questa dimostrare l’autore il desiderio che ha / di pervenire à quella sicura quiete et riposo che certamente sa trovarsi nell’altra vita ritrovando / falace tutti li inditij et speranze di quiete che sono / in questa.31
Fig. 3. Andrea Alciato, Emblematum Libellus (Parisiis, excudebat Christianus Wechelus, scuto Basiliensi in vico Jacobeo, 1534), 23. Bibliothèque nationale de France, département Réserve des livres rares, Rés. Z-2511-2513 (https://gallica.bnf.fr/ark:/12148/bpt6k70302x).
Fig. 4. Pierio Valeriano, Hieroglyphica sive de sacris Aegyptiorum literis commentarii (Basileae: [Michael Isengrin], 1556), “De grue. Custodia”, 128v. Universitätsbibliothek Basel, UBH BA VIII 19 (https://doi.org/10.3931/e-rara-2983).
La Gru pede lapidem retinens , terza impresa del primo ambiente aldrovandiano, deriva da Orapollo,32 ed è proposta da Pierio Valeriano33 (Fig. 4) e da Paolo Giovio.34
Già Adalgisa Lugli aveva notato la risonanza – a quanto ci è dato sapere non approfondita successivamente – tra gli emblemi del manoscritto 99 di Ulisse Aldrovandi e quelli di Joachim Camerarius il giovane (Norimberga, 1534–1598), il quale nel 1564 aveva dato alle stampe Symbolorum et emblematum. Un volume dove il genere emblematico è emendato da ciò che non appartiene al mondo naturale, facendo prevalere soprattutto gli animali nonché qualche rara pianta.35
Alcuni emblemi di Camerarius, infatti, sono puntualmente ripresi da Aldrovandi: ad esempio, nella seconda stanza della villa, l’emblema quinto dell’unicorno che mette il suo corno nell’acqua36 corrisponde al XII di Camerarius (Fig. 5);37 così come con lui risuonano il III dell’istrice (Fig. 6). L’impresa dell’istrice rispetto a Camerarius è variata nel motto, che tuttavia non incide sul significato: il tedesco correda l’istrice con gli aculei sollevati e la scritta “Comminus et eminus”,38 mentre il bolognese la completa con un “Prope et procul”, spiegando che “l’istrice overo porcelleto spinoso è preso quivi per / dimostrare che dobbiamo fugire l’ire de grandi”.39 E ancora, per Paolo Giovio l’istrice è accompagnato dallo stesso motto di Camerarius, mentre in Claude Paradin è corredata dal motto “Vlutus auos Troiae”.40
Fig. 5. Joachim Camerarius, Symbolorum & Emblematum ex animalibus quadrupedibus desumtorum centuria altera collecta (Norimbergae: Excudebat Paulus Kaufmann, 1595), 20. Biblioteca Digital del Real Jardin Botanico de Madrid (https://bibdigital.rjb.csic.es/idurl/1/13748).
Fig. 6. Joachim Camerarius, Symbolorum & Emblematum ex animalibus quadrupedibus desumtorum centuria altera collecta (Norimbergae: Excudebat Paulus Kaufmann, 1595), 92. Biblioteca Digital del Real Jardin Botanico de Madrid (https://bibdigital.rjb.csic.es/idurl/1/13748).
Dell’aspetto più innovativo, quello delle figure animali già annoverate nella mera elencazione degli emblemi, non viene mai fornita alcuna spiegazione. Lina Bolzoni – la quale per prima si è interrogata su quale rapporto intercorra tra gli emblemi e gli animali – è dell’avviso che anche un puntuale riscontro con i suoi volumi a stampa non porterebbe particolare luce sul complesso sistema che ne può aver guidato le scelte.41 Alle volte, però, la percezione che ci sia un nesso tra emblema e figure animali va oltre una mera sensazione. Nel caso, ad esempio, della settima impresa del secondo ambiente, che vede il suo protagonista in uno scoglio battuto dalle acque, a destra trova posto un mostro (sirena?) e a sinistra un granchio rosso. Oppure, nel caso dell’emblema quarto della terza stanza, l’echino che mostra soverchia furbizia nel difendersi dalla vipera analogamente alla lince germanica e alla lince africana, animali che sono legati oltre che dalla formidabile vista, dalla lungimiranza e dalla furbizia. Ma al di là di questi semplici riscontri, le figure animali hanno una rispondenza pressoché completa nelle tavole acquerellate eseguite per la stampa della sua opera omnia. Nella prima stanza il mondo animale, inoltre, manifesta una coerenza nella chiamata in causa di soli volatili (galbula, gruccione [Fig. 7], fagiano maschio [Fig. 8], gazza caudata, gallina pernia, gallo turco, civetta, pappagallo [Fig. 9], gufo reale [Fig. 10], colomba [Fig. 11], aquila vulturina [Fig. 12], germano reale, aquila marina, ecc.). Mentre nelle altre due sono presenti i quadrupedi (bufalo africano [Fig. 13], gatto selvatico lince, cane, lepre, volpe, scimmia [Fig. 14], capriolo, cervo), alcuni pesci (aragosta, polpo [Fig. 15], granchio) e ancora qualche uccello (crociere fasciato, pigliamosche, ecc.), un mostro e un’arpia (Fig. 16).
Fig. 7. Tavola acquerellata di Merops apiaster (Gruccione). Bologna, Biblioteca Universitaria, III, a., c. 153.
Fig. 8. Tavola acquerellata di Phasianus colchicus (Fagiano, esemplare maschio). Bologna, Biblioteca Universitaria, II, a., c. 83.
Fig. 9. Tavola acquerellata di Bologna, Psittaci species (Parrocchetto). Bologna, Biblioteca Universitaria, II, a., c. 66.
Fig. 10. Tavola acquerellata di Bubo (Gufo reale). Bologna, Biblioteca Universitaria, I, a., c. 44.
Fig. 11. Tavola acquerellata di Columbus domesticus (Piccione). Bologna, Biblioteca Universitaria, II, a., c. 43.
Fig. 12. Tavola acquerellata di Gypactos (Aquila vulturina), Bologna, Biblioteca Universitaria, II, a., c. 13.
Fig. 13. Tavola acquerellata di Bubalus bubalis (Bufalo africano). Bologna, Biblioteca Universitaria, I, a., c. 82.
Fig. 14. Tavola acquerellata di Simia barbata (Scimmia barbuta). Bologna, Biblioteca Universitaria, I, a., c. 83.
Fig. 15. Tavola acquerellata di Octopus vulgaris (Polpo). Bologna, Biblioteca Universitaria, IV, a., c. 33.
Fig. 16. Arpia, da Ulisse Aldrovandi, Monstrorum Historia… (Bononiae: typis Nicolai Tebaldini, 1642), 337. Bibliothèque nationale de France. Segn.: Bibliothèque Carré d’art / Nîmes, 3788 (https://gallica.bnf.fr/ark:/12148/bpt6k1091013k).
Addentrarsi nella complessità del laboratorio aldrovandiano porta sempre più a constatare come lo scienziato non sia inquadrabile all’interno di un sistema organico, addirittura anche per quanto riguarda i suoi rapporti con gli artisti e, di conseguenza, con le arti figurative.42 A questo proposito, Adalgisa Lugli scrive che Aldrovandi è “teorico di una verosimiglianza che non può non coinvolgere, e come elemento di grande novità il lavoro degli artisti, ai quali dare indicazioni nel caso debbano rappresentare soggetti tratti dal mondo naturale”; ma quando egli stesso è committente di opere d’arte o ideatore di programmi iconografici, “la forma sembra essere piuttosto quella di una cultura emblematico erudita, cauta e coerente con quella del suo tempo”.43
Ritornando ai fregi, non si è in errore nel considerare i tre ambienti con fregi emblematici come il luogo in cui convivono due diversi modi di rappresentazione; si potrebbe dire che lo scienziato mette contemporaneamente in atto uno sguardo verso il “futuro” e uno sguardo verso il “passato”. Agli artisti con i quali entra in rapporto diretto, il naturalista commissiona immagini di diverso tipo: non solamente quelle finalizzate a illustrare la sua Storia Naturale – che sono sicuramente la parte più innovativa della sua riflessione sul rapporto tra arte e scienza –, ma anche immagini profondamente permeate di cultura classica e antiquaria. Un immaginario laico, che mantiene viva la tradizione propriamente bolognese praticata da studiosi quali Andrea Alciato,44 Achille Bocchi,45 Pierio Valeriano.46
Nel loro insieme i tre ambienti con il fregio che vede la congiunzione emblema-animali sembrano dar voce alle due tradizioni che cooperano nel lavoro instancabile di Aldrovandi: quella propria della cultura classica e archeologica, e quella più aggiornata fondata sull’osservazione attenta dei fenomeni della natura. Insomma, il suo operare in generale, e soprattutto nei tre ambienti con emblemi, può essere interpretato con le parole di Ezio Raimondi: vale a dire come un insieme che si trova sul crinale del “passaggio dall’enciclopedismo come erudizione aneddotica alla scienza come metodo e indagine razionale”.47
© LUCIA CORRAIN, 2022 / Doi: 10.30682/aldro2201c
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[Trascrizione di Ilaria Negretti]
Ulyssis1 Aldrovandi et amicorum f. 2452
Pitture che si vedono nel palazzo / del eccelentissimo signor Ulisse Aldrovandi, / posto nella villa di Santo Giovanni Paolo / nel comune di Santo Antonio di / Savena3.//
[c.1r] Proposito de l’autore. / Questa sarà una narratione overo rapresentatione / historica de fatti più illustri di Ulisse che realmente segue l’ordine de tempi. / Ditte Cretense nel ultimo suo libro de bello Troiano, / volendo dar compiuto fine a l’historia sua, va / satisfacendo al lettore col poner il resto delli / successi di capitani greci da la roina di Troia, / sino al ritorno loro a le proprie patrie et seguen/do un tant’huomo la cominciata impresa e tessi/tura vi pone ancora il viaggio d’Ulisse, succintamente / toccandolo nel calce del libro, et racconta la / morte sua predettagli da sogni, simulachri, au/gurj et da l’indovino Tiresia, che quale ella / fusse, come accadesse, et in che tempo de la sua / età, et da chi si fusse data, lo ((reccita)) chiaramente / et con questo fine chiude la sua opera degli / sette libri de bello Troiano, seguendo l’ordine / successivamente naturale. // [c.1v] Essendo adunque l’ordine de la narratione historica / diverso da l’ordine de la narratione poetica inse/gnataci da Homero, Virgilio et da altri poeti, / et essendo il scopo nostro trattare la vita d’Ulisse / et rapresentare i fatti egregi suoi historicamente / perciò habbiamo seguito l’ordine de la natura; / cominciando primeramente dal principio de le cose / illustri che fece Ulisse, come saria la prepara/tione a la guerra di Trioia, sino al fine de / suoi fatti dopo Trioia, ancorche Plutarcho con/sidera questi4 fatti d’Ulisse diversamente / facendone una partitione bimembre sola. / Ben ci è noto che nella narratività poetica si / tiene un ordine artificiale cominciando dal mezzo / o dal fine reale, e poi per commode opportunità / ò digressioni di raccontare le prima avvenute / ò poi, o in mezzo; il che Homero pienamente l’ha // [c.2r] osservato nella sua Odissea et Virgilio nell’Eneide / perciò che Homero diede principio à l’Iliade da le / cose avvenute nel mezzo de la guerra, cioè da / lo sdegno nato tra Achille et Agamennone nar/rando con alcuni trapassamenti fatti à tempo hora le / cose del principio, hora le cose del fine di quella / guerra, et questo medesimo modo artificiale et / poetico uso esso Homero nell’Odissea sua, che / contiene il viaggio o ritorno d’Ulisse da Trioia ad / Itaca dal cominciamento de le cose avvenute / verso la fine di quel ritorno cioè de la partita / di lui da Calipso, prendendo cagione di narrare / le cose avvenute prima per bocca d’Ulisse ad Alcionoo / in Corfù come lo dimostra nel nono5 [libro] de l’Odiessea / à questo proposito addurò Quintiliano, consideran/do egli l’ordine bifido di narrare l’historia / così disse: / «Ubi ab initijs incipiedum ubi more Homerico à mediis vel ultimis» // [c. 2v] Nell’Enneida6 parimente Virgilio non da le cose di prima / ma da le cose avvenute al fine, come da la partita / di Enea in Sicilia, et prima che giunga al fine / con la occasione apprestatali da la curiosità di / Didone fà narrare le cose prima e già tralasciate / da lui ad Ennea, indi nato quel trito proverbio / (Ὁμηρικῶς ὕστερον πρότερον). / Che Luciano per haver seguito l’ordine de tempi / et naturale, quale noi in questo habbiamo imitato / fusse ripreso nella sua Pharsalica, potria alcuno / notarlo ancor à noi, gli risponderemo che ben / fu ripreso sì, ma come poeta, et la sua Pharsa/glia come narratione poetica per non già come / narratore historico, et reale de le cose come succes/sivamente furono, onde con lui ci contentaremo ben / d’esser spoetati in questo, ma d’esser tassati poi come / historici ci parria strano. / Ben porria dire alcuno elevato ingegno dimmi ò autore // [c. 3r] se’l tuo7 proposito è di voler solamente / narrare i fatti egregi d’Ulisse, come vi pone la sua / insania rispondersi che l’insania di Ulisse fu / simulata, e’l saper simulare à tempo à fine honesto / et utile a se stesso è virtù che sia questo a luogo / e tempo fatto farro virtù Aristotele nel sesto8 [libro] delle mo/rali al capitolo .V. me lo insegna dicendo: / «Prudentia est bene cunsulere circa ea, quę sibi sunt bona ac prosunt» et meno honorata attione / era quella d’Achille stare tra le femine nascosto / in habito di donna e violare Deidamia, ((nondimeno)) / Statio nel principio de la sua Achilleida prepa/randosi come sonora troinba à cantare i fatti / suoi, pone prima tale attione dicendo: / «Magnanimum æacidem formidatamque tonanti / progeniem et patrio vetitam succedere cœlo / diva refer; quamquam acta viri multa9 inclyta cantu / Meonio sed plura vocant nos ire per omnem». // [c. 3v] Ulyssis etymologia / A verbo (Ὀδυσσεύς) nonnulli derivare dicunt ((1. irascor)) / sed Eustathius teste Gorropio Olysse ((recteque)) / scribendum putat, ex quo etymologia greca / cymbrica admixta nomen huius significare nobile / desiderium, generosam voluptatem. Fulgentius ((vero)) / ὀλόνξενo vocat quasi omnium peregrinus, sapientia / namque ((omnium mundanarum rerum)) est peregrina. / Homerus liber .4. (Odisseę) de Ulisse. / Non ullus10 Acheus11 / tam dira passus est totus agitatus amara / fatorum serie ut quondam mihi divus Ulysses / qui tot sustinuit casus discrimine rerum / hinc illi virtus æternaque gloria vivet). / Idem liber .9. Iliade / Hic ille est Laerte satus generosus Ulysses / quanquam Ithacę sterili ((lapidissę)) natus in ora / vir tamen eximie sapiens et ad omnia (…) / callidus instrumenta ((dolisque instructus et armis)) // [c. 4r] (sic amor est) heroa, vilis, Scyroque, latentem / Dulichia proferre tuba; nec in Hectore tracto / sistere sed iuvenem tota deducere Troia. / Homero in quanto spetta a Ulisse solo nelle sue / due opere cioè Iliade et Odissea propose al / parer mio di voler trattare d’Ulisse et sue / attioni come un tutto fusse, le cui parti / come ho detto sopra in due furono divise: / la prima nell’Iliade propose à contemplare la12 / fortezza del corpo13, nella seconda14 cioè Odissea / l’eccellenza de l’animo, il che afferma Plutarcho / nel suo libro de Homero. / Questo è quanto in materia di questo nostro / proponimento habbiamo voluto dilucidare, accioché / questa nova Odissea (per dir così) o vero serie / de i più notabili gesti et errori d’Ulisse, si / renda più facile a chi (vedendola) non è così nota. // [c. 4v] Plutarcho nel libro chiamato De Pichię oraculis / carmen 493 così d’Ulisse et sua facondia narra / che quando Minerva voleva persuadere qualche / cosa à li Achei eccitava per questo Ulisse. / Fillostrato nel libro De Viris illustribus dice / d’Ulisse15 che fra li fatti suoi, molti, et / memorandi, non ci fu il più maraviglioso di / quel cavallo fabricato da Epeo, per il quale / si prese Troia, di che esso ne fu l’inventore. / Isola d’Ithaca et sua / descrittione et qualità. / Ithaca descritta da Homero nel libro terzo16 de l’Odissea. / Et aspra è ben quest’isoletta alquanto / et non molt’atta de cavalli al corso. / Non già sterile è poi fuor di misura / se ben molto in larghezza non si stende / che sempre in essa l’herbe fresche e verdi; // [ c. 5r] per la ruggiada et per la pioggia sono: / onde per capre e buoi frescha pastura / ci è sempre in copia folta e verde selva / ed acque chiare e dolci ombrosi rivi. / Il medesimo libro xvii. / Vicino à la cittade un fonte v’era / che fabricato con mirabil arte / vago spargea da varie parti l’acque / onde poi ber la città ne prendea / questa già fero il gran d’Itaca e secoo / ((Nerito)) con ((Pollittore)) e d’introno / un boschetto era in giro ov’alni e piante / varie dal grato humor de l’onde chiare / si nudrivano e quelle uscendo d’alto / d’una pietra formavan fresco un rivo. / Di sopra fabricato era un altare / a le nimphe del loco ove chiunque / ivi passava faceva sacrificio. // [c. 5v] Effigie et habito di / Ulisse / Era di vita et corpo fermo, di giusta statura / di faccia allegra, di sembiante astuto, di pelo / crespo e negro, portava una clamide di vari / colori perciò da gli antichi fu chi chiamato polymito / cioè vestito e ornato d’una veste varia di colori / et così significantemente dimostrava che haveva / l’animo adornato di molte virtù et astutie. / Portava nel scudo per insegna un delfino / col quale astutamente voleva dimostrare di voler seguire / le doti d’un tale animale, perché con l’esser / humano amatore de la musica et veloce nel / corso, esso delfino avanza ogn’altro animale / terrestre o marino altri dicono perché caduto nel / mare Telegono17 suo figliolo, un delfino lo prese / et ributtò a riva et in tal memoria lo / portava. // [c. 6r] Nel primo quadro / Ulisse, figlio di Laerte, re d’Itaca et Dulichio, isole / del mare Ionio, hebbe per moglie Penelope, / figlia d’Icario da la quale n’hebbe Telemacho, amò / tanto questa donna, che per non partirsi da lei / dovendo andare tutti e principi greci all’impresa / di Troia si finse pazzo sperando che tal persona / come inutile à la guerra saria ripudiata. / Perciò giunti un bue et un cavallo a l’aratro, arava / la spiaggia del mare, seminandovi sale, ma Palamede, / re d’Euboea dubitando de la pazzia che non / fusse finta, per scoprirlo, le trasse avanti / l’aratro nel solco Telegono18, suo proprio figlio, ma / questi arrivato al fanciulo, et conosciutolo, non / spinse gli animali, ma sollevò l’aratro dal / solco, et di qui scoperse la frode sua / Avvertimenti / Ulisse ha la veste di cui una parte è gittata // [c. 6v] ad armarcollo, l’altra parte pende sin al ginocchio / onde si vedano le braccia nude sino al gomito / una gamba con il cotturno, l’altra coperta / dal lembo de la veste, che si stende sino al / talone, potriassi fare de rosso mal tinto / che al nero s’approssimasse; potriassi fare / senza niente in testa, ma Higino dice che piglio / un capello che Palamede lo mira in disparte / intento al successo: il cavallo si potria pigliar / grecanico che è gagliardo et grande molto ani/moso et veloce, che habbia un sacchetto apprestato / col sale che semina, Plinio testifica che con/giunse un bue con un cavallo sicome si vedeva / nel tempio de Epheso fatto per mano di Parrhasio, / Palamede sia magro, lungo et si finga / piacevole huomo et se si può d’animo / eggregio, // [c. 7r] onde condotto à Troia fece opere valorose et utili à lo essercito greco, imperoché standosi / nascosto Achille all’hora in habito di donna / con le figlie di Licomede, re di Sciro, à filare, / Ulisse con Diomede lo levò da cotal lavoro / et lo condusse seco havendolo conosciuto astu/tamente per le merci et armi che li portò davanti. / Avvertimento. / Ulisse sbarcatosi con Diomede al re Licomede / haveva un ramo d’oliva in mano per dare / segno di pace al re, che gli era venuto in contro / con gente armata, dove havria occasione il / pittore di fomar belle donne, et Achille vestito / da fanciulla et all’appresentar de l’armi, / al suon de le trombe e tamburi spaurite le / donne fugire et Achille prender l’armi, dippoi vi nascerebbe la presentatione d’Achille / dinanti a Licomede et la madre Thetis // [c. 7v] uscire dal mare piangendo da lontano la / sciagura del figlio vedendolo in atto di voler salir / in barca et esso farle un sacrificio d’una vittella / et d’un bue à Nettuno di poi gittar l’intestino / nel mare. Achille prese l’armi andar con / Ulisse et stracciarsi le vesti da donna di dosso. / Sia Achille di pelo biondo, crespo. / Diomede sia di corpo picciolo, ma presto et ardito con l’elmo di cuoio, col pennacchi / di code di cavalli. / Distico sopra al primo / quadro. / Stultitiam simulat ne uxorem linquat, Ulysses / virgineosque inter cetus agnoscit Achillem. //. [c. 8r] Nel secondo19 quadro. / Quelle ceneri, che sopra la porta Scea di Troia / si serbavano di nascosto, le rubbò et con / Diomede di notte ancora rapì il fatal simu/lacro di Pallade, custodito nella rocca di Troia, entrando dentro à la città per le cloache et / nel ritorno amazzando le guardie. / Ulisse col medesmo compagno di notte ancora tolse / i cavalli di Rheso, re di Tracia, salito lui / supra uno di quelli, et conducendo seco à mano / l’altri, percuotendoli con l’arco, havendo / Diomede ucciso esso Rheso et molti altri soldati / suoi. / Avvertimento. / Andando su la porta di Troia che in fronti/spicio heveva scolpito un teschio di cavallo / adoperava una scala da muraglia, era / di notte, era armato, farassi uscire Diomede da la // [c. 8v] muraglia dove si vedano uscire le guardie. / I cavalli erano bianchissimi et ben ornati di selle et briglie. Era Rheso per la sua gran/dezza miracoloso, attendato à la campagna. / Ulisse s’inviava mentre che Diomede feriva Rheso / et Ulisse chiamava il compagno che hormai lasciasse20 / d’uccider coloro che stanchi et ebri dormivano. / Erano i padiglioni presso il fiume Xanto, vicini à Troia, / Diomede come è detto sia di persona piccolo / ma si finga animoso e bellicoso, che mentre / egli è intento à uccider Rheso, Ulisse s’invia / con i cavalli, come così recita Homero: / «Ulisse intanto havea i cavalli preso / e montato su l’un l’atri trahea / per le briglie che tutti gli altri arnesi / sicome io dissi già ciascun tenea21 / ne va a gran passi et i pensier22 intesi / e gli occhi insieme al suo compagno havea // [c. 9r] egli accenna con man c’ha fatto assai / e da l’uccision rimanga hormai». / Andata loro a trovar / Rheso . Homero libro .x. Iliade / Avanti che arrivassero alli padiglioni di Rheso / havevano amazzato Dolone et tagliatoli il capo / lasciatolo nella polvere havevano posto l’elmo, / l’arco et il dardo suo sopra un arbore / di tamarisco detto latinamente mirca / et per esser di notte per tornar in dietro per / la medesima strada sicuramente andavano / piantando per la via certi bacchetti o calami / et spargevano le minute foglie dl tamarisco / per terra. / Diomede si potria far armato col scudo rosso / dipinto con la Pallade, con l’elmo di cuoio / col pennacchio di code di cavallo. / Rheso con tutti i suoi soldati portavano / le sopraveste nere, l’elmo di Dolone e’l scudo come // [c. 9v] i soldati Troiani. / Distico del secondo23 / quadro. / Scęam24 urnam, arcem palladio, comitante Tydide privat equis Rhesum et vita25 Dolone perempto. // [c. 10r] Nel terzo26 quadro / di Ulisse fattosi mendico et impigato / in Troia. / Che Ulisse solo fattosi in habito di mendico / entra in Troia, Helena conosciutolo, con lei / conferisce secretamente che solo vole uccidere una / moltitudine di Troiani, lei gli lava da la / faccia quelle macchie di sangue che s’era dipinto / et gli da una veste, lui doppo amazzando quanti / troiani trova, uscisse salvo da la città et / torna à l’essercito; sin qui Homero. / Ulisse et suo valore / in battaglia. / Questi abandonato da tutti i soldati greci et / rimasto solo fra le nemiche squadre atorniato / da molti e fortissimi Troiani; (nondimeno) come apero / fra mordaci cani prima s’azzuffò con Deiopite, / poi con Thoone, Chersidamante, Carope, figlio di / Hippasi et finalmente con Socco) fortissimo guerriero // [c. 10v] e tutti uccise, onde li Troiani ristretti insieme / con assalto intolerabile gli corrono adosso; egli / già stanco per il lungo ferrire et per una / piaga già poco prima ((ricevuta)) dal valoroso Socco / passato dal lato stando da banda a banda restan/do però illese le parti vitalli per opra di Pallade / s’andava ritirando et chiamando aiuto, così / arrivato Menelao et Aiace il forte, con lunga / schiera di greci gli venero in soccorso. Al fin / ritornati, Ulisse vittorioso godè et si rissanò / quantunque la ferita fusse molto grave, et / tale che non poteva stare diritto, perciò Mene/lao presolo per mano lo teneva fin tanto / che giunse la carretta, che lo condusse à suoi / alloggiamenti. / Distico del terzo27 quadro / Mendicans Helenam alloquitur multosque trucidat / solus et invadit cunctos et sustinet hostes. // [c. 11r] Nel quarto28 quadro / Una congregatione di capitani Troiani captivi da greci / constituiti giudici / (secondo l’opinion d’alcuni altri dicono / che fussero greci) quali diano la udienza29 / ad Ulisse et Aiace per l’armi d’Achille et / Aiace che con la spada s’uccida. / Un poco più lontano Ulisse che habbia ucciso Orsiloco / capitano per non volergli lasciar la sua / parte de le spoglie. / Ulisse, arsa Troia, partito in nave, batuto da la / procella30 appresso un lito de Ciconi / che lanciandoli dardi li vietano il pigliar porto. / Avvertimento. / Il scudo di Achille haveva li elementi et / il zodiaco depinto fatto da Vulcano, il sole / la luna et l’altre stelle e la corazza / tutta ornata d’oro. / L’elmo d’Achille era lustro, terso, con la cresta / d’oro. Ulisse di vita et corpo fermo, di ((vista)) / statura, di faccia allegra, di sembiante astuto, // [c. 11v] di pelo nero e crespo, parta per insegna uno scudo / nel quale è dipinto un delphino. / La sopravesta et tutti li suoi adornamenti siano / di colore canzante, habbia à canto overo nei / padiglioni quella Pallade che rubbò sulla / Rocca di Troia. / Fra Ulisse et Orsiloco siano in terra vestimenti, / ((coffiini)) da campagna rivolti sottosopra ma / serrati et che mostrasse che sia buttino. / Aiace era talmente grande che superava qual si / voglia greco, era di bellissimo corpo et di ammiranda fortezza. / Hauta la sentenza contro de l’armi d’Achille, / volendossi per ciò uccidere, quando i greci videro / appoggiarsi la spada al petto, levarono grida, / per tutto l’horbe greca, talmente grandi che / si sentirono fin dentro la città di Troia. / Distico del quarto31 / Armis letus32 Achillis abit perimitque negantem / Orsilochum spolia et Ciconum prohibetur ab oris. // [c. 12r] Nel quinto33 quadro. / Da venti fu portato in Africa a li lotofagi / popoli de la Libia, dove smontati i compagni / à mangiare di quei frutti, non sapevano partir/sene et per forza furono tirati à le navi da / Ulisse. / Avvertimento. / I loti erano arbori di molta grandezza et / quasi come un pero, i frutti grandi come una / fava, ma tondi e rossi, et di questi frutti / ve n’era una selva. / Ulisse et i compagni con le sue spoglie et insegne / solite à la greca come già s’è detto. / I tronchi de li alberi siano grossi, i rami espansi / come rami del moro, le foglie incise, siano rossi / i frutti, con un poco di giallo seco. / Era questa un’isola che nell’Africa è molto / famosa, hoggidì chiamata l’isola de le ((Zolbe)). // [c. 12v] Potriassi farò apparire terra ferma che / saria l’Africa divisa da l’isola con un / braccio di mare et porvi un leone, essendo / che l’Africa partorisce leoni. / Distico del quinto / quadro. / In Syrtes trahitur, captos dulcedine loti et34 /patrię oblitos comites ad transtra reducit. / Nel sesto35 quadro. / Facendo vela la terza volta fu trasportato / in Sicilia, dove con dodeci compagni entra / nell’antro di Polifemo, illustre ciclope, qual / havendone divorato sei di loro, divisò Ulisse di / cavarli l’occhio con un tizzone et riuscito // [c. 13r] l’effetto avvilupatosi col resto de compagni / nelle pelle de i montoni fugiro col grege in / fretta da le mani del ciclope. / Avvertimenti. / La spelonca di Polifemo era molto vicina / al mare, et molto alta et grande intorno / la quale era una folta selva d’allori / prodotti da la natura, che rendeva ombroso / perpetuamente il dorso de l’antro, il qual era / construtto di grandissimi sassi / «et saxis terra de fossis horrida squalet» / il resto era prateria piena di lanoso grege / et instrumenti per latte et caseo. / Ulisse havea un vaso di cuoio di capra / pieno di vino et uno zaino pien di cibi; / il palo con che gli cavò l’occhio, era di / olivo, la cui punta era infocata che gli abbruggiò // [c. 13v] et Ulisse fu l’ultimo à uscire. / Secondo36 atto / Drizzando di qui il viaggio verso Eolia, Eolo, / re dei venti à lui favorevoli, gli dà Zefiro / vento che li somministra prospero viaggio / serrando li altri nelli utri di cuoio di buoi / et essendo già vicini ad Itaca, imaginandosi / i compagni nascondersi qualche tesoro, dor/mendo Ulisse, li sciolsero, per il che usciti / i venti furiosamente lo ribbuttorno con grand’im/peto in Eolia, et battuti in questo naufragio / perse Ulisse undici navi, et fu tratto / al lito de Lestrigoni.. / Avvertimenti / Le navi de greci erano tonde di figura; / la città d’Eolo era tutta fatta di rame; / Lestrigoni erano grandissimi huomini. Homero libro .x. Odiessea // [c. 14r] Antiphate era suo re, il quale vedendo nel suo / conspetto arrivato un compagno d’Ulisse, lo / prese et mangiò, l’altri vedendo ciò, tutti / con Ulisse fugirono. / Distico del sesto37 libro38. / Nel settimo39 quadro. / Naviga ad Aea isola, dove preso porto elege / a sorte la metà de compagni dandoli per / capo Euriloco et li manda ad indagare / qual sia quel’isola; caminando dunque per le // [c. 14v] selve furono veduti da Circe, che dandoli / prima à bere certa bevanda, poi toccandoli / con una verga, li trammutò in porci. / Intendendo questo, Ulisse, preso da Mercurio / l’herba Moly et la spada, per minaccie / la costrinse à restituire i compagni nelle / loro prime forme, poi stando con lei per / un’anno n’hebbe Pelegono che poi uccise / il padre proprio. / Avvertimenti. / Il Moly qual herba sia si consulta per / il pittore. Nell’isola di Circe per le selve si vedevano lupi et leoni / vagando, che ella con suoi incanti haveva / fatto tali d’huomini ch’erano, et vedendoli / giunti li chiamò et introdusse à la sua grotta et porgeva loro caseo per mangiare // [c. 15r] et vino con mele in una tazza per bere, i quali / poiché havevano beuto toccavali con la / verga et subito doventavano porci. / Caminando Ulisse a Circe si gli fa incontro. / Secondo40 atto / Partitosi di qui se ne passò a li Cimerii popoli / à l’estremo Oceano et fa scrificii a Plutone. / Avvertimento. / Cimerii alberghi son al fin del profondo oce/ano dove vicino è la via à l’inferno, luogho / oscuro e fosco, ne vi è mai sole, quivi Ulisse / sacrificando una agnella nera, fa in terra / un’ampia fossa et vi sparge liquori per i / morti, pregandoli fargli gratia del ritorno / Mercurio, et gli da l’herba chiamata Moly, po/triassi fare che mentre Circe vole toccare / Ulisse sopra la testa con la bacchetta, lui / ponga mano à la spada et lei con la // [c. 15v] tazza et verga in mano paurosa si ritira et / si getta in ginocchio mostrando pregarlo che le perdona. / Distico. / Circem adigit proprias sociis inducere formas / Cirmeriosque adit, ac Divis sacra manibus offert. // [c. 16r] Nel VIII quadro. / Entra al’inferno, ivi da Tiresia indovino intende / il successo di sua vita. / Avvertimenti. / Che Tiresia habbia un scettro d’oro in mano / et una tazza di sangue, che quella bevuta / predice le cose avvenire à Ulisse come narra / Homero. Le porte di Cocito, a le quali / vicino era il tempio de la ombrosa Hecate, / erano di rame. / Distico. / Audit Tiresiam fatorum arcana docentem / sirenum et cantus vitare a Circe monetur / Secondo41 atto. / E ammaestrato da Circe de l’andata a le sirene / et del modo con che debba fuggir l’insidie / loro et come schiffi i scogli di Scilla et Cariddi / passando per di là. // [c. 16v] Avvertimenti. / Le sirene erano figlie d’Acheloo, chiamate / Partenope, Ligia et Leucosia, erano mostri / marini nel capo et petto erano di figura / de vergini, da le coscie in giù di pesce, / una di loro cantava, l’altra sonava la / cetra e l’altra il flauto, li huomini piglia/vano et sommergevano nel sonno et li lascia/vano marcire, erano sopra un prato pieno / d’ossa di morti huomini già da loro allettati, / come dice Homero nel dodicesimo42 [libro]. / E lor d’intorno si sorgea sovente / gran massa biancheggiar d’ossa di morti / ch’el gran desio già consumado strusse / e la magrezza estrema sol la pelle / sovra l’ossa lasciò di carni ignudi. / Sirene .1. tractatorie in tre modi ad amore // [c. 17r] tiravano ò col canto ò col vedere ò con / la consuetudine. Fulgentius carmen 37. / Sylla scoglio nudo e petroso, altissimo, / acuto, circondato da folta nebia che sempre / vi sta nel cui fondo si scende all’Erebo. / Cariddi è uno scoglio più humile ha una aper/tura che inghiotisse le navi per tre giorni si / e tre no. / Distico. / Audit Tiresiam fatorum arcana docentem / Sirenum et cantus vitare a Circe monetur. / Nel settimo43 quadro. / Giunge à Fetusa che in un prato con le / due sorelle pascevano i buoi del Sole suo / genitore, onde i compagni affammati, dormen/do Ulisse, amazzano duoi buoi di che ne // [c. 17v] pagorno il fio, perché assaliti da la procella / del mare s’annegorono tutti eccetto il solo Ulisse / che aiutatosi arriva à l’isola Ogigia da / Calipso ninfa et con lei stette sette anni / et gli fece dui figliuoli. / Avvertimento. / Fetusa e Lampetia figlie del Sole in Sicilia / in un bellissimo prato pascevano buoi bianchissimi; / erano esse belle giovanne. / Facciasi Ulisse appresso un rio che steso per / terra dorma et de compagni d’Ulisse, altri / abbruggia sopra l’altare frondi di querza, / altri uccidano buoi. / Dipingasi un mare et un fulmine che / percuota la nave d’Ulisse. / Distico. / Et nave et sociis submersis, solis ob iram / naufragus Ogygiam ad Calypsus pervenit aedes. // [c. 18r] Nel X. quadro. / Li dei determinano che Calipso lascia / andare Ulisse et per questo li mandano / Mercurio che debba lasciar partirsi44 Ulisse / che dolente sopra il litto piangeva. / Partitosi poi per mare, Nettuno li sommerge / la nave, ma Leucothea risorge da l’onde / et se gli appresenta che era nell’onde sovra / un’assa nudo et li da una fascia con / la quale si salva, legandosela al petto. / Arrivato al porto de Pheaci di notte s’asconde / fra le fronde et ritrovato da Nausicaa / che li dà vesti, nave, che lo conduce in Itaca / mentre che dormiva, Nettuno mutta in un / sasso la nave. / Avvertimento. / La grotta de Calipso come sia vide Homero / libro .4. Odysseę. // [c. 18v] Mentre Ulisse è in preda à la fortuna, risorge Ino, dea marina, la quale come si possa dipingere / vide Vincenzo Cartari De le imagini di dei, carta / 259. et gli da la fascia avvertendolo / la dea, che salvato che sarà à la ripa / getti nel mezzo del mare la detta fascia / la quale sia bianca. / Distico del decimo / quadro. / Excipit emersum pelago pheacea tellus / inde Itacham vehitur donis opulentus et auro. // [c. 19r] Nel . XI. quadro. / Minerva risveglia Ulisse, lo trasforma in un vecchio / mendico, toccandolo con una verga, nasconde poi / i tesori d’Ulisse in una spelonca. / Incognito trova Eumeo pastor suo, le ragiona / de le cose passate con i drudi, vi arriva / Telemacho, l’abbraccia come suo padre. / Avvertimento. / Minerva si pinga al modo usato. / I tesori siano vasi d’oro, ingemmati et cose / simili. Eumeo habbia aliquanti porci che / li custodisca. / Distico del XI / quadro. / Mendicum atque senem simulatus Palladis arte / convenit Eumeum, et nato se denique prodit. // [c. 19v] Nel XII. quadro. / Ulisse condotto da Eumeo pastor entra / col figlio al convito de drudi incognito. / Ctesippo un de rivalli gli getta un osso / ma non l’accoglie. Penelope porta un arco / il qual hauto e il figlio et altri si danno à la stragge / riversciano le tavole et uccidono li huomini / et donne loro, di poi si da a conoscere à Penelope / et al padre. / Avvertimenti. / Ulisse mendico entrante nel / convito. / Anteibat natus sequitur postremus Ulysses, / quem lacera tunica contectus membra subulcus / ducebat ((triste)) similem curvoque senecta / nitentem baculo et mendici corpus habebat / ac miseras vestres, nec quisquam noverat ipsus // [c. 20r] dum subito apparet, nec qui maioiribus annis / florebant tales poterant cognoscere vultus. / Ulisse amazza / i proci. / Mox fudit celeres pharetia resonante sagittas / acer acerba tuens percussit pectora regis / Antinoi, inquam alios stridentia specula misit. / Distico del XII / quadro. / Cęde procos disperdit ovans famulosque rebelles / coniugis et castę optatis amplexibus hęret. // [c. 20v] Nel XIII. Quadro. / Minerva conuscando li Itaconse già offesi / da Ulisse per l’occisione loro et de suoi / parenti et con Ulisse fa far la pace / insieme ponendovi eterna quiete. / Avvertimento. / Comparisca Minerva con gran venusta, si veda / Giove dal sommo cielo mandar un fulmine / che cadde ne piedi di Minerva con il suo / solito splendore. / Secondo45 atto. / Si ritira in una selva per fugir l’influsso / del figlio, ma Telegono nato di Circe per / fatal destino fatto vago di veder il padre / và là, dove si ritrovava, et incognito da suoi / volo fare violenza loro. Il padre sentendo / il romore con la spada si gli fa incontro / e Telegono lo ferisce col raggio del // [c. 21r] pesce detto pastinaca marina. / Avvertimento. / La morte da Tiresia indovino predetta à / Ulisse quando ando à l’inferno così da Homero; / allhor ch’incontrò un altro peregrino / vedrai venirti col mortifer telo / ti sovenga che deificando in terra / il ben pulito saldo e forte remo / far sacrificio al gran rege Nettuno / più à basso. / A te stesso da poi l’estremo fato / verrà dal mar per morte assai benigna / ch’à te per molta età già vecchio e stanco / come a maturo pomo l’alma sciorre / dei da le membra; e d’ogni intorno cinto / sarai da gente beate e felici. Luciano nel secondo46 [libro] De le historie vere scrive che // [c. 21v] da i campi Elisi Ulisse scrisse una littera a in / Ogigia a Calipso ninfa che tanto l’amava, / ma in un altro loco nella sua Tragopodagra / scrive che fusse la podagra la morte sua / «Ulyssem ait per tragopodagram ego non spina necavit / trigonos» / Et Atheneo parlando de la morte d’Ulisse / così disse in Dipnosophistis47. / «Antinous sic Ulyssem affatus / vinum te ledit mellitum cum ab eius / potu non abstinuisset poculus ad hic manu / tenens sauciatus interiit». // [c. 22r] Passata la sala dove è dipinta / l’Odissea andando verso la / Cappelletta si entra in48 una stanza dove sono varii / emblemi dipinti. / Il primo lo faremmo uscendo de la Capel/letta à man sinistra che è questo / emblema primum: Puer supra caput mortui iacens. Il motto suo è: / vive memor lethi / iuxta illud memorare novissima tua etcetera, / a dextris euisdem emblematis, Galbula avis, a sinistris Merops seu dardano. / Emblema seconda49. Fatus super mundum sendens. / Reliquorum vicissi[tu]do, / à dextris Pica caudata, / à sinistris Gallina pernia seu uropigio // [c. 22v] Emblema tercium50: Grus pede lapidem retinens. / Cura sapientia crescit. / Emblema quartum51. Senex cum baculo. / Metrum sui optimum, / à dextris, Gallus turcicus, / à sinistris Phasianus mas. / Emblema quintum52. Serpens pyramidi involutus. / Non aliter . 1. quam prudentia itur ad cęlum per ardua, / a dextris noctua, / a sinistris psittaci species. / Emblema sextum53. Caprimulgus capram mulgens postea excaecavit. / Exitialis consuetudo. / Emblema septimum54: Pulli sub alis gallinę. / Sub umbra alarum tuarum, / a dextris Brittanis55 colore miniaceo, // [c. 23r] a sinistris bubo. / Emblema octavum56. Camelus. / Dii prohibete nefas. / Emblema nonum57. Homo spinam de pede leonis trahens. / Beneficii memor, / a dextris columba aenos, / a sinistris ((numeni)) species seu ((Priviero)) vulgo. / Emblema decimum58. Vipera et helleborus. / Idem salutis et exitii fons, / a dextris aquila vulturina, / a sinistris anas platirrinchos59. / Emblema undecimum60. Alciones nidulantes in mare. / Certa quies. / Emblema duodecimum61. Manucodiata avis. / Sic animus alta petat, // [c. 23v] à dextris Anatis sylvestris species, / a sinistris Aquila marina. / Emblema XIII. Cinocephalus lunam adorans. / Et sanctum sydus adorat, / a dextris Pyrocora Plinii, / a sinistris monedula62 cinerea. / Thalamus secundus63, prope thalamum / capellę. / Emblema primum. Supra fenestram Galaxia. / Hac iter est superis, / a dextris canis bipes, / a sinistris simia. / Emblema secundum64. Canis melitensis. / Semper idem. // [c. 24r] Emblema tertium65. Sphęra cęlestis cum sole. / Semper idem sub eodem, / a dextris sus indicus hispidus, / a sinistris sciurus ((polonias)) volans. / Emblema quartum66. Leo timens gallum. / Cedite fatis, / a dextris cuniculus, / a sinistris rana. / Emblema quintum67. Unicornis ponens in aqua cornu. / Victrix casta fides. / Embelma sextum68. Crysanthemon Peruanus. / Illustriora sequor, / a dextris ficedula, / a sinistris loxia. / Emblema VII. Scopulus marinis fluctibus et / ventis agitatus. // [c. 24v] Quo magis eo minus, / a dextris monstrum ((…)), / a sinistris cammarus rubens. / Emblema octavum69. Asinus sarcinam portans. / Labor omnia vincit. / Emblema nonum70. Homo se ipsum inspeculans. / Nosce te ipsum; / a dextris harpia, / a sinistris avis71 chimerica. / Emblema decimum72. Corvus in vase saxa fundens. / Ingenium intendens valet, / a dextris ozena piscis, / a sinistris laurus floride. / Emblema undecimum73. Elephas. / Odit amans nimium. // [c. 25r] Emblema duodecimum74. Olea a vite complexa. / Concordia nutrit amorem, / a dextris bubalus africanus, / a sinistris catus silvestris. / Thalamus tertius, prope / cellam vinariam. / Emblema primum. Supra fenestram Sisiphus, / lapidem portans: / interminabilis hominis labor, / a dextris canis borbonus niger et albus, / a sinistris vulpis. / Emblema secundum75. Pinea nux. / Virtus operosa sed fructuosa. // [c. 25v] Emblema tertium76. Istrix. / Prope et procul, / a dextris lepus, / a sinistris canis borbonus niger. / Emblema quartum77. Echinus terrestris. / Doli iusta ultio, / a dextris lynx africana / a sinistris lynx germanica. / Emblema V. Vitulus marinus. / Infortunio maximo tutus. / Emblema VI. Currus per orbitam. / Hac insistendum via, / a dextris cuniculus niger, / a sinistris cuniculus cinereus. / Emblema septimum78. Nautilus. // [c. 26r] Sospes sursum atquae deorsum, / a dextris canis barbonus niger et albus, / a sinistris testudo terrestris. / Emblema octavum79. Cancer et papilio. / Festina Lente. / Emblema nonum80. Struthio ((cameli)). / Varia ab aliis vi pollemus, / a dextris mus domesticus, / a sinistris cattus domesticus. / Emblema decimum81. Ursus favum petens. / Sic violentia, / a dextris cephus cercopithecus, / a sinistris simia. / Emblema undecimum82. Pica glandaria. / Garrulitas evitanda. // [c. 26v] Emblema duodecimum83. Laurus cum fulmine. / Fidissima custos, / a dextris capreolus, / a sinistris cervus. / Ad sacellum / pertinentia. / Ancona altaris a domino Camillo Percac/cino picta dicata Sancti Protho et Iacintho martyrubus; quibus adiecti sunt Sancti Dominicus, Franciscus et Eugenia martyres / Virgine Maria ad celos acendente. // [c. 27r] Supra ostium sacelli / Memor sit Dominus scrificii tui / et holocaustum tuum pingue fiat. (Psal. XIX). / Super ostium sacristię / extra. / Sacerdotes [quoque] qui accedunt ad Dominus sancti/ficentur ne percutiat eos. (Exod. XIX) / Supra ostium sacristię / intra. / Mundamini qui fertis vasa Domini. / (Esias, 52) / Super lavacrum sacristię. / Lavabo inter innocentes manus meas. (Psalm 25) // [c. 27v] Sacelli dicationis memoria. / Deo optimo maximo. / Sanctis Protho et Hyacintho martiribus, / beatę Eugenię viriginis eununchis / (qui Romę in via Salaria Veteri / III idus semptembris sub Galieno imperatore cum / diis immolare nollent diu verberati ac tandem constanter84 decollati fuerunt) / Ulysses Aldrovandus philosophus ac medicus / eodem die natu sexagesimotertio85 aetatis sue anno / devotionis ergo hoc sacellum erigi / et dicari curavit. / Anno salutis M.D.LXXXV. // [c. 28r] Supra cellam penuariam / centrale de multis grandis aceruus erit. // [c. 29r] Delle imprese. / Essendo l’impresa un ritrovamento, fatto per manifestare / virtuose, et magnanime intentioni del animo nobile; / non è da dubitare quanto ella sia cosa ben honorata, / et lodevole; perciò che se la virtù desta l’uomo à / l’acquisto della felicità, chi non sa che l’operare / a questo fine è cosa molto lodevole et mostrarne / anco qualche segno è cosa degna et honesta, che ciò / si fa per l’imprese. / Per invitar dunque Voi signori che legete et udite à / dimostrare le vostre honorate intentioni per facilitar / questa via che è quasi un laberinto, farò quivi / alchune brevi, leggi, ma però necessarie a comporla. / L’impresa (parlando metaforicamente) è un composto / d’anima e di corpo; cioè di figure e di motto realmente / a dichiarare un suo proprio lodevole desiderio o intentione, / et acciò sia ben regolata deve havere seco queste conditioni. / Prima si elegga quella figura che ai suoi pensieri simplicemente / è più conforme. Seconda86 che sia giusta proportione fra l’anima e l’corpo. // [c. 29v] fuggasi i mostri, le chimere le favole nelle / figure, quantunque alcuni l’habbino usato. / Non è laudabile porre molte figure in una / impresa, se non sono destinate ad uno istesso fine / che l’impresa non sia tanto chiara, ch’ogni plebe / l’intenda, ne tanto oscura che habbia bisogno / della sibilla ò degli haruspici, però alcuni / dicono che l’oscurità conviene propriamente a l’impresa. / Non deve haver figura humana per corpo eccetto / se non fusse fra dei finti, come una Pallade / una Iride, una Luna ò simili, ma è meglio far / di meno di usarle. / Che sopra tutto habbia bella vista la quale si fa / riuscire molto allegra usando le cose naturali / come piante, animali, elementi, stelle et altre cose / celesti. / Il motto che ricchiede vol essere communemente d’una / lingua diversa dal’idioma di colui che fa l’impresa // [c. 30r] perché sia il senso coperto. / Il motto sia confacevole con l’intentione et habbia / honorato sentimento. / Che al motto si applichi la qualità della figura, che / sia ò naturale, ò artificiale, ò accidentale. / Il motto non vole esser più di tre ò quatro parole / eccetto se non fusse un verso intiero, che deve esser / anco di buono autore. / Il motto no vole esser proverbio, né sentenza, né / manco metafora, perché nell’uno ne l’altri s’appli/cano à particolari inditii et intenzioni essendo uni/versali et havendo senso commune come questa: / l’huomo è misura di tutte le cose. Metafora è questa: / è già de la dal rio passato il merlo. Proverbio è: / ogni torto è contrario al dritto, così si dice anco de latini / che nella regolata impresa saranno fugiti. / Queste saranno le leggi sotto le quali si comporrà / l’impresa, le quali la fanno differente da l’em/blemma poesia tanto vaga et usata da huomini / così chiari come dal dottissimo Alciato, dal ((Ricusnero)) // [c. 30v] dal Paradiso, da Gabriel Simeone et da altri / et perciò noi vedendo quanto sieno vistose, n’abbia/mo voluto inserire fra le imprese, essendo nella / varietà, la bellezza delle cose, così à proposito / diremo qual che cosa sopra l’emblema. / Emblema è voce greca, che si può chiamare ((in più)) / in nostra lingua inserto, overo con più proprio voca/bulo italiano87 tarsia, ma inserto significa da la voce greca, / essendo questa voce equivoca potendosi nominare / sotto a questo nome le tarsie, l’opere a la gemina, i / ((gelostiati)), l’opere di musaico, le miniature, / i stuccheggiamenti et altri simili compositioni di / diverse sustanze o colori o di figure si possono / chiamare emblemmi, onde lo emblemma deve havere / figure vistose et molti sententiosi e nell’emblemma / può entrare varietà di figure et ancho humane, / anzi popoli et esserciti, come ha usato il ((Reusnore)) / et gli altri che hanno facto emblemma però noi anco / per più vaghezza ve n’habbiamo inserite. // [c. 31r] Emblema primo. Un fanciullo che giace supra una / testa di morto. / Questo è emblemma christiano che da la figura et / dal motto si manifesta cioè vive memor lethi / conforme à quello cantato da Sancta Chiesa memorare / novissima tua et in eternum non peccabis à studio / posto e dipinto presso la capelletta, vera stanza / del christiano militante perché concorre à la edification nostra. / Emblema secondo88. Il fanciulo nudo che siede sopra il mondo con un libro / aperto, e con la cornucopia et sopravi la fiamma / di fuoco significa il fato, et questo non è molto / differente dal primo; imperò che nell’uno e nell’altro, / acenna l’autore, come le cose di questo mondo non / hanno da esser il nostro scopo, ne in quelle habbiammo / da fissar l’animo, ma questa figura mira più alto / che la superiore, avvenga che quello dice ricordati / della morte et questo acenna riccordati dell’eterna vita, / significata dal libro aperto che s’intende per l’eternità / et il corno per la copia di bene che la su si godono, // [c. 31v] essendo tutte l’altre cose transitorie, che dal motto: / reliquorum vicissitudo si dicchiara. / Impresa89 terza90. La gru che sostiene la pietra col piede. / Sono alcune virtù che non s’acquistano contemplando, ma / con l’operatione et esperienze solamente s’apprendono / et si coltivano, come in questa terza91 impresa con la Pru/denza della grue, è accennato, la quale non altrimenti che / per le prove, per i pericoli et la cognition delle cose / presente et memoria de le passate si piglia quel habito / virtuoso della Prudenza col quale si prevede le / cose che possono passare in giovamento o in nocuranza / à se stesso et quelle con la istessa virtù ò si scaccian / overo s’appigliano di modo che questo non si può se non / con l’habituato cognoscimento essequire, il che viene / dal motto tocco: cura sapientia crescit che sicome / la grue presaga del male che gli può incorrere // [c. 32r] et fatta maestra del modo, con che può schifare il / pericolo della vita, con quei mezzi, che ella sa, attende / che l’attion sua sia secura col porsi à sostenere una / pietra nel piede. Volse imitare questo sagace / ucello il sapientissimo Aristotele, il qual per non darsi / troppo in preda al sonno appresso il letto poneva / un bacillo poi si teneva in mano una palla di ferro / over pietra, la qual vinto dal sonno gli cadeva di / mano et lo svegliava. / Quarto92 emblema. Il vecchio camina col bastone. / Quanto sia virtuoso il misurare le forze sue, et pro/portionarle colle voluntà et appetiti lo mostra questo / emblema93 col motto: metrum sui optimum, / perché il compiacere ài desiderii è cosa tanto desi/derata et questi deisiderii non possono alle volte esser / effettuati ò per rispetto della impossibiltà propria / o per rispetto che sono vitiosi però questa misura / di se stesso (dico di se stesso in un che vive secondo / il lume di ragione) è cosa molto rara e proetiosa. // [c. 32v] Quinta94 impresa. Un serpente involto à la piramide per ascendervi95. / La niuna attione può esser perfetta senza la / prudenza, ben è ragione che l’huomo non possa / arivare al nobile et vero fino anzi all’istessa beata / patria, senza quella onde propriamente conferisce à / questa impresa del serpente figurato per la prudenza / aviticchiato intorno la piramide che significa le cose / ardue e difficili per la difficil salita d’essa col motto: / non aliter inferendo, che chi non con retta ragione / regala le attioni col vero et buon fine, non può / conseguire quella felicità che tanto da l’huomo è / desiderata. / Sesta96 impresa. Il caprimulgo ucello / succhia il latte della capra et poi / l’acceca. / Quanto sia pessimo amico anzi più tosto nemico / l’adulatore, da questa impresa si connoscerà. / Il finto et falso amico con le parole et alettante, / esteriori sempre studia impaniare la gratia del / amico solo per tirarlo a suoi disegni, et conseguito / da // [c. 33r] lui quel che desiderava lo lascia misero et accecato / nell’ambitione delle proprie lodi che gli tolgono il lume / della mente et però il sapiente Plutarco disse / che tra le fiere domestiche, la peggiore era l’adu/latore perché ancora tanto è peggiore quel male quanto / s’ha continuamente ne i fianchi e però evvi bene / appropriato il motto: exitialis consuetudo. / Settima97 impresa. Li pullicini sotto l’ali / della gallena. / Nella medaglie antiche de Romani et anco negli loro / trofei, in molti et varii modi era figurata la sicurtà, / ma noi quivi à più verisimile proposito pigliaremo / questa impresa per quella tutella di Dio et di / Santa Chiesa sotto la quale noi Christiani si/curi dal rapace milvo del demonio riposiamo / con firmissima voce et core dicendo il motto stesso: / sub umbra alarum tuarum. // [pc. 33v] Emblema octavum98. Il camelo. / Aristotele nel capitolo 4-7 del nono99 [libro] de l’Historia degli animali, / recita che il camelo mai non poteria d’usar con / la madre, l’istesso dice d’un re di ((Scithia)) che / haveva una bellissima cavalla che haveva gen/rato molti generosi polledri et volendo questo re di / quella farne razza col migliore polledro, admesso / a questo il cavallo non volse ascendere, onde fatto / coprire il re la cavalla et riccondotto il polledro / la scoperse et connosciutola si pose in fuga. / Questo vol significare come dispiaciono anco à agli / animali brutti le cose indecenti col motto: / Dii prohibet nefas. / Emblema nonum100. L’huomo che trahe dal / piede la spina al leone. / Se bene la gratitudine è una attione che si fa in / persona che habbia bisogno d’esser sovvenuta / senza aspettar premio alcuno nondimeno molte101 / non passa questa senza recconnoscimento // [c. 34r] et quando bene la persona che riceve beneficio sappia / che è prprio del benefattore non mirar al premio, / ((nondimeno)) non essendo riccordevole lei de la gratia / s’acquista nome d’ingrato, nota tanto odiosa e brutta / che gli animali brutti istessi se ne guardano come / hora in questa figura del leone si vede che havendogli / un huomo levato una spina dal piede, posto poi / l’istesso in un serraglio per esser sbranato da leoni, / questo non solo volse nocerli, ma lo difese da l’ira / degli altri col motto: beneficij memor. / Emblema decimo. La vipera et l’elleboro. / Che da un soggetto nascano dieci effetti contrari si / vede in questa figura del helleboro et della vipera / perché l’helleboro purga e sana l’humore melan/colico et per il contrario pigliato da chi è sano / indice la pazzia, così la vipera che è animale / molto venenoso ((nondimeno)) entra nella theriaca come / basi et fundamento di quella contro i veneni / onde il motto s’accommoda bene à la figura: // [c. 34v] idem salutis et exitii fons, ben imitato / ((dalla rima di)) Petrarcha in quel verso: / «Una man sola mi risana e punge». / Impresa undecima. L’alcioni ucelli / che fanno i nidi à la marina. / Cavano li naviganti da la vista de gli alcioni / nidificanti in mare la certezza de la bonazza / et sicurtà del navigare di maniera che mai non / falla l’inditio, sicome anco fanno lungo il / Danubio l’agricoltori nel seminare le biade, / questi osservano i nidi del castore, che vivendo / parte di lui in terra et parte in acqua, si102 pone / à edificare il suo nido dove habbianno ad arivare / l’acque del fiume, ma non di soverchio avanzarlo, / et da questo cogliono in quai campi si possa semi/nare con pericolo dell’acque e in quai no. / Delli ucelli disse l’Ariosto: / «si vider l’alcioni à la marina / de l’antico infortunio lamentarsi» conforme è la / sua intentione col motto: certa quies, // [c.35r] vuole per questa dimostrare l’autore il desiderio che ha / di pervenire à quella sicura quiete et riposo che certamente sa trovarsi nell’altra vita ritrovando / falace tutti li inditii et speranze di quiete che sono / in questa. / Impresa dodicesima103. Manucodiata. / L’ucello del paradiso che manucodiata da i Mo/lucensi è chiamato, che vien detto in nostra lingua / ucello di Dio col suo sempre volar in alto, ne / mai lasciarsi veder in terra se non morto (come dicono) / vuole l’autore che s’insegna104 come con l’ani/mo et desiderio nostro s’altiamo à quell’oggetto che / è il vero pasto dell’animo humano cioè le cose / alti et celesti et che in quelle talmente si / compiaciamo che mai di calar à le cose terreni / ci venghca voglia et se converrà cadervi, caddavvi / il corpo solo et per meglio chiarire il sesiderio suo, / l’ho accompagnato col motto: / sic animus alta petat. // [c. 35v] Emblema tredicesimo105. Il babuino che / mira la luna. / Dal cinocefalo over babuino che dicono quando / appare la luna levarsi in modo di adorarla / ha voluto cavare l’autore la similitudine d’una / sua honesta intentione ch’è la religione. / È posta questa figura appresso la capella à man / destra uscendo di quella come appropriata al / vicino loco, col motto preso106 da Virgilio: / affaturque deos et sanctum sydu adorat. // [c. 36r] Nella stanza seconda appresso / la camera della capella, / sotto la fenestra. / Impresa prima. Galaxia. / Quella biancheggiante via che nel sereno de la notte / si vede in cielo chiamata galaxia .1. via de latte, / dai poeti (per lasciar andar la sua natural historia) / è ((finta)) la via per dove i dei vanno in cielo. / È parso questa à l’autore ((canto)) à ((proposito)) à la somiglianza d’un suo pensiero, che in morale et / virtuosa translatione l’ha ridotta, non partendosi / da la opinione ò fiorire de poeti. Questa via bianca / hora qui vien figurata per la vastità et purità di / cuore, ((virtù)), canto nobile et meritevole che à queste Iddio gli ha permesso il cielo dicendo «Beati mundo / corde quoniam ipsi deum videbunt» per questa candida / et pura strada caminando si ariva al supremo Dio, / ben appropriato il motto colto da Ovidio: / Hac iter est superis. / Questa istessa fu fatta dalla santa memoria del cardinale Borromeo / mentr’era giovanetto et miracolosamente l’ha osservata. // [c. 36v] Impresa seconda107 Un cagnolino. / Il cane è fatto tanto ordinario simbolo della / fedeltà che non occorrerà altra108 / esplicatione à la figura ponendovi poi il motto: / semper idem, si dimostra una perpetua voluntà / d’esser fedele. / Impresa terza109. Una sfera con un sole. / Il sole che ne i segni del zodiaco per l’ecliptica / gira, vol significare che quella servitù sotto / la quale s’è posto, vole che sia perpetua, et tanto / maggiormente quanto che per mostrarlo s’è pigliato / per impresa il sole che sempre per quel segno / senza punto deviare perpetuamente camina. / Acciò che signiifchi quell’animo essere non altrimenti / che destinato à continuare la servitù in che / già s’è posto, col motto: semper idem sub eodem. // [c. 37r] Emblema quartum110. Un leone che mirando un gallo / se impaurisce. / Se bene il leone re degli animali terrestri è / ferocissimo et ardito tanto che affronta e viene / qual si voglia terribil fera non di meno à la vista / et al canto del gallo si inhorridisce. Ne paia / questo meraviglia perciò che la providenza divi/na ha così constituite le cose che à tutte ha / dato qualche virtù ma ad alcune ha conferito / tal proprietà che al nostro intelletto è impe/netrabile che si chiama proprietà occulta go/vernandole con la sua providenza con la necessi/tà che impone à le cose naturali acciò stiino sempre / in quel suo specifico stato che da gli antichi fu / chiamato fato. Sicome si vede in questo imbelle / animale con la sua vista solo impone tanto ter/rore à un leone onde sapientemente è avvertito / col motto: cedite fatis. // [c. 37v] Impresa quinta111. L’alicorno112 che immerge il corno / nell’acqua del fiume. / L’unicorno è da molti scrittori descritto per animale / che non si113 vol lasciar pigliar ad alcuno et / da una virginella si lascia far prigione tanto è ama/tore della viriginità, perciò è accompagnata questa / impresa dal motto: victrix casta fides. Dicono / ancora che questo animale ha tal proprietà contro / i veneni che non berria né à fiume, né à fonte alcuna / che pria non havesse ivi attuffato il suo corno / per esser anco lui sicura da veneni. / Impresa sesta114. Chrysanthemeno peruianum. / La pianta massima, ò vogliamo dire herba del / sole, che ha tal proprietà che dovunque si volge / il sole et essa si volge col fiore quasi che lo / segua, è impresa appropriata à chi ha l’animo / intento à gli alti studi et nobili imprese perciò / è piaciuto accennare questa intentione col motto: / illustroria sequor. // [c. 38r] Impresa settima115. Un scoglio combattuto da l’onde / e da venti. / À la fermezza del dipinto scoglio combattuto da venti / e percosso da l’onde è appropriata la fortezza del animo / che tanto è maggior virtù quanto è da maggiore / pericoli assediata et atorniata perché dice Aristotele / che molto ha di fortezza colui che più ardito e cons/tante ributta, nè teme le cose per se stesse horri/bili et vole esser veramente conforme al motto / che vi è posto: quo magis eo minus. / Emblema ottavo116. L’asino che porta la somma. / L’asinello che porta la somma è inditio della / patienza et bene accommodato à questo animale / che è patientissimo de la fatica col motto à lui / bene appropriato: labor omnia vincit. // [c. 38v] Emblema. L’huomo che si mira nel specchio / Era su la porta del tempio d’Apollo scritto / questo detto: nosce te impsum, il che volendo porre in emble/ma più conveniente figura non si poteva porgere / che uno che mira se stesso nel specchio, poco differen/te è l’attione della figura et dell’intentione in / quanto à lo esteriore, ma il mirar la faccia propria / è agevolissimo, e’l connoscere se stesso nell’inter/iore fu sempre reputato difficile. / Impresa decima117. Il corvo che getta pietre nel / vaso. / Per il corvo il quale non potendo giunger col rostro / al bere del vaso per esser troppo al profondo / et empirlo di pietre dentro acciò che più ripieno / necessariamente saglia à la sommità, si può asso/migliare à la solertia, la qual è una operatione / del intelletto possibile o voglian dire ((di anima)) che / quasi senza discorrere immediatamente trova la / via e’l mezzo idoneo, et tanto più questa / corvo si può assomigliarvi quanto che questo // [c. 39r] et tutti gli animali brutti non hanno l’anima ragio/nevole da poter discorrere, ma quasi immediatamente / pigliano il provedimento che si vede in alcuni / animali quasi che mostrano haver l’uso della / ragione onde è piacciuto accompagnarvi il motto: / ingenium intendens valet. / Emblema undecimum118. L’elefante. / L’elefante animal nobilissimo in questo emblemma / figurato viene a significare che errano molto quelli / che amano troppo i loro figliuoli e benché nell’amare / par che non si possa arrivare à un eccesso, che vitio/so e dannoso sia, massime ne i figli. Tuttavia habbiamo / li infiniti essempi nell’historie et ne vediamo molte / esperienze continuamente che un padre sarà tanto / perso nell’amore del figlio ò figliuoli che non sapprà / conoscere in lui i diffetti suoi, anzi in tale / amore accecato ogni cosa gli condonerà, lo / compiacerà, ancora nelle cose puerili l’imitarà, // [c. 39v] perché non si connosce i difetti di chi troppo s’ama, / non connoscendoli non li può, né sa corregere / et questi non corretti fanno l’habito perverso / che l’inducono à la roina sua et di questo / n’è cagione principalissima il padre (essendo / lui stesso obligato ad ammaestrarli) et tanto / n’è cagione quanto se lo pigliasse et lo preci/pitasse da una roina. / Come quivi vien tolto lo elefante, che / (tale è la sua natura) vedendosi i figliuoli / suoi da cacciatori circondati per non lasciarli / pigliare, se l’accoglie in seno et vanno / insieme à precipitarsi giù da un balzo, per / troppo amore che gli ha gl’uccide / et à questo allude il motto postovi sopra: / odit amans nimium. // [c. 40r] Emblema duodecimo. La oliva colla vite. / L’arbore del olivo che si caramente sostiene il / peso della serpeggiante vite, che l’uno e l’altro / senza danno altrui producono i frutti à loro / destinati, è emblemma che mostra la concordia / con la quale non solo le cose naturali si nutriscono / et augumentano, ma le famiglie, le cittadi / et i regni si mantegono per quella. / Et si come nel mare un gran pietra intiera / sta à galla à la sommità del’onde et spez/zata in pezzi cadde nel fondo, così dove è / la concordia le cose unite succedono felicemente / ma dove rompe la discordia ogni cosa / precipita però ben fu detto: / lis odium generat, concordia nutrit amorem / che è il nostro motto. // [c. 40v] Nella stanza terza, verso / il serraglio. / Emblema primo. / Quanto sia inquieta la vita del huomo in questa / vita, non più propria figura la poteva mostrare / che Sisifo che porta il sasso continuamente sul / monte il qual portato subito giù sdrucciola, / perché l’habbia di novo à ripigliare; / saria molto da dire intorno à questa nostra / infelice et faticosa vita presente, ma / perché ogn’uno per se119 stesso lo prova, tacerò /sicuro che sarà confessato meco esser vero il / motto: interminabilis hominis labor. / Emblemma secundum120. La pigna. / Da molti è stata espressa la natura della / virtù che tale è che sia ben difficile da / acquistare et da apprendere, ma acquistata / et gioconda et utile et fruttuosa, sicome / a proposito tale è posta la pigna, che avanti // [c. 41r] s’arivi al frutto soave et saporito suo, bisogna / romper molte durezze che lo includono essendo / ancora la virtù come un’arbore, la cui cor/teccia è amara ma li frutti sono d’olei, / così il motto à questa figura de la pigna pare / assai bene applicato: / virtus operosa sed fructuosa. / Emblema tertium121. L’istrice. / L’istrice overo porecelleto spinoso è presto quivi per / dimostrare che dobbiamo fugire l’ire de grandi / e maggiori nostri figurando la potenza de principi / che si estende et ariva dove vole da questo ani/male il qual ferisce con le sue spine chi da / vicino s’appressa, et ancora le lancia da lontano / a chi vole; conferendoli il motto: / prope et procul. // [c. 41v] Emblema quartum122. L’echino terrestre con la / vipera. / Questa è la vipera che trovando il ruzzo l’assale / per volerlo mangiare, ma l’animale volendo / salvarsi da la morte et farne vendetta / s’ei può la lascia avviticchiare atorno à le / spine, poi quando si vede commodo, il tratto si / restringe tutto in se et stringe et trafigge / ancora la vipera con le spine che voleva / uccider prima lui, che con lode si puo atribuire / a coloro quali cogliono il nemico su le strata/geme et insidie, et ne fanno vendetta, che non solo è cosa giusta, ma ancor degna d’honore, / col motto che è in guisa di sentenza: / doli iusta ultio. // [c. 42r] Impresa quinta123. Il vitel marino. / È commune opinione che la focha habbia tal pro/prietà che chi della sua pelle ne fa cingolo, et / lo porta a dosso, ò cinto non ha la forza in lui il / fulmine celeste, la qual cosa ò vera ò favolosa / che sia e però posta in questo emblema con quella / intentione che sia gran percossa et inevitabil / quella del cielo et che vi124 sia gran cosa poterla /schifare dal motto vien insinuato: / infortunio maximo tutus. / Emblema sextum125. Il carro per la carreggiata. / Il carro che è guidato per il suo sentiero ordinario / è emblemma che ha similitudine della virtù / poiché secondo che la virtù è una regula overo / una giustitia come alcuni filosofi hanno detto / sendo Plutarcho retta dalla parte et potenza / ragionevole dell’anima à eligere et operare / il buono e l’honesto et alienarsi dal male et vi/tuberabile, così si può appropriare à questo carro // [c. 42v] che stando sulla via retta del mezzo et seguitata / da chi è giunto su questa al laudabile et / desiato fine non può se non operare bene / et sicome il carro velendo seguire questo sentiero / è necessario moversi, così chi vol acquistar / virtù morale bisogna operare, poiché nessuno / nasce con morale virtù, ma bisogna che se / l’acquista come la Prudenza, la Mansue/tudine, la Fortezza, Temperanza, Continenza / Iustitia, Liberalità et Magnanimità / il motto: hac insistendum via. / Emblema septimum126. Nautilus. / Il nautilo è specie di conchiglio al quale la / natura come al polypo ha date otto branche / over piedi con soi127 quali và remigando sulla super/ficie de l’acqua, n’ha poi ancor aggiunte due / continuate da una assai largha et sottil men/brana con la quale si sostiene dal impeto de // [c. 43r] venti quando nuota sopra l’acqua, che è à guisa / d’una vela et credesi certo che da questo animale / si sia imparata la via e l’arte del navigare. / Tale è la sua natura che essendo il mare in / calma si compiace lasciarsi vedere alla super/ficie de l’acqua e va remigando e facendo vela / quando poi si turba l’onda s’attuffa nel / fondo et ancor la vive sicuro, però vi è / posto il motto che l’esplica: / sospes sursum atque deorsum. / Impresa ottava128. Il cancro e’l papilione. / Pare la sopra detta intentione a molti grata / et da molti accetata per impresa ( che così hora la chiamarò) di saviezza; che si potria porre così: / io dimostro per129 il papilione animale che vola / la parte de l’anima concupiscibile130 et irascibile / che sono da se volubili et procacci per il / granchio l’anima ragionevole la quale resistendo // [ c. 43v] a gli precipitosi affetti del senso gli va moderando / ne però in tuta la lega ma le relassa et conduce / con la sua misura et questa si può chiamare / in un huomo sarvezza la qual ha per inventione / questo motto: festina lente. / Questa intentione fu prima fatta da Pompeo / Magno, un delfino involto interno un’anchora / col motto: propera tarde. / Emblema nonum131. Struthii132 che guardano / l’uova. / Alcuni scrivono che lo struzzo non cova / le sue uova giacendovi sopra et riscaldandole / à quella guisa che fanno gli altri uccelli / ma guardandole fisse, tale è la virtù de / (riaggi) efficacissimi degli occhi suoi, che / quando fusse vero, il che non credo, molto / ancora à proposito et vera saria133 // [c. 44r] la significatione del motto et verria a dinotare / un animo d’uno che fosse in qualche virtù solo / et singolare, overo ritrovatore di qualche degna / inventione non stando poi verisimile è però / ingegnosa et ben regolata intentione, / essendo fatta da quel peregrino ingegno del / Giovio nelle sue imprese (seben mi riccordo) / militari col motto dicendo: / diversa ab aliis vi pollemus. / Emblema decimum134. Ursus favum avellere tentans. / L’orso che volendo spaccare il favo del / miele dal ramo della querza et guastare / il sciame et rompere il ramo per man/giarlo et restarvi poi con un zampa / preso tra le scheggie può dimostrare / colui che si studia far nocumento altrui / et violenza senza ragione che spesse / volte nuoce à se stesso et però al // [c. 44v] al corpo della impresa conviene il motto: / sic violenta. / Emblema undecimum135. La pica. / Quanto sia abominevol vitio la loquacità / Plutarcho dottamente et con belissime demostrioni, / ragioni et essempi lo mostra in un libro / intitolato proprio De Garrulitate136 e ben con / ragione ad Amasi re d’Egitto che domandava / a Biante filosofo, nel convito la miglior et / la peggior carne137 del animale, esso gli / presentò la lingua, et anco à proposito un / bel ingegno volendo mostrare quanto volesse osservare / silentio et quanto gli piacesse, fece un’impresa / et vi pose un pesce nell’acqua col motto: / neque in Acheloo perché secondo Aristotele nel fiume / Acheloo i pesci hanno voce, lui acennò che / se bene ancora dimorasse in quel fiume / vorria ancora esser (entro porpria natura) tacito, // [c. 45r] onde come vitio insegna il motto che dice: / garrulitas evitanda. / Impresa duodecima. Un lauro sopra una casa. / Il lauro che dal fulmine diffende la casa / è simelitudine dell’amicitia utile la quale / consiste (essendovene molte specie secondo ((Aristotele))) nel / conferire benefici l’uno à l’altro, et haver questo / principal studio di giovar a l’amico così / come in questa impresa avviene che i lauro / riposa i rami sopra la casa vicina et / esso poi fa sicura quella del impeto del / cielo col motto che dice: fidissima custos; / dovendo esser così stabile la voluntà del / amico in beneficiar l’altro come è ferma / et stabile et certissima la proprietà che / questo arbero contro il fulmine. / Deo faccente finem imposui. / Ego Andreas Biancolinus. // [c. 45v] Sopra la porta della sala / Convenit ut homines digni communem fructum / percipiant ex civilis coetus prosperitate. / Per di dentro la sala sopra, / la medesima porta. / Non rus improbos, non urbs bonos efficit / sed similium conversatio et consuetudo. / Sopra l’uscio di rimpetto / in detta sala. / Non te multa seres138 maculet blandusve bimater / qui petis hic mensam praemonuisse velim. / Nella medesima sala sopra / l’uscio verso incontro il camino. / Animorum symphonia et honestæ studium / voluptatis, tanquam coagulum continet convivia. // [c. 46r] Nella camera appresso la cappella139 / sopra l’uscio incontro l’altare. / Veritas coeli civis est et sola fruitur convictu deorum. / Sopra l’uscio incontro la finestra. / Virtutem incolumen odimus, sublatam ex / oculis quaerimus invidi. / Nella camera appresso la cucina. / Sopra l’uscio della camera della capellina / per di dentro. / A nemine amari se cogitet, qui neminem amat. / Di rincontro. / Gratior est pulcro veniens e corpore virtus / Nell’istessa stanza incontro la finestra. / Ne coloribus ornare corpus velis, sed potius animum / moribus synceris. // [c. 46v] Sopra la salvarobba. / Mulierem non in civilibus, sed in domesticis / oportet ingeniosam esse. / Nella camera appresso la sala / verso la corte. / Sopra l’uscio incontro la finestra della / stanza della salva robba. / Non ego illa mihi dotem duco esse, quae dos dicetur / sed pudicitiam et pudorem. / Sopra l’uscio di rimpetto. / Quicunque amore capiuntur, si honestos nascantur amores / nullum eis abest voluptatis genus. / Sopra l’uscio verso la sala. / Virgines in turbam progredi non est honestum. // [c. 47r] Nella loggia sopra l’uscio della scala. / Qui virtutem colit, primo et maxime veritatem / colit, utpote ducem bonorum omnium. / Di rimpetto sopra l’uscio della camera. / Virtutem laudando deum laudabo, a quo / virtus hominibus data est. / Sopra l’uscio dell’altra camera / incontro la sala. / Omnis quidem aer aquilæ penetrabilis, omnis vero / terra viro foti patria. / Sopra la cantina. / Vinum quamvis sapientissimum cantare molliter / ridere et tripudiare impulit, etiam protulit / verba quæ satius tacita fuissent. // [c. 47v] In cucina sopra l’uscio verso la / camera / Nessuno si pensi far quivi dimora / chi con la cucinera non lavara. / Sopra l’uscio del necessario. / Per esser destro fu necessario all’uso humano. // [c. 48r] In effigiem Ulyssis Aldrovandi / Non tua, Aristoteles, hæc est sed Ulyssis imago: / dissimiles vultus, par tamen ingenium. / In effigiem Franciscæ Aldrovandæ, / Ulyssis uxoris. / Ut vultus Francisca tui speciem advena honorat / sic animi dotes mox tibi nostrus amat. / In effigiem Francisci Mediecei, / magni Hetruræ duci. / Magnos magna decere viros Francisce probasti / virtute, effigie, nomine et ingenio. / In effigiem Ferdinandi Medicei, magni / Hetruriæ ducis et Francisci fratris. / Quem Roma ecclesiæ ducem, Florentia quemque / iactat, num magni nomine dignus is est. / In effigiem puellæ hirsutæ, viri sylvestris / ex Europoea filiæ. / Forte videns bardus similem quandoque colonus / effigiem subito simia dixit, ave. // [c. 48v] In effigiem hominis sylvestris, puellæ / iamdictæ patris, toto corpre hirsuti. / Hirsutum faciem atque manus me monstrat imago / at sub veste rigent cætera mebra pilis. //
1 Lina Bolzoni, “Parole e immagini per il ritratto di un nuovo Ulisse: l’‘invenzione’ dell’Aldrovandi per la sua villa di campagna”, in Documentary Culture. Florence and Rome from Grand-Duke Ferdinando I to Pope Alexander VII, a cura di Elizabeth Cropper, Giovanna Perini, Francesco Solinas (Bologna: Nuova Alfa Editoriale, 1992), 319. La villa che si credeva pervenuta a Ulisse Aldrovandi da un’eredità dello zio Marco nel 1554, è in realtà da lui stesso acquistata per investire “in beni stabili e fruttiferi la dote della moglie”, cfr. Mario Fanti, “La villeggiatura di U. Aldrovandi”, Strenna storica bolognese 8 (1958): 20–21, dove viene riportato il testamento (conservato nell’Archivio di Stato di Bologna) dello scienziato del 13 marzo 1595 in cui è registrata la notizia dell’acquisto. Per considerazioni riguardanti una più precisa ubicazione della villa si rimanda sempre a ibid., 31.
2 L’ambiente della residenza di campagna contenente la quadreria di Ulisse Aldrovandi, composta dal un suo ritratto, da quello della moglie Francesca Fontana, dai ritratti di due protettori di Ulisse, Francesco I de’ Medici e di suo fratello Ferdinando I, si completava con due insolite raffigurazioni: quella della “puella hirsuta” e dell’uomo “sylvestris”, il padre della fanciulla; per un’analisi più approfondita di questa parte cfr. Lucia Corrain, “Due scienziati bolognesi tra narrazione e autorappresentazione: Ulisse Aldrovandi e Anna Morandi Manzolini”, in “Scienza e arte a Bologna: forme di autorappresentazione tra Rinascimento e prima età moderna”, a cura di Marco Beretta, Andrea Campana, numero monografico, Schede umanistiche, n.s., 34, no. 1 (2020): 89–121.
3 La piccola cappella viene consacrata nel 1585, cfr. Fanti, “La villeggiatura di U. Aldrovandi”, 31.
4 La prima mano, che ha scritto fino alla c. 47r, è identificata con quella di “Andreas Biancolinus”, come si legge nella citata carta.
5 Fanti, “La villeggiatura di U. Aldrovandi”, 27.
6 Bolzoni, “Parole e immagini”, 318–319.
7 Cfr. ibid., 319, precisa che “con la sua struttura architettonica, i suoi giardini, la sua biblioteca, il suo ricco apparato decorativo, le sue antichità e i suoi animali (anche in quella dell’Aldrovandi c’era un serraglio), la villa costituisce il ritratto ideale del proprietario, si presenta come un microcosmo ricreato a propria immagine e somiglianza”.
8 Cfr. Bolzoni, “Parole e immagini”, 319.
9 Nelle volte di due sale al piano terreno di palazzo Poggi sono raffigurati, nella prima: Nettuno e la nave di Ulisse; Ulisse e la maga Circe, il dono di Eolo, Ulisse acceca Polifemo, Polifemo accecato cerca Ulisse; nella seconda: Ulisse al cospetto di Alcinoo, i compagni di Ulisse prendono gli armenti del Sole, Zeus provoca il naufragio di Ulisse, Ulisse salvato dalla ninfa Leucothea. Pellegrino Tibaldi (1527–1597) nel 1550, è stato chiamato a Bologna dal cardinale Giovanni Poggi. Fra i numerosi testi che riguardano il pittore e architetto cfr.: Giampietro Zanotti, Le pitture di Pellegrino Tibaldi e di Nicolò Abbati esistenti nell’Instituto di Bologna (in Venezia: Presso Giambattista Pasquali, 1755), 5–10, 19–45; Giuliano Briganti, Il Manierismo e Pellegrino Tibaldi (Roma: Cosmopolita, 1945); Vera Fortunati, “I dipinti murali di Palazzo Poggi. Artisti e letterati a Bologna alla metà del Cinquecento”, in L’immaginario di un ecclesiastico. I dipinti murali di Palazzo Poggi, a cura di Vera Fortunati, Vincenzo Musumeci (Bologna: Compositori, 2001), 15–32.
10 Aldrovandi così commenta la finta pazzia: “’l saper simulare à tempo à fino honesto/ et utile a se stesso è virtù”, BUB, Ms. Aldrovandi 99, 4r.
11 BUB, Ms. Aldrovandi 99, c. 7v. Per una più articolata considerazione della parte del manoscritto intorno alla parte riguardante l’Odissea, si rimanda a Corrain, “Due scienziati bolognesi”, 89–121.
12 Cinque quadri presentano un’unica scena (il quinto, l’ottavo, il nono, il dodicesimo e il tredicesimo), quattro casi mostrano due scene (il primo, il terzo, il settimo e l’undicesimo) e tre casi sono composti da tre scene (il secondo, il quarto e il sesto); un unico quadro, il decimo, si compone di quattro scene. Come precisa Bolzoni (“Parole e immagini”, 330), l’elaborazione del progetto ha subito nel corso del tempo variazioni: nel ms. 97, infatti, la dispositio messa a punto da Aldrovandi prevedeva dieci quadri con diciassette scene, per un totale di circa 132 figure; la studiosa precisa che “oltre che con i criteri di nobiltà e esemplarità, la scelta e la disposizione delle scene deve fare i conti con lo spazio. I loci della villa non sono naturalmente dilatabili e ricomponibili a piacere come i loci dei testi che devono accogliere in sé”.
13 Per il fregio bolognese, cfr. Anton W.A. Boschloo, Il fregio dipinto a Bologna da Nicolò dell’Abate ai Carracci (1550–1580) (Bologna: Nuova Alfa Editoriale, 1984).
14 Antonio Urceo Codro, Sermo XIII, in Sermones. Filologia e maschera nel Quattrocento, a cura di Loredana Chines, Andrea Severi (Roma: Carocci, 2013); sul Codro in generale, cfr. Ezio Raimondi, Codro e l’Umanesimo a Bologna (Bologna: Il Mulino, 1987). La bibliografia sull’Odissea è molto vasta, cfr. almeno Fabrizio Paolucci, “I mille volti di Ulisse. Da eroe aristocratico a Imago Christi”, in Ulisse. L’arte e il mito, a cura di Gianfranco Brunelli, Francesco Leone, Fernando Mazzocca, Fabrizio Paolucci, Paola Refice (Cinisello Balsamo: Silvana editoriale, 2020), 21–33 e in generale tutto il catalogo dell’esposizione forlivese.
15 BUB, Ms. Aldrovandi 99, c. 26r.
16 BUB, Ms. Aldrovandi 99, c. 36r.
17 BUB, Ms. Aldrovandi 99, c. 41r.
18 BUB, Ms. Aldrovandi 99, c. 33r.
19 Paolo Giovio, Dialogo dell’imprese militari et amorose… (Lione: Guglielmo Roviglio, 1559), 9. Per quanto riguarda le imprese, la bibliografia è di enorme portata, nell’impossibilità di darne conto in dettaglio cfr. il compendio di Guido Arbizzoni, ‘Un nodo di parole e di cose’. Storia e fortuna delle imprese (Roma: Salerno editrice, 2002) e il saggio di Lina Bolzoni, Mino Gabriele, Immagini simboliche e metamorfosi di idee (Milano: BookTime, 2017); per le imprese gioviane, cfr. Sonia Maffei, “Iucundissimi emblemi di pitture: le imprese del Museo di Paolo Giovio a Como”, in Con parola brieve e con Figura. Emblemi e imprese fra antico e moderno, a cura di Lina Bolzoni, Silvia Volterrani (Pisa: Edizioni della Normale, 2008), 135–183; Ead., “Giovio’s Dialogo delle imprese militari e amorose and the Museum”, in The Italian Emblem. A Collection of Essays, ed. Donato Mansueto and Elena Laura Calogero (Geneva: Librairie Droz S. A., 2007), 33–63.
20 L’impresa “non deve avere figura humana per corpo eccetto / se non fusse fra dei finti, come una Pallade / una Iride, una Luna ò simili / Che sopra tutto habbia bella vista la quale si fa / riuscire molto allegra usando le cose naturali / come piante, animali, elementi, stelle et altre cose / celesti” (BUB, Ms. Aldrovandi 99, c. 29v). L’emblema è “voce greca, che si può chiamare ((in più)) / in nostra lingua inserto, overo con più proprio voca/bulo italiano tarsia […], lo emblemma deve havere / figure vistose et molti sententiosi e nell’emblemma / può entrare varietà di figure et ancho humane” (BUB, Ms. Aldrovandi 99, c. 30v).
21 Qualcosa di simile – ad esempio – a quanto realizzato nella Camera delle Imprese del cinquecentesco Palazzo Te a Mantova.
22 Adalgisa Lugli, “Il laboratorio di Ulisse Aldrovandi: iconografia e cultura antiquaria”, in Palazzo Poggi da dimora aristocratica a sede dell’Università di Bologna, a cura di Anna Ottani Cavina (Bologna: Nuova Alfa, 1988), 171.
23 Nicolaus Reusner, latinizzato in Nicolaus Reusnerus (1545–1602), autore di Emblemata Nicolai Reusneri Ic. partim ethica, et physica partim verò historica, & hieroglyphica, sed ad virtutis, morumque doctrinam omnia ingeniosè traducta & in quatuor libros digesta, cum symbolis & inscriptionibus illustrium & clarorum virorum (Francoforti: per Ioannem Feyerabendt, impensis Sigismundi Feyerabendij, 1581).
24 Claude Paradin, Devises héroïques (Lyon: Jean de Tournes, 1551).
25 Gabriele Simeoni, Le sententiose imprese di monsignor Paulo Giouio, et del signor Gabriel Symeoni, ridotte in rima per il detto Symeoni (In Lyone: apresso Gulielmo Rouiglio, 1561). Cfr. Maren C. Biederbick, “Tradition and Empirical Observation: Nature in Giovio’s and Symeoni’s Dialogo Dell’Imprese from 1574”, in Emblems and the Natural World, ed. Karl A.E. Enenkel and Paul J. Smith (Leiden-Boston: Brill, 2017), 271–318.
26 BUB, Ms. Aldrovandi 99, c. 43v.
27 BUB, Ms. Aldrovandi 99, c. 27r.
28 Andrea Alciato, Il libro degli emblemi secondo le edizioni del 1531 e del 1534, a cura di Mino Gabriele (Milano: Adelphi, 2009), 128, alla titolazione dell’impresa Dalla pace l’abbondanza segue il motto “Intreccia con grandi spighe leggere corone, / che intorno la vite circondi con alterato tralcio. / Da questi ornati sulla tranquilla superficie marina, / gli alcioni nidificano e nutrono i piccoli implumi. / Propizio e ferace sarà l’anno per Cerere e Bacco /se il re sarà simile a questi uccelli”. Alcione e il suo sposo Ceice furono trasformati in uccelli da Zeus: lei in alcione e lui in smergo; nidificavano in mezzo al mare e le onde distruggevano sempre il nido, il sommo Dio ne ebbe pietà e ordinò ai venti di acquietarsi sia nei sette giorni precedenti il solstizio d’inverno che in quelli successivi. In tale periodo, detto “i giorni dell’alcione”, la cova delle uova poteva così avvenire senza che il mare conoscesse tempeste.
29 Pierio Valeriano, Hieroglyphica sive de sacris Aegyptiorum literis commentarii (Basileae: Michael Isegrin, 1556), 180–181.
30 Giovio, Dialogo dell’imprese, 81.
31 BUB, Ms. Aldrovandi 99, c. 40r. L’emblema dell’alcione non propone nessun animale a corredo.
32 Orapollo, I geroglifici, a cura di Mario Andrea Rigoni, Elena Zanco (Milano: Bur, 1996), 199.
33 Valeriano, Hieroglyphica, 128. Anche Joachim Camerarius, Symbolorum et emblematum ex re herbaria desumtorum centuria una collecta (Noribergae: P. Kaufmann, 1595), 86. Cfr. Karl Enenkel, “Camerarius’s Quadrupeds (1595): A Plinius Emblematicus as a Mirror of Princes”, in Emblems and the Natural World, ed. Karl A.E. Enenkel and Paul J. Smith (Leiden-Boston: Brill, 2017), 149–183.
34 Giovio, Dialogo dell’imprese, 98.
35 Medico, botanico e naturalista – nato a Norimberga nel 1534 e morto nel 1598 – Joachim Camerarius, detto il Giovane è autore di numerose opere; in particolare, Camerarius, Symbolorum et emblematum è il volume da cui Aldrovandi “preleva” gli emblemi per il progetto della sua abitazione. Non va dimenticato che Camerarius era stato allievo di Aldrovandi a Bologna, dove si era laureato in medicina e che con il maestro bolognese intratterrà, dopo il ritorno in patria, una fitta corrispondenza, cfr. Giuseppe Olmi, “Per la storia dei rapporti scientifici fra Italia e Germania: lettere di Francesco Calzolari a Joachim Camerarius II”, in Dai cantieri della storia. Liber amicorum per Paolo Prodi, a cura di Gian Paolo Brizzi, Giuseppe Olmi (Bologna: Clueb, 2007), 343–361. Il manoscritto BUB, ms. 1336, tomo VII, alle carte 2–5 contiene un “Catalogus Simplicium D. Joachimi Camerarii physici Norimbergensis”.
36 Aldrovandi scrive: “L’unicorno è da molti scrittori descritto per animale / che non si vol lasciar pigliar ad alcuno et / da una virginella si lascia far prigione tanto è ama / tore della viriginità, perciò è accompagnata questa / impresa dal motto: victrix casta fides. Dicono / ancora che questo animale ha tal proprietà contro / i veneni che non berria né à fiume, né à fonte alcuna / che pria non havesse ivi attuffato il suo corno / per esser anco lui sicura da veneni”, BUB, Ms. Aldrovandi 99, c. 40r.
37 Camerarius, Symbolorum et emblematum, 23: “Nil inexplorato. Te quoque serpentum sitiunt mala secla ferarum explora e cautus tetra venena fuge”.
38 Ibid., emblema LXXXIIII, 92.
39 L’impresa doveva essere corredata a destra da un “lepus” e a sinistra da un “canis borbonus niger”: BUB, Ms. Aldrovandi 99, c. 44r.
40 Paradin, Devises héroïques, 25.
41 Bolzoni, “Parole e immagini”, 339.
42 Gli artisti chiamati da Aldrovandi non sono certo tra i più affermati del periodo. Essi appartengono alla schiera dei pittori preposti alle raffigurazioni ad vivum per la sua opera a stampa, che frequentavano la sua villa di Sant’Antonio nei mesi estivi. Se la decorazione del fregio con l’Odissea spetta ad Alessandro Borghini da Correggio, un artista ancora avvolto nell’ombra, a dipingere gli emblemata e le immagini degli animali sono invece i Cervia miniatori, padre e figlio, cfr. BUB, Ms. Aldrovandi 136, tomo XXIV, c. 30. Sul laboratorio artistico predisposto dallo scienziato bolognese, cfr. in particolare Giuseppe Olmi, “La bottega artistica di Ulisse Aldrovandi”, in De piscibus. La bottega artistica di Ulisse Aldrovandi e l’immagine naturalistica, a cura di Giuseppe Olmi, Lucia Tongiorgi Tomasi (Roma: Edizioni dell’Elefante, 1993), 7–31. Si è a conoscenza che Cesare Aretusi aveva dipinto sul camino della stanza da letto l’effige di Mercurio. “Qui in meo Palatio Sti Antonii depinxit supra caminum talami emblema meum in quo est Mercurii effigies”, BUB, Ms. Aldrovandi 136, tomo XXIV; riguardo all’artista cfr. Andrea Emiliani, Aretusi, Cesare, in Dizionario Biografico degli Italiani (Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1962), vol. 4, s.v.
43 Lugli, “Il laboratorio di Ulisse Aldrovandi”, 162–163. Lugli lo ha ben dimostrato per i progetti di Musurgia: l’elaborazione iconografica della Musurgia di Aldrovandi è complessa e articolata, ma completamente legata a un sapere erudito già conosciuto; cfr. anche Marinela Haxhiraj, Ulisse Aldrovandi. Il museografo (Bologna: Bononia University Press, 2016).
44 Anche Andrea Alciato, originario di Milano, dal 1511 al 1515 insegna allo Studium bolognese, cfr. Roberto Abbondanza, “Alciato, Andrea”, in Dizionario Biografico degli Italiani (Roma: Istituto dell’Enciclopedia italiana, 1960), vol. 2, s.v.
45 Achille Bocchi, Symbolicarum quaestionum de universo genere quas serio ludebat libri quinque (Bononiae: Apud Societatem Typographiae Bononiensis, 1574); cfr. anche Loredana Chines, “Filologia e arcana sapienza: l’umanista Achille Bocchi commentatore ed esegeta”, Studi e problemi di critica testuale 60 (2000): 71–80; Annarita Angelini, Simboli e questioni. L’eterodossia culturale di Achille Bocchi e dell’Hermathena (Bologna: Pendragon, 2003). Aldrovandi in età giovanile aveva frequentato l’Accademia di Achille Bocchi (Bologna 1488-Bologna 1562), cfr. Adalgisa Lugli, “Le ‘Symbolicae Questiones’ di Achille Bocchi e la cultura dell’emblema in Emilia”, in Le arti a Bologna e in Emilia dal XVI al XVII secolo, a cura di Andrea Emiliani (Bologna: Clueb, 1982), 92. Riguardo all’emblematica e alle scienze, cfr. Carlo Ginzburg in “L’alto e il basso. Il tema della conoscenza proibita nel Cinquecento e nel Seicento”, in Miti Emblemi Spie (Torino: Einaudi, 1986), 107–132, mette in evidenza che la cultura emblematica e appunto le nuove scienze del tardo Rinascimento non costruiscono una relazione particolarmente fruttuosa, essendo talvolta addirittura in aperta contraddizione.
46 Giovanni Pietro Bolzani Dalle Fosse, conosciuto come Pierio Valeriano (1477–1558), originario di Bolzano, era stato a Bologna ospite di Achille Bocchi, cfr. Vera Lettere, “Dalle Fosse, Giovanni Pietro”, in Dizionario Biografico degli Italiani (Roma: Istituto dell’Enciclopedia italiana, 1986), vol. 32, s.v.
47 Ezio Raimondi, “Presentazione”, in Natura Picta. Ulisse Aldrovandi, a cura di Alessandro Alessandrini, Alessandro Ceregato (Bologna: Editrice Compositori, 2007), 11.
1 Note alla trascrizione: Ogni lettera è stata trascritta come compare nel manoscritto fatta eccezione per la j che viene letta nei testi latini come i. Nelle parti in latino si è distina la u dalla v, usando la prima vocale e semiconsonante come si usa nel latino classico nella pronuncia scolastica. La ç (c cedigliata) che ha valore di z e la ę (e caudata) che proviene dal dittongo æ sono state riportate quando si trovano nel testo. Nella trascrizione la punteggiatura segue l’uso della corrente lingua italiana, mentre gli apostrofi e le accentazioni seguono fedelmente il testo. Le / indicano gli a capo; le // indicano gli a capo da una pagina all’altra; la barra è posta tra due spazi qundo la fine del rigo stacca due parole, mentre è senza spazi quando la fine del rigo stacca una parola. Le abbreviazioni sono state sciolte senza darne indicazione. Le parole con lacune vengono sciolte tra [.], le parole di incerta lettura vengono sciolte tra (( )).
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4 Precedono i suoi espunti con una riga.
5 Nono scritto con numeri cardinali.
6 Così nel testo.
7 Precede la ripetizione di ‘dimmi ò autore’.
8 Numerale le testo.
9 Così nel testo.
10 Così nel testo.
11 Così nel testo.
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13 Precede parola cancellata.
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17 Così nel testo.
18 Così nel testo.
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22 Precede una parola espunta.
23 Numero cardinale scritto con cifra araba.
24 Così nel testo.
25 Et vita sovrascritto.
26 Numero cardinale scritto con cifra araba.
27 Numero cardinale scritto con cifra araba.
28 Numero cardinale scritto con cifra araba.
29 Precede una parola espunta.
30 Precede una parola espunta.
31 Numero cardinale scritto con cifra araba.
32 Così nel testo.
33 Numero cardinale scritto con cifra romana.
34 Et ripetuto due volte.
35 Numero cardinale scritto con cifra araba.
36 Numero cardinale scritto con cifra araba.
37 Numero cardinale scritto con cifra araba.
38 Manca il distico presente nel ms. 97, c. 599v della BUB: Ciclopem obcoecat, comites ab utre recludunt, Ventos, Lestrigonumque petum vi turbinis oras.
39 Numero cardinale scritto con cifra araba.
40 Numero cardinale scritto con cifra araba.
41 Numero cardinale scritto con cifra araba.
42 Numero cardinale scritto con cifra araba.
43 Numero cardinale scritto con cifra romana.
44 Parola corretta con una r sovrascritta.
45 Numero cardinale scritto con cifra araba.
46 Numero cardinale scritto con cifra araba.
47 Così nel testo.
48 ‘Si entra in’ sovrascritti su una parola espunta.
49 Numero cardinale scritto con cifra araba.
50 Numero cardinale scritto con cifra araba.
51 Numero cardinale scritto con cifra araba.
52 Numero cardinale scritto con cifra romana.
53 Numero cardinale scritto con cifra araba.
54 Numero cardinale scritto con cifra araba.
55 Dalla Bretagna.
56 Numero cardinale scritto con cifra araba.
57 Numero cardinale scritto con cifra araba.
58 Numero cardinale scritto con cifra romana.
59 Così nel testo.
60 Numero cardinale scritto con cifra romana.
61 Numero cardinale scritto con cifra romana.
62 Precede parola cancellata.
63 Numero cardinale scritto con cifra araba.
64 Numero cardinale scritto con cifra araba.
65 Numero cardinale scritto con cifra araba.
66 Numero cardinale scritto con cifra araba.
67 Numero cardinale scritto con cifra romana.
68 Numero cardinale scritto con cifra romana.
69 Numero cardinale scritto con cifra araba.
70 Numero cardinale scritto con cifra araba.
71 Precede parola espunta.
72 Numero cardinale scritto con cifra romana.
73 Numero cardinale scritto con cifra romana.
74 Numero cardinale scritto con cifra romana.
75 Numero cardinale scritto con cifra araba.
76 Numero cardinale scritto con cifra araba.
77 Numero cardinale scritto con cifra araba.
78 Numero cardinale scritto con cifra romana.
79 Numero cardinale scritto con cifra romana.
80 Numero cardinale scritto con cifra araba.
81 Numero cardinale scritto con cifra romana.
82 Numero cardinale scritto con cifra romana.
83 Numero cardinale scritto con cifra romana.
84 Constanter sovrascritto.
85 Numero cardinale scritto con cifra romana.
86 Numero cardinale scritto con cifra araba.
87 Italiano sovrascritto.
88 Numero cardinale scritto con cifra araba.
89 Precede una parola cancellata.
90 Numero cardinale scritto con cifra araba.
91 Numero cardinale scritto con cifra araba.
92 Numero cardinale scritto con cifra araba.
93 Precede parola cancellata.
94 Numero cardinale scritto con cifra araba.
95 ‘Per ascendervi’ sottoscritto a piramide.
96 Numero cardinale scritto con cifra araba.
97 Numero cardinale scritto con cifra araba.
98 Numero cardinale scritto con cifra araba.
99 Numero cardinale scritto con cifra araba.
100 Numero cardinale scritto con cifra araba.
101 Ripetuto due volte.
102 ‘Si’ sovrascritto.
103 Numero cardinale scritto con cifra araba.
104 Precede parola cancellata.
105 Numero cardinale scritto con cifra araba.
106 Precede parola cancellata.
107 Numero cardinale scritto con cifra araba.
108 Segue parola cancellata.
109 Numero cardinale scritto con cifra araba.
110 Numero cardinale scritto con cifra araba.
111 Numero cardinale scritto con cifra romana.
112 Parola corretta.
113 Precede lettera cancellata.
114 Numero cardinale scritto con cifra araba.
115 Numero cardinale scritto con cifra araba.
116 Numero cardinale scritto con cifra araba.
117 Numero cardinale scritto con cifra romana.
118 Numero cardinale scritto con cifra romana.
119 Segno di divisione tra le parole sottoscritto.
120 Numero cardinale scritto con cifra araba.
121 Numero cardinale scritto con cifra araba.
122 Numero cardinale scritto con cifra araba.
123 Numero cardinale scritto con cifra romana.
124 Sovrascritto.
125 Numero cardinale scritto con cifra araba.
126 Numero cardinale scritto con cifra araba.
127 ‘Soi’ sovrascritto.
128 Numero cardinale scritto con cifra araba.
129 Precede parola cancellata.
130 Parola con correzione.
131 Numero cardinale scritto con cifra araba.
132 Parola corretta.
133 ‘Saria’ scritto due volte.
134 Numero cardinale scritto con cifra romana.
135 Numero cardinale scritto con cifra romana.
136 Parola corretta.
137 Precede parola cancellata.
138 Così nel testo.
139 Segue frase cancellata nel rigo di sotto.