La ‘chimica dell’arte’, ovvero per un approccio ecocritico all’ultima sezione della Naturalis historia di Plinio il Vecchio

Introduzione


Pietro Li Causi

Sapienza Università di Roma

Rosa Rita Marchese

Università di Palermo



I libri finali della Naturalis historia di Plinio il Vecchio sono dedicati ai minerali, ai metalli, alle gemme e al loro utilizzo. Larga parte delle applicazioni di tali materiali è destinata alla produzione artistica, che rende l’uomo artefice e demiurgo, e proprio per questo imitatore della Natura, ovvero di quella divinità immanente che governa e plasma il cosmo e che con il cosmo stesso si identifica.1

Alcuni studiosi hanno visto in Plinio un mero compilatore, che si limitava a raccogliere alla rinfusa notizie e idee altrui. I nuovi orientamenti della critica, volti a sottolineare l’autonomia di pensiero e l’originalità intellettuale di Plinio, hanno tuttavia reso possibile, più recentemente, diverse riletture della sua opera-mondo, contribuendo così a porre nuove domande, ad esempio, sull’organizzazione dell’opera, sulla funzione dei nomi e delle liste, sul rapporto con i modelli filosofici, sull’uso della narrazione come strumento riflessivo, sull’ideologia dell’inventario, sulla costruzione enciclopedica del sapere, sui suoi rapporti con il potere e l’ideologia imperiale.2

Gli studi più recenti, in particolare, hanno messo in luce come una certa tendenza ‘estrazionista’, che ha portato nel tempo a concentrarsi unicamente su singole sezioni del testo in chiave specialistica (la cosmologia pliniana, la geografia pliniana, la zoologia pliniana, ecc.), abbia, già a partire dal XIX secolo, orientato il nostro sguardo sulla Naturalis historia, deviandolo da quello che, secondo Aude Doody, sarebbe invece il centro ‘sovversivo’ della sua proposta intellettuale. Doody, in particolare, ha insistito sul fatto che è dall’analisi complessiva della struttura – e dunque da dinamiche di lettura macro-testuali – che emerge la novità assoluta di un’opera la cui natura è ‘ibrida’, e che solo a posteriori – e secondo criteri lontani dall’esperienza degli antichi – può essere catalogata all’interno del genere, peraltro fluido, della ‘enciclopedia’.3

In questo senso, i lavori raccolti nel presente numero si concentreranno sulla sezione finale, quella dei libri XXXIII–XXXVII con l’intenzione di leggerla, però, nel quadro complessivo del progetto dell’opera, e non più – come invece in passato è stato fatto – come ‘monade’ o come repertorio di servizio per gli studiosi di storia dell’arte. Più nello specifico, le domande che verranno poste saranno le seguenti: quale idea di materia viene sviluppata, sia pure surrettiziamente, nei libri finali dell’enciclopedia pliniana? Cosa significa, inoltre, per Plinio, ‘trasmettere’ la natura ai suoi lettori, e quali sono le implicazioni della conoscenza e della sua costruzione in termini epistemologici, ideologici, sociali? 

L’idea che la natura possa essere manipolata e modificata è, come è noto, alla base dell’alchimia prima, e poi della chimica moderna.4

Ma cosa significa per Plinio manipolare la natura? Quali sono le implicazioni delle pratiche umane sul mondo che si evincono dai giudizi espressi all’interno dell’opera?

In altre parole, è possibile leggere in chiave ecocritica la Naturalis historia? Ci sono tracce di un pensiero ecosistemico e ambientalista ante litteram in questa summa monumentale dei saperi di età flavia? 

È tenendo queste domande sullo sfondo che i contributi contenuti nel numero speciale di Aldrovandiana esploreranno – sia pure nella portata limitata di una stringata raccolta di articoli – la sezione finale dell’enciclopedia di Plinio, cercando di muoversi sull’onda di una logica binoculare che potrebbe aprire nuove prospettive non solo agli studiosi del mondo antico, ma anche agli storici e ai filosofi della scienza e forse anche a chi opera nel mondo delle cosiddette ‘scienze dure’: se è infatti vero che le teorie moderne possono arricchire il nostro modo di leggere i testi antichi nella misura in cui funzionano da ‘reagenti’ che permettono di illuminare aree altrimenti opache del pensiero antico e di leggerle in una nuova luce, allo stesso modo può anche accadere che i testi antichi fungano da stimolo per guardare dall’esterno le basi e i presupposti delle teorie moderne nelle quali siamo – per così dire – ‘immersi’ e, per dirla in altre parole, per ‘re-inquadrare’ saperi – quelli scientifici – cui solo sulla scia di distorsioni mediatiche e di errori di comunicazione si può attribuire una valenza oracolare e dogmatica.5 Gli antichi, in altri termini, possono essere un ottimo punto di vista a partire dal quale guardare alla scienza contemporanea nel suo farsi e nel suo essere imbricata nei modelli sociali, storici, economici e culturali che la determinano, ma anche per ricordarsi che la scienza non è tanto una verità rivelata, quanto piuttosto un metodo basato sull’osservazione, sulla dimostrazione e, soprattutto, sul principio di falsificabilità.

Questo appare tanto più vero in quanto il discorso della scienza oggi deve fare i conti con i limiti che le strategie di comunicazione della conoscenza hanno mostrato in condizioni di particolare pressione pubblica, come è accaduto nell’esperienza della recente pandemia. La “macchina della conoscenza”, espressione usata da Michael Strevens6 per indicare la scienza del nostro tempo, si è trovata di fronte alla gestione dell’impensabile,7 di un fenomeno assolutamente nuovo, ha avuto grandi difficoltà a curarne la comunicazione, anche quando è riuscita a ottenerne il controllo. Le sfide di un’epoca che chiamiamo Antropocene possono ricavare una qualche utilità dal confronto con le posture epistemologiche che la riflessione scientifica antica ha costruito e trasmesso. Di fronte all’attitudine a lungo consolidata, e talvolta ormai irriflessa, di nutrire un’idea di mondo prevedibile e uniforme, esperienze di costruzione del sapere e pratiche di scrittura quali quella di Plinio rappresentano valide occasioni per riattivare un’attitudine di attenzione e vigilanza nei confronti di ciò che è novum, e soprattutto per riprendere consapevolezza della costitutiva non-compiutezza dei processi di conoscenza propri degli esseri umani nel quadro di una natura complessa: tutti temi che in qualche modo fanno parte del dibattito contemporaneo sulle grandi trasformazioni e sulla necessità di un approccio ecocritico alla studio della materia.8

L’edizione di riferimento per tutti i testi pliniani citati è quella curata da Ian e Mayhoff per i tipi della Teubner. Salvo dove indicato diversamente, le traduzioni italiane riprodotte sono invece quelle apparse nell’edizione di Plinio, Storia Naturale (vv. 1–5), curata da Gian Biagio Conte per i Millenni Einaudi.

I contributi qui raccolti sono stati presentati nel corso della mattinata di studi biennale di Memoria scientiae 2023, intitolata “La chimica dell’arte. Per un approccio ecocritico all’ultima sezione della Naturalis historia di Plinio il Vecchio”, tenutasi il 15 febbraio 2023 presso il Polodidattico dell’Università degli Studi di Palermo nell’ambito di “esperienzaInsegna”, il festival cittadino della scienza organizzato annualmente dall’Associazione Palermoscienza.

Gli enti che hanno finanziato l’iniziativa sono stati il Liceo Scientifico “S. Cannizzaro” di Palermo e il Dipartimento di Scienze Umanistiche dell’Università degli Studi di Palermo. L’idea di lavorare sulla ‘chimica’ della Naturalis historia è nata in concomitanza di due ricorrenze particolari, il bimillenario della nascita di Plinio il Vecchio, che cade nel triennio 2023-2025, e il centenario della fondazione del Liceo Scientifico “S. Cannizzaro”, dedicato a uno dei padri della chimica moderna. A dare l’avvio alla giornata di studi è stata Antonella Maria Maggio, con una relazione sulla nascita della Tavola Periodica di Mendeleev e una sintesi sulla figura di Stanislao Cannizzaro. Tale relazione non è qui riprodotta per volontà della studiosa stessa, cui vanno comunque i nostri ringraziamenti per il contributo che ha dato alla discussione e per la sua consulenza scientifica.

Al convegno hanno partecipato, in qualità di discussant dei singoli interventi, gli studenti della V I del Liceo Scientifico “Benedetto Croce” di Palermo, coordinati dal prof. Marcello Puccia, della V L del Liceo Scientifico “S. Cannizzaro” di Palermo, coordinati dal prof. Pietro Li Causi, e della V F del Liceo Classico “G. Meli” di Palermo, coordinati dai proff. Anna Li Vigni e Domenico Solina. Anche a loro vanno i nostri ringraziamenti. Dalle loro domande e dalle loro curiosità i contributi qui raccolti hanno tratto ulteriori spunti.


1 Fra gli studi più recenti sulla storia dell’arte pliniana cfr. ad es. Jacob Isager, Pliny on Art and Society (London-New York: Odense University Press, 1998); Sorcha Carey, Pliny’s Catalogue of Culture. Art and Empire in the Natural History (Oxford: Oxford University Press, 2003), spec. 75 ss.; Valérie Naas, “Anecdotes et théorie de l’art chez Pline l’Ancien”, in La théorie subreptice. Les anecdotes dans la théorie de l’art (XVIè–XVIIIè siècles), ed. Emmanuelle Hénin, François Lecercle, Lise Wajeman (Turnhout: Brepols, 2012), 39–52; Sandra Citroni Marchetti, “La storia dell’arte nel sistema espressivo e simbolico della ‘Naturalis historia’”, in Peri graphikes. Pittori, tecniche, trattati, contesti tra testimonianze e ricezione, a cura di Gianfranco Adornato, Eva Falaschi, Alessandro Poggio (Milano: LED Edizioni Universitarie, 2019), 233–247; Anna Anguissola, Andreas Grüner, The Nature of Art: Pliny the Elder on Materials (Turnhout: Brepols, 2020); Anna Anguissola, Pliny the Elder and the Matter of Memory. An Encyclopedic Workshop (New York: Routledge, 2022), spec. 11 ss.; Valérie Naas, Anecdotes artistiques chez Pline l’Ancien. La constitution d’un discours romain sur l’art (Paris: Sorbonne Université Presses, 2023), 12 s. e, specificamente per la relazione fra ars e Natura, 29 ss. Cfr. anche, per una lettura in chiave ecocritica della storia dell’arte pliniana, Verity Platt, “Ecology, Ethics and Aesthetics in Pliny the Elder’s Natural History”, Journal of the Clark Art Institute 17 (2018): 219–242. Si segnala, inoltre, il progetto “Oltre Plinio”, creato dalla Scuola Normale Superiore di Pisa e dedicato ai testi sull’arte di Plinio (http://www.oltreplinio.it/it/). È comunque sempre degna di menzione la ristampa di Plinio il Vecchio, Storia delle arti antiche. Naturalis historia (libri XXXIV–XXXVI), a cura di Silvio Ferri, con una introduzione di Maurizio Harari (Milano: BUR, 2000).

2 Senza voler andare indietro agli studi ottocenteschi sulle sue fonti, l’idea di un Plinio compilatore, corroborata anche dalla lettura di Gian Biagio Conte, “L’inventario del mondo. Ordine e linguaggio della natura nell’opera di Plinio il Vecchio”, in Gaio Plinio Secondo, Storia Naturale, v. 1, a cura di Gian Biagio Conte (Torino: Einaudi, 1982), XVII–XLVIII, è stata ripresa di recente da Trevor Murphy, Pliny the Elder’s Natural History. The Empire in the Encyclopedia (Oxford: Oxford University Press, 2004). Gli orientamenti della critica contemporanea insistono comunque nel riconoscere a Plinio autonomia e originalità di pensiero: cfr. ad es. Valérie Naas, Le projet encyclopédique de Pline l’Ancien (Rome: Éditions de l’École Française de Rome, 2002); Sandra Citroni Marchetti, “Le scelte di un intellettuale. Sulle motivazioni culturali della Naturalis historia”, Materiali e discussioni per l’analisi dei testi classici 54 (2005): 1–31; Aude Doody, Pliny’s Encyclopedia (Cambridge: Cambridge University Press 2010); Ernesto Paparazzo, “Philosophy and Science in The Elder Pliny’s Naturalis Historia”, in Pliny the Elder: Themes and Contexts, ed. Roy K. Gibson, Ruth Morello (Leiden-Boston: Brill, 2011), 89–111; Pietro Li Causi, “Il corpo dei viventi. La “stoicizzazione” dell’anatomo-fisiologia aristotelica in Plin. nat. XI”, in Corpi e saperi. Riflessioni sulla trasmissione della conoscenza, a cura di Sabina Crippa (Bologna: Pendragon, 2019), 361–395; Thomas R. Laehn, Pliny’s Defense of Empire (London-New York: Routledge, 2013); Eugenia Lao, “Taxonomic Organization in Pliny’s Natural History”, Papers of the Langford Latin Seminar 16 (2016): 209–246.

3 A tale proposito, cfr. soprattutto Doody, Pliny’s Encyclopedia, 1 ss.; spec. 9 e 11. ss.

4 Per un quadro della storia della chimica, cfr. ad es. Francesca Antonelli, Marco Beretta (a cura di), Alchimia e chimica nel Settecento (Milano: Editrice Bibliografica, 2018); Matteo Martelli, L’alchimista antico (Milano: Editrice Bibliografica, 2019); Antonella Maria Maggio, Roberto Zingales, Appunti di storia della chimica (Roma: Aracne, 2019).

5 Su questo punto basti citare Linda Armano, “Per una cultura dell’ansia: l’eredità moderna occidentale nei discorsi sul Covid-19”, in Dialoghi Mediterranei 51 (2021), spec. il par. intitolato “Ansia e fiducia nelle conoscenze scientifiche”, che sostiene che l’ansia che ha investito l’opinione pubblica durante i due anni di pandemia sia stata innescata anche da una visione fideistica nei confronti di una scienza che, a fronte all’esplodere della crisi, non dava facili soluzioni e non garantiva certezze, ovvero, in altre parole, che non riusciva ad assumere la dimensione salvifica ad essa comunemente associata: http://www.istitutoeuroarabo.it/DM/sommario-n-51/.

6 Michael Strevens, La macchina della conoscenza. Come l’irrazionalità ha creato la scienza moderna, traduzione di Simonetta Frediani (Torino: Einaudi 2021), in cui si offre una revisione storicamente fondata dei paradigmi che hanno condotto alla formazione del metodo scientifico, individuandone la specificità nella “regola ferrea della spiegazione”, che non interpreta, non stabilisce vincitori e vinti, non risolve la disputa, ma la prolunga nel tempo attraverso la conduzione di nuovi esperimenti e di nuove misurazioni.

7 Come è noto, la scommessa principale per una condizione globale di “grande cecità” di fronte a trasformazioni radicali; il rimando ovvio è ad Amitav Ghosh, La grande cecità, traduzione di Anna Nadotti e Norman Gobetti (Milano: Neri Pozza, 2017).

8 Basti alludere qui alle idee feconde, in chiave epistemologica, promosse nel 1979 da James Lovelock in Gaia. Nuove idee sull’ecologia, traduzione di Allegra Panini (Torino: Bollati Boringhieri, 2021), rinviando poi agli affondi specifici condotti nei singoli contributi di questo numero.