I preparati zoologici
di Ulisse Aldrovandi

Paolo Reggiani

Paleostudy

paleostudy@libero.it

© Paolo Reggiani, 2022 / Doi: 10.30682/aldro2202a
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/ Abstract

Nell’estate del 2022 sono iniziati alcuni interventi di controllo dello stato di conservazione, pulizia e restauro di una parte della collezione naturalistica di Ulisse Aldrovandi. Durante questi interventi è stato possibile analizzare le tecniche utilizzate per la preparazione e conservazione dei reperti zoologici. Tra questi ci sono tre “basilischi” che risultano particolarmente interessanti: la Centrina vera Aristotelis, il Bufo caudatus et dentatus e il Bufo caudatus sine dentibus. Tra i reperti è stato scoperto anche un Boa constrictor che non fa parte della collezione dello studioso bolognese.

In the summer of 2022, some interventions to check the state of conservation, cleaning and restoration of part of the naturalistic collection of Ulisse Aldrovandi began. During these interventions it was possible to analyze the techniques used for the preparation and conservation of the zoological finds. Among these finds there are three “basilisks” that are particularly interesting: the Centrina vera Aristotelis, the Bufo caudatus et dentatus and the Bufo caudatus sine dentibus. Among the finds, a Boa constrictor, which is not part of the collection of the Bolognese scholar, was discovered.

/ Keywords

Zoological collections; Taxidermal techniques; Basilisk; Aldrovandi.

1. Introduzione

Ulisse Aldrovandi recuperò e fece raffigurare una grande quantità di reperti, organizzando il più importante museo naturalistico del Rinascimento, con finalità scientifiche ed educative. Questi mise particolare attenzione nella raccolta di reperti zoologici, favorito in questo progetto dai numerosi contatti con ricercatori, appassionati collezionisti ed amici. Questa notevole collezione, di enorme valore documentario e culturale, è ancora oggi custodita nel Museo di Palazzo Poggi dell’Università di Bologna.

Nell’estate del 2022 è stata avviata una serie di interventi conservativi su una parte dei reperti della Collezione Aldrovandi, commissionati dall’università di Bologna, finalizzati al controllo del loro stato di conservazione, alla pulizia e al restauro, dove necessario. Particolare cura è stata posta negli interventi sui preparati zoologici, considerate le problematiche che spesso si incontrano nella conservazione di questa tipologia di reperti. In questo frangente è stato possibile analizzare le metodologie di realizzazione.

Gli interventi hanno riguardato 61 reperti zoologici, 3 botanici e 25 minerali, compresi alcuni fossili. Una parte dei reperti zoologici è rappresentata da “mummie”, cioè da parti di animali disidratate, costituite non solo dalla cute, ma anche dai tessuti sottostanti e dalla porzione scheletrica, tra questi si annoverano le teste di alcuni selaci e di un Cervus elaphus (cervo nobile). Altri si possono invece considerare delle tassidermie in senso stretto, quindi animali scuoiati dei quali è stata conservata solo la pelle. Infine sono presenti alcuni resti osteologici, e i carapaci di tre tartarughe marine: 2 di Chelonia mydas (tartaruga verde) e 1 di Caretta caretta (tartaruga caretta).

2. Tecniche di conservazione dei corpi animali: cenni storici

I tessuti animali sono facilmente deteriorabili, per conservarli sono quindi necessari trattamenti con sostanze biocide, oppure condizioni ambientali particolari.

Le prime pratiche di conservazione risalgono alla preistoria. Le pelli venivano trattate con differenti procedimenti per realizzare indumenti, oggetti rituali e decorativi. È tuttavia solo nel XVI secolo che in Europa si realizzano le prime tassidermie con finalità collezionistiche e/o scientifiche. Animali esotici, morti durante i lunghi viaggi in mare, venivano trattati in maniera tale da conservarsi fino al loro arrivo in Europa, dove venivano tassidermizzati da preparatori più o meno esperti. Inizialmente per conservare questi corpi, le loro pelli o le mummie, venivano utilizzate sostanze concianti poco efficaci a contrastare i processi di degrado. È per questo motivo che pochi dei primi preparati zoologici sono arrivati fino a noi.

Nel Rinascimento le tecniche di preparazione erano ancora rudimentali e non differivano di molto da quelle utilizzate in età classica, da Greci e Romani. Queste antiche tecniche di lavorazione delle pelli sembra facessero ricorso alla semplice affumicatura e probabilmente anche all’utilizzo di oli e grassi, ma queste modalità di concia ottenevano risultati poco stabili e di non lunga durata.1 L’effetto conservante dell’affumicatura si esplica in due modi: la formazione di composti fenolici che esercitano un’azione biocida in concomitanza con l’azione del calore che disidrata i tessuti. Ulisse Aldrovandi accenna al metodo di dissecare i pesci con il fumo e con la cenere (Ms. 56 autogr. a.c. 445 r. e v.), tecnica ancora in uso nel XVI secolo presso aromatari e medici.2 In un manoscritto inedito di Giovanni Domenico Nardo, redatto nel 1820 e conservato presso la biblioteca del Museo di Storia Naturale di Venezia, troviamo le ricette di alcune soluzioni conservanti che il medico naturalista aveva sperimentato con efficacia nella conservazione a secco di pesci. Una di queste è composta da “liscivia”, che non è altro che cenere sciolta in acqua, con l’aggiunta di altri composti che dovevano aumentarne il potere conservante, quali l’olio di trementina, gomma arabica e zucchero. Nardo consiglia inoltre l’utilizzazione del “sublimato corrosivo”, altrimenti conosciuto come bicloruro di mercurio, per la preparazione di animali particolarmente difficili da conservare.3 Con l’utilizzazione del bicloruro di mercurio si raggiungono notevoli traguardi conservativi.

Verso la metà del Settecento il farmacista e naturalista francese Jean-Baptiste Bécoeur mette a punto una pomata conciante a base di sapone e arsenico, che garantisce una conservazione più duratura ai preparati tassidermici, ma durante la sua vita non divulga la ricetta, che rimarrà segreta per trent’anni.4 Da allora l’arsenico è stato ampiamente utilizzato in tassidermia, fino a pochi decenni fa, tant’è vero che nel lavoro di Didier e Boudarel, del 1968, viene ancora consigliata una pomata tassidermica contenente arsenico.5 Dal XVIII secolo vengono quindi ampiamente utilizzati l’arsenico ed il bicloruro di mercurio come conservanti d’elezione nei preparati tassidermici, sostanze sicuramente molto efficaci, ma anche estremamente tossiche, oggi sostituite da composti a basso grado di tossicità ed egualmente efficaci, come ad esempio il tetraborato di sodio e l’acido salicilico. La formaldeide, uno dei migliori conservanti-fissativi mai scoperti, inizia ad essere utilizzata nella conservazione delle spoglie animali e nella preparazione di mummie a partire dai primi anni del Novecento. Questa aldeide negli ultimi anni non viene quasi più utilizzata per la sua alta tossicità e cancerogenicità.

3. Stato di conservazione ed interventi

Lo stato di conservazione di questi reperti risulta complessivamente buono; sono stati evidenziati pochi danni di origine biologica, dovuti ad aggressioni da parte di entomofauna, peraltro non recenti, e qualche danno di origine traumatica che ha causato la rottura di alcune parti. Il tipo di rosure presenti su Oxyrinchus minor ( = Dipturus oxyrinchus, razza monaca) e sulla testa di Zygaena s. libella ( = Sphyrna zygaena, squalo martello) ci permette di attribuire alcuni danni alle larve di Anthrenus museorum, un piccolo coleottero che si nutre di materiale organico disidratato di origine animale. È straordinario che questa collezione si sia conservata in così buone condizioni, considerando le poco efficaci metodologie di preparazione delle spoglie animali utilizzate normalmente nel Rinascimento.

Gli interventi eseguiti, attuati in maniera tale da conservare l’integrità fisico-chimica dei reperti, sono consistiti in una pulizia della superficie delle pelli con carta giapponese imbevuta con soluzione idroalcolica contenente alcool isopropilico e una piccola quantità di sali quaternari d’ammonio. La carta giapponese, costituita da fibra di cellulosa priva di lignina, viene normalmente utilizzata per la pulizia ed il consolidamento di mummie ed in genere di tessuti organici.6 Lo sporco viene sciolto dalla soluzione, che agisce da blando solvente, ed è assorbito dalla carta giapponese (Fig. 1). La pinna pettorale destra staccata di Dactylopterus volitans (rondine di mare) è stata riposizionata fissandola con Titebond Liquid Hide Glue Professional (Franklin International), una colla costituita da proteine animali emulsionate, che presenta un ottimo potere incollante ed è reversibile.

Fig. 1. Sphyrna zygaena: particolare della testa durante la pulizia con soluzione idroalcolica.

Questi interventi hanno permesso di rilevare che la maggior parte dei preparati sono stati trattati con gommalacca. Non è semplice però stabilire quando sia stata applicata, se durante la preparazione degli animali o in tempi successivi. Questa sostanza veniva spesso utilizzata nel passato come protettivo e conservante nei preparati anatomici a secco. Gran parte dei preparati ottocenteschi di Enrico Filippo Trois, conservati presso il Museo di Storia Naturale di Venezia, presentano la superficie cosparsa con questo polimero naturale, che presenta una buona stabilità nel tempo.7 La gommalacca però favorisce l’adesione dello sporco ai reperti e contribuisce spesso al loro aspetto particolarmente scuro. La percentuale di alcool isopropilico presente nella soluzione detergente usata per la pulizia ha permesso di solubilizzare parzialmente il polimero, permettendo un’ottimale asportazione della patina scura.

Fig. 2. Diodon hystrix dopo la pulizia. Spicca il grande occhio in vetro dipinto e le orbite modellate con materiale fibroso.

4. Alcuni reperti significativi

Un lotto considerevole di animali è costituito da quelli che chiamiamo genericamente pesci palla e pesci scatola, tutti animali considerati esotici. Questi pesci sono più facili da conservare rispetto ad altri perché presentano una pelle particolarmente robusta e coriacea. Uno di questi, un Diodon hystrix (pesce istrice), probabilmente il più appariscente tra i pesci palla, presenta dei grandi occhi in vetro dipinto estremamente realistici, posti in orbite modellate con foglietti di materiale fibroso, probabilmente carta, con il quale è stata ricostruita anche parte del muso (Fig. 2). Spesso sui reperti della collezione è stato utilizzato questo materiale, anche sotto forma di una lunga fettuccia applicata per coprire i tagli poi cuciti, serviti alla preparazione tassidermica. Il pesce martello conservato intero presenta un taglio dorsale lungo tutto il corpo, ricoperto da questa fettuccia. I tagli dorsali che troviamo in questo e in pochi altri preparati tassidermici della collezione sono inusuali. Normalmente si effettua un taglio ventrale per motivi per lo più estetici, infatti i reperti vengono quasi sempre esposti appoggiati sul ventre in maniera tale che il taglio non sia visibile.

Uno dei preparati più interessanti è la Centrina vera Aristotelis,8 una creatura fantastica e misteriosa dall’aspetto stravagante – un basilisco – animale frutto di manipolazione e trattamenti particolari (Fig. 3). I basilischi erano opera di preparatori mistificatori del Cinquecento–Settecento che materializzavano quei mostri che facevano parte della zoologia sin dall’antichità. Spesso al basilisco erano attribuiti poteri straordinari, questo sarebbe stato in grado di incenerire il malcapitato con uno sguardo e con il suo alito portava morte e sciagura su interi villaggi.9 Ulisse Aldrovandi era cosciente che queste creature inverosimili non esistevano, infatti nella sua Historia serpentum et draconum, pubblicata postuma da Ambrosini nel 1640, accenna esplicitamente alla curiosa pratica di “tali trucchi” (Bononiae, apud Clementem Ferronium, pag. 314). Lo studioso bolognese afferma inoltre in uno dei suoi manoscritti di aver visto una di queste creature fantastiche presso un certo Leone Tartaglini, un saltimbanco ed esperto imbalsamatore toscano residente a Venezia, possessore di una collezione di cose naturali rare (Autogr. a c. 742).10 Achille Forti, nel suo lavoro del 1907, scrive che presso il Museo Universitario di Zoologia di Bologna si conserva un esemplare disseccato e contorto di Chimaera monstrosa (chimera) il quale assomiglia lontanamente a questo “dragone” conservato nella collezione di Aldrovandi.11 Se analizziamo questo curioso pesce cartilagineo bentonico vediamo che la prima pinna dorsale di forma triangolare reca anteriormente un lungo aculeo, mentre la seconda pinna dorsale, molto bassa, forma con la pinna caudale una lunga frangia che si estendono lungo tutto il dorso e la coda dell’animale. Le pinne pettorali sono grandi e le ventrali un po’ più piccole. Nella Centrina di Aldrovandi si riconosce una prima pinna dorsale con un possente aculeo e una seconda pinna che, sebbene frastagliata, è bassa e si estende assieme alla caudale lungo tutto il dorso e la coda ripiegata. La prima pinna dorsale è più bassa e con l’aculeo più esposto rispetto a quella della Chimaera monstrosa, ma questo può essere dovuto al danneggiamento di questa parte anatomica durante la preparazione, infatti quello che rimane della pinna presenta riparazioni. Le pinne pettorali sono state chiaramente rovinate durante la manipolazione dell’esemplare, tant’è che è stata applicata una fettuccia per tenere uniti i lembi danneggiati. Nelle zone di inserzione di queste pinne nel corpo sono stati applicati dei fogliettini di materiale, probabilmente cartaceo, per chiudere le lacerazioni della pelle. La testa è poi stata quasi interamente ricostruita stravolgendone la morfologia, sempre utilizzando fogliettini di questo materiale fibroso. Solo la parte dorsale della testa e la bocca sono costituite dalla pelle originale dell’animale. Attraverso l’apertura buccale si vede la paglia utilizzata per imbottire l’esemplare e si nota una struttura scheletrica posta inferiormente che non è riconoscibile come mandibola, mentre superiormente è presente una parte anatomica che rappresenta la struttura del cranio e della mandibola con relativa dentatura. Le chimere presentano una dentatura costituita da larghe piastre dentarie con una costolatura sul lato guanciale, caratteristiche riconoscibile nella Centrina vera Aristotelis. La pelle di questa creatura non presenta tagli longitudinali, di norma praticati per la scuoiatura, è verosimile quindi che i tessuti e gli organi interni siano stati tolti attraverso l’apertura buccale e/o le lacerazioni che si trovano alla base delle prime pinne pettorali. Un metodo descritto da Giovanni Domenico Nardo prevede la separazione della colonna vertebrale dalla sua congiunzione con la testa attraverso le aperture branchiali, poi viene introdotto dalla bocca uno strumento d’acciaio o d’avorio con il quale si separa la pelle dalla carne ed infine si estrae la massa interna attraverso la bocca, con l’ausilio di una pinza. Queste operazioni piuttosto complesse rischiano però di rovinare l’animale, soprattutto nell’area prossima alla testa, zona difficile da trattare.12 Possiamo affermare quindi che questo basilisco è il frutto di manipolazione di un organismo appartenente alla famiglia dei Chimeridi (Chimaeridae).

Fig. 3. Centrina vera Aristotelis: si notano le aree della testa e del corpo, in prossimità della pinna pettorale, ricostruite con materiale fibroso.

Un altro reperto particolare, privo di dati identificativi, risulta essere una mandibola che presenta una dentatura formata da particolari placche piatte, tipiche dei pesci cartilaginei del superordine batoidea. Da una comparazione di questo reperto con altri dello stesso taxon è risultato trattarsi di Myliobatis aquila (aquila di mare), specie comune anche nel Mediterraneo (Fig. 4).13

Fig. 4. Mascella con dentatura di Myliobatis aquila.

Fig. 5. Bufo caudatus et dentatus: particolare della dentatura inserita ad arte nella bocca del rospo.

Nella collezione sono presenti due esemplari di Bufo bufo (rospo comune), identificati da Aldrovandi come Bufo caudatus et dentatus e Bufo caudatus sine dentibus. Entrambi gli esemplari si presentano deformati, molto snelli e con una lunga coda a sezione subcilindrica. Ventralmente presentano un taglio longitudinale cucito, che inizia all’altezza del collo e termina in prossimità dell’apice della coda. Le code di questi animali, create artificialmente, non presentano cuciture trasverse che possano far pensare ad una aggiunta di pelle di altri esemplari della stessa specie. Considerata la buona elasticità delle pelli dei bufonidi e la magrezza degli esemplari in oggetto, si potrebbe pensare che queste pelli siano state in qualche modo tirate in maniera tale da dilatarle al punto da riuscire a creare queste finte code. Nella bocca dell’esemplare dentatus è stata aggiunta ad arte una mascella e una mandibola con dentatura completa pertinenti ad un mammifero di medio-piccole dimensioni (Fig. 5).

La comparazione di questa dentatura con quelle dei mammiferi attuali ha permesso di stabilire che si tratta di porzioni anatomiche pertinenti al genere Martes sp. La contraffazione di anfibi anuri può essere considerata un unicum, poiché gli animali tradizionalmente utilizzati per creare basilischi erano pesci, in particolare razze e Squatine. Questo esemplare è privo di una parte delle zampe anteriori e in quella conservata sono infisse le teste di due chiodi che probabilmente lo teneva ancorato ad un supporto in legno.

Fig. 6. Boa constrictor: parte del taglio ventrale beante, dal quale si intravvede il foglio di carta stampato utilizzato per l’imbottitura.

Fig. 7. Testa in legno dell’anaconda (Eunectes murinus) finemente cesellata ed inserita perfettamente nella preparazione tassidermica.

Della collezione fanno parte tre ofidi di grandi dimensioni, due Boa constrictor (boa costrittore) e un’anaconda (Eunectes murinus) di circa sei metri di lunghezza. Questi esemplari, come tutta l’erpetofauna di questa collezione, sono stati studiati da Bauer, Ceregato e Delfino.14 Uno dei due boa presenta un taglio longitudinale dorsale ed è stato imbottito con un fascio di sottili stecche di legno legate assieme con spago; la cucitura dorsale è stata poi ricoperta con dello stucco. È presente solo una parte della pelle della testa inchiodata su un modello interno in legno; la parte di pelle mancante è stata ricostruita con stucco. L’altro boa è invece privo della testa originale, ricostruita in gesso, ed è stato preparato con una metodologia diversa dal primo. È stato scuoiato praticando un taglio ventrale poi cucito ma non ricoperto di stucco ed è stato imbottito con del materiale fibroso molto sottile, che ricorda la stoppa. Prima di cucire la pelle sono stati posti dei fogli di carta stampata tra la pelle e il materiale utilizzato per imbottirlo (Fig. 6). Uno di questi fogli, estratto dal ventre del serpente, è risultato essere un’ordinanza che riporta la data 19 Ottobre 1807, è chiaro quindi che questo esemplare non poteva fare parte della collezione originale di Ulisse Aldrovandi. Non c’è dubbio che questi fogli siano stati inseriti durante la preparazione originale perché la cucitura eseguita per chiudere i lembi di pelle, prima dell’essiccazione dell’esemplare, non è stata alterata. L’anaconda presenta la testa e la coda in legno finemente scolpito e perfettamente giustapposte ai lembi della pelle, in maniera tale che risulta difficile distinguere le aree di inserzione (Fig. 7). La cucitura ventrale fa intravvedere una imbottitura costituita da paglia fine. È molto probabile che questi serpenti, come altri animali della collezione catturati in continenti lontani, siano stati scuoiati nel luogo di cattura e le pelli siano poi state trasportate in Europa dove c’erano preparatori in grado di trattarle adeguatamente. Le pelli durante i lunghi viaggi in mare venivano conservate generalmente con il sale. Se questi serpenti sono stati scuoiati subito dopo la cattura è probabile che la pelle della testa sia stata rovinata per imperizia. Nei serpenti infatti la pelle aderisce molto tenacemente al cranio, si usa quindi normalmente lasciare il cranio all’interno del preparato tassidermico. I preparatori potrebbero essersi trovati di fronte a pelli prive della porzione craniale e quindi costretti a realizzare delle teste finte per ricreare quelle originali mancanti, questo vale anche per la coda dell’anaconda. La sostituzione delle teste originali potrebbe quindi essere stata una necessità e non qualcosa di voluto.

I due esemplari di Crocodylus niloticus (coccodrillo) naturalizzati presentano un taglio ventrale. Nell’esemplare più grande, lungo 3,80 metri, la cucitura è stata ricoperta con una fettuccia ora lacerata così come lo spago utilizzato per cucire la pelle. Le pelli vanno incontro a contrazioni e dilatazioni dovute alle variazioni di temperatura e umidità relativa dei luoghi dove vengono conservate. Spesso quindi queste tensioni portano alla rottura del filo o spago utilizzati per cucirle, con conseguente apertura del taglio eseguito per la preparazione. Nella zona dorsale della coda dell’esemplare di maggiori dimensioni si possono notare le teste di alcuni grossi chiodi che sono serviti probabilmente per ancorare la pelle ad una struttura in legno posta all’interno. Gli occhi sono stati realizzati con sfere di vetro trasparente, colorato nella parte interna in maniera tale da simulare l’occhio che dovevano avere gli animali in vita.

Infine sono degne di nota tre zanne di elefante ed una sezione di avorio di forma rettangolare (dens elephantis cui globulus ferreus inest) che porta infissa l’ogiva sferica di un proiettile, sparato probabilmente per abbattere l’animale.

5. Conclusioni

Le tassidermie sono i reperti che offrono gli spunti più interessanti per l’analisi delle metodologie di preparazione di questa collezione zoologica. I materiali utilizzati per l’imbottitura delle pelli degli animali non differiscono in maniera sostanziale da quelli impiegati fino quasi alla fine del XX secolo, come la paglia e il legno. Questi materiali organici sono stati sostituiti oggi da polimeri sintetici, quali poliuretani e resine. Nei preparati della collezione di Aldrovandi non è stato utilizzato il gesso, un materiale frequentemente adoperato nelle tassidermie fino a pochi decenni fa, assieme a legno e stoppa. È interessante notare che l’unico reperto a presentare una parte anatomica ricostruita in gesso (la testa di uno dei due Boa constrictor) risulta essere riconducibile ad epoca napoleonica. Anche l’utilizzo di occhi in vetro dipinto, in sostituzione degli originali, è una tecnica applicata fino ad oggi.

Per quanto riguarda le tassidermie che presentano un taglio dorsale, una spiegazione potrebbe essere ricercata nelle modalità di esposizione nell’originale Museo di Aldrovandi. Se era prevista una ostensione dell’animale in visione ventrale, magari appeso al soffitto come spesso avveniva nelle Wunderkammer, avrebbe senso praticare un taglio lungo il lato non visibile. Gestro15 consiglia di praticare un taglio dorsale solo eccezionalmente, nei mammiferi che presentano una fitta pelliccia dorsale, tale da poterlo nascondere una volta cucito, e solo in quegli animali come le scimmie provviste di un ventre poco peloso. Una caratteristica di alcuni di questi preparati è la copertura con una striscia di carta del taglio longitudinale, una volta cucito.

La gommalacca comincia ad essere conosciuta in Europa verso la fine del XIII secolo e nel 1534 vengono redatti resoconti dettagliati sulla sua utilizzazione, ma solo dalla metà del XVII secolo comincia ad essere ampiamente impiegata da artigiani e pittori per la finitura e la protezione di mobili e dipinti.16 È quindi possibile che questa resina naturale possa essere stata applicata sui reperti durante la loro preparazione. In tal caso sarebbe una delle prime attestazioni del suo utilizzo nella conservazione di resti anatomici animali.

Concludendo possiamo affermare che i reperti del Museo di Aldrovandi ancora oggi conservati sono di straordinario interesse anche per quanto riguarda la storia della tassidermia e della conservazione dei preparati biologici.

Ringraziamenti

Un ringraziamento particolare va a Roberto Balzani, Cristina Nisi e Martina Nunes per aver agevolato gli interventi sulla collezione. Ringrazio inoltre Luca Mizzan, Marco Uliana e Silvia Zampieri per la lettura critica del testo.


1 Carol Van Driel-Murray, “Tanning and Leather”, in Engineering and Technology in the Classical World, ed. John Peter Olesen (Oxford: Oxford University Press, 2008), 483–495.

2 Achille Forti, “Su un ‘Basilisco’ conservato nelle collezioni del Museo Civico di Storia Naturale”, Museo Civico di Storia Naturale – Annuario (1928): 7–12. Id., Il basilisco esistente al Museo di Storia Naturale a Venezia e gli affini simulacri finora conosciuti: contributo alla storia della ciarlataneria (Venezia: Premiate officine grafiche Carlo Ferrari, 1929), 225–238.

3 Al Chiarissimo Signore Vincenzo Dottor Sette Medico Fisico in Piove, socio corrispondente di varie società accademice, amatore delle scienze naturali. Giovanni Domenico Nardo in tributo di stima, riconoscenza ed amicizia, offre e consacra. Fondo Nardo 10/1 cc. 34–95.

4 Alexis Turner, Taxidermy (New York: Rizzoli, 2013), 1–256.

5 R. Didier et A. Boudarel, L’Art de la Taxidermie au XXe Siècle – Recueil de technique pratique de Taxidermie pour Naturalistes, Professionnels, Amateurs et Voyageurs (Paris: Paul Lechevalier, 1968), 1–78.

6 Paolo Reggiani, “Le mummie della ‘Sacerdotessa’ e dei coccodrilli della collezione Giovanni Miani conservate al Museo civico di Storia Naturale di Venezia”, Bollettino Museo civico Storia naturale Venezia 59 (2008): 151–156. Cinzia Oliva, Sabrina Ceruti, “La conservazione dei resti organici. Problemi di conservazione e di etica. La collezione egizia del Museo Archeologico di Milano”, in Atti del XV Congresso Nazionale IGIIC – Lo stato dell’Arte 15, ed. Gruppo Italiano International Institute for Conservation (Firenze: Nardini Editore, 2017), 397–403.

7 Paolo Reggiani, “Un basilisco conservato presso il Museo di Storia Naturale di Venezia”, Bollettino Museo Storia Naturale Venezia 62 (2011): 239–244.

8 Iconografia Aldrovandi, T. IV, Animalium, P. 124.

9 M.M.A.C. Langenhuijsen, “Genealogie en curriculum van een fabeldier: de basilisk”, Volkskunde. Driemaandelijks tijdschrift voor de studie van het volksleven 110 (2009): 49–58.

10 Forti, “Su un ‘Basilisco’ conservato nelle collezioni del Museo Civico di Storia Naturale”.

11 Achille Forti, Intorno ad un “draco ex raia Aldro” che esiste nel Museo Civico di Verona e circa le varie notizie che si hanno di simili mostri specialmente dai manoscritti Aldrovandiani (Verona: Tipografia Antonio Gurisatti, 1907): 4–19.

12 Paolo Reggiani, “Sperimentazione di metodi per la conservazione di corpi animali”, Museologia Scientifica nuova serie 12 (2018): 66–70.

13 Luca Mizzan, comunicazione personale.

14 Aaron M. Bauer, Alessandro Ceregato, Massimo Delfino, “The oldest herpetological collection in the world: the surviving amphibian and reptile specimens of the Museum of Ulisse Aldrovandi”, Amphibia – Reptilia 34 (2013): 305–321.

15 Raffaele Gestro, Il Naturalista Preparatore (Imbalsamatore Tassidermista) (Milano: Ulrico Hoepli, 1915), 1–214.

16 AA.VV., The Story of Shellac (New York: William Zinsser & Co. Inc., 2004), 1–23.