Sebastiano Luciani (1485-1547), detto Sebastiano del Piombo, è stato un pittore estremamente apprezzato per le sue opere devozionali e per i numerosi ritratti da lui realizzati e raffiguranti sia personaggi illustri (tra cui Papa Clemente VII, Papa Paolo III e Cristoforo Colombo) che figure a oggi non ancora identificate. A quest’ultima categoria appartengono i ritratti di numerose giovani donne, così come il Ritratto d’uomo in armi (tela conservata presso il Wadsworth Atheneum Museum of Art a Hartford in Connecticut) e il Ritratto di un umanista (oggi conservato presso la National Gallery di Washington).
Il Ritratto di un umanista è stato oggetto di numerosi studi che hanno portato a controversi risultati relativi all’identità della persona ritratta. Alcuni storici hanno, ad esempio, riconosciuto nel giovane ritratto nel quadro l’umanista e poeta Marcantonio Flaminio, mentre altri, più di recente, hanno suggerito che l’austero umanista sia invece il geografo Leone Africano, esploratore berbero arrivato nel 1520 a Roma, dove si convertì al cattolicesimo per poi essere accolto, per il suo vasto sapere, nella corte di Papa Leone X. A far propendere l’identificazione per un geografo, come appunto Leone Africano, sono stati gli oggetti disposti sulla sinistra del ritratto, in cui sono ben evidenti tre libri con lacci di chiusura, un globo, una bussola e un manoscritto (seppure scritto con una grafia pressoché illeggibile). Certamente questi oggetti erano per il pittore emblematici del personaggio che stava ritraendo, meno evidente è oggi per noi il loro significato.
Una interessante proposta di attribuzione è stata recentemente pubblicata dalla storica dell’arte Lucia Tongiorgi Tomasi nel volume Ritratti, libri, giardini. Sebastiano del Piombo, Fernando Colombo e Agostino Chigi (Leo S. Olschki Editore, 2021), che si presenta però come un’opera che va ben oltre la sola analisi dell’opera pittorica di Sebastiano del Piombo. La ricostruzione che l’Autrice propone nel suo libro non si limita, infatti, a formulare una proposta di identità del misterioso personaggio effigiato, ma riporta in vita una città di Roma all’apice del Rinascimento, in cui fervono intensi scambi culturali, che uniscono il Nuovo Mondo con il vecchio continente Europeo.
Il viaggio che Ritratti, libri, giardini propone al lettore parte dalla casa capitolina del ricco banchiere e mecenate Agostino Chigi per poi ricostruire i primi decenni di un Cinquecento connotato da rivoluzionarie scoperte sia scientifiche (basti pensare alla scoperta delle Americhe e alla rivoluzione che lo studio delle terre incognite ha avuto per la geografia e non solo) che culturali, in primis, per l’invenzione della stampa e il collezionismo librario.
“Il libro spazia – suggerisce lo storico dell’arte Alessandro Zuccari nell’introduzione al volume – nella storia della cultura e delle idee, indagando le cause dell’affermazione di nuove consapevolezze che segneranno la modernità in un irripetibile dinamismo culturale nel quale agiscono da protagonisti celebri poeti e letterati, grandi pittori e incisori, raffinati editori ed eruditi.” Il libro di Lucia Tongiorgi Tomasi guida, infatti, il lettore all’incontro con artisti del calibro di Raffaello e di letterati quali Aretino, Bembo, Bibbiena e Giovio.
Luogo privilegiato per gli incontri tra i personaggi che ruotano attorno al quadro oggetto dell’analisi è la villa di Ghigi, oggi nota come villa Farnesina. L’interesse pittorico per Villa Chigi deriva da un lato dal fatto che presenta affreschi di notevole qualità e, dall’altro, dal fatto essi includono anche numerose specie vegetali appena giunte dal Nuovo Mondo, in particolare il mais, che nei secoli successivi da esotica curiosità diverrà la base dell’agricoltura e della zootecnia moderna occidentale. Inoltre, il giardino della villa era esso stesso testimonianza viva di quell’incontro di mondi che i viaggi di esplorazione avevano reso possibile, poiché vennero incluse anche piante esotiche, di cui ben presto molti europei iniziarono a essere attivi collezionisti.
Dopo lunghe e accurate ricerche, la storica dell’arte Lucia Tongiorgi Tomasi suggerisce che l’austero umanista ritratto da Sebastiano del Piombo sia Fernando Colombo, figlio illegittimo di Cristoforo Colombo, che lo stesso pittore aveva ritratto nel 1519 in un quadro oggi conservato presso il Metropolitan Museum di New York. Gli oggetti presenti nel quadro attestano, infatti, che la personalità ritratta era un erudito, uno scrittore, un filologo, un viaggiatore, un cartografo e un bibliofilo. In particolare, sul globo è ritratto un arcipelago, “quelle terrae novae che iniziavano a essere attestate nella carte nautiche coeve sia manoscritte che a stampa, che erano le isole caraibiche che Cristoforo Colombo aveva voluto inquartare nel suo stemma familiare.” Nella pagina visibile del libro dipinto è, inoltre, presente il segno del Leone, che potrebbe rappresentare un richiamo astrologico riferito alla data di nascita di Fernando (nato il 15 agosto 1488), che riprende l’allegoria astrologica dipinta da Baldassarre Peruzzi nella villa di Chigi, di cui Sebastiano del Piombo affrescò le lunette.
Fernando Colombo, sebbene spesso primariamente citato per il fatto di essere stato il principale biografo di Cristoforo, è stato in realtà uno studioso decisamente eclettico che sin da bambino ha ricevuto una raffinata istruzione umanistica alla corte della famiglia reale spagnola. In particolare, sin da giovane, Colombo ha dimostrato un’accentuata propensione per gli studi classici, condotti sotto la guida del maestro Pietro Martire d’Anghiera, cui si deve anche un precoce interesse di Fernando per i libri e per l’Italia.
A seguito della morte del padre, Fernando Colombo viaggiò in diverse città per giungere nel 1512 a Roma, dove molto probabilmente incontrò Sebastiano del Piombo, oltre che molti altri artisti attivi a Roma in quegli stessi anni. Ad inizio del Cinquecento, Roma era una città cosmopolita, in cui religione, cultura, produzione artistica e potere si mescolavano formando una combinazione decisamente inusuale e che non si poteva trovare in alcuna altra città al mondo.
“La Roma renovata – scrive Lucia Tongiorgi Tomasi – si era affermata come un vivace centro cosmopolita nella produzione e nel commercio librario […] e a Roma venivano stampati testi devozionali, giuridici, edizioni di classici greci e latini, opere filosofiche e teatrali, guide per pellegrini e viaggiatori, oltre a una congerie di libelli popolari, rivolti ai ceti borghesi che lentamente si avvicinavano alla lettura. A questa variegata produzione provvedeva un buon numero di tipografi, tra i quali si imposero i torchi di Iacopo Mazzocchi, Stefano Guillery, Marcello Silbert e Johann Besichen”.
Durante la sua permanenza romana, Colombo si dedicò allo studio sia dei classici che della botanica e sviluppò un profondo interesse per i libri, passione che perseguì per tutta la sua vita. A Roma esistevano per altro prestigiose collezioni sia private che istituzionali di manoscritti e testi stampati (tra cui la collezione del Cardinale Giovanni de’ Medici e quella Palatina in Vaticano), che agirono sul giovane spagnolo come un ulteriore stimolo ad acquistare con sempre maggiore frequenza libri, su cui annotava meticolosamente il luogo, il prezzo e l’anno di acquisto. Sovente veniva inclusa anche una sintesi breve dei contenuti a indicare l’interesse di Colombo non solo per l’acquisizione di libri, ma anche per la loro fruizione. Queste scritture colombine, che il libro di Lucia Tongiorgi Tomasi in modo molto puntuale cita, sono spesso dimenticate e sono state sino ad oggi poco studiate. In realtà, la proposta di Colombo di creare una sorta di cartografia della conoscenza nei fatti anticipa il problema della catalogazione che sarebbe divenuto oggetto di ampie discussioni nei decenni successivi.
Le pagine di Ritratti, libri, giardini ci restituiscono un Fernando Colombo erudito, che dando seguito ai propri eterogenei interessi letterari e artistici, raccoglie nel giro di pochi anni migliaia di volumi (dall’analisi del materiale oggi disponibile si può stimare che la sua biblioteca includesse oltre quindicimila testi) e più di tremila xilografie e bulini di artisti europei. Colombo mirava, infatti, a costruire una biblioteca universale, in cui preservare l’intero sapere umano, per cui nella sua biblioteca trovarono posto anche opuscoli popolari, talvolta consistenti di un solo foglio, che però fornivano una prova dell’interesse verso uno specifico argomento politico, religioso o artistico.
“Fernando auspicava – scrive Lucia Tongiorgi Tomasi – che la sua eclettica ‘Libraria’, come definiva la collezione in suo possesso, potesse rispecchiare lo scibile delle conoscenze contemporanee. […] Una biblioteca non catalogata e archiviata altro non era però che una biblioteca morta. […] Utilizzando una metafora vegetale, era necessario uscire dalla confusa selva medievale per approdare ad un hortus dove forma e contenuti convivessero in armonica coesistenza”.
A Fernando Colombo si deve anche la stesura di numerosi cataloghi delle opere in suo possesso. Questi cataloghi sono oggi preziosi per studiare i suoi interessi per la cartografia, l’astronomia, la medicina, l’anatomia e le scienze della vita (in particolare per le piante e la loro coltivazione), oltre che per analizzare il suo interesse per l’organizzazione del sapere, di cui i libri erano testimonianza. A tale fine Colombo organizzò la propria collezione seguendo quattro cardini teorico-pratici: il nome degli autori, le diverse scienze (quelli che noi oggi chiameremmo ambiti scientifici), le materie (ovvero i soggetti) e le epitomi, intese come sintesi del contenuto dei testi che Colombo riteneva essenziali per acquisire una conoscenza approfondita su un determinato argomento. Colombo aveva a questo proposito compilato il Libro de los Epitomes (ritrovato da pochi anni a Copenaghen), in cui aveva conservato tali riassunti per favorire la ricerca dei volumi necessari, operazione che Colombo aveva cercato di facilitare anche elaborando un complesso e personale sistema di biblioglifi (basati su segni e simboli) da applicare ai libri, così da identificarne celermente i contenuti, le dimensioni e il numero di pagine dei volumi. Colombo cercava quindi di costruire una vera e propria rete di contenuti tra i libri della biblioteca. In questo potrebbe essere stato favorito dalla sua esperienza di cartografo, perché catalogazione e cartografia hanno, come evidenziato da Josè Maria Perez Fernandez e Edward Wilson-Lee nel libro Hernando Colon’s New World of Books (Yale University Press, 2021), comuni principi epistemologici, perché devono entrambe correlare conoscenza e spazio, al fine di orientare chi usa la mappa/catalogo e fornire una conoscenza il più possibile completa del mondo noto.
Secondo una recente ipotesi formulata da José Maria Perez Fernandez ed Edward Wilson-Lee, Fernando avrebbe in un certo senso riproposto un modello appreso dal padre e dallo zio andando a costruire una mappa che avrebbe orientato l’uomo non tra i continenti, ma nella conoscenza. Fernando aveva, infatti, collaborato a costruire mappe verso le terrae novae per futuri viaggi e viaggiatori e da questo sarebbe derivato anche il ricorso a simboli e segnature per identificare i contenuti di ciascun volume.
Il catalogo dei libri di Fernando evidenzia, inoltre, la presenza di numerosi volumi dedicati ad agronomia e botanica e questo aspetto è particolarmente interessante perché, dopo una fase in cui il panorama editoriale naturalistico aveva continuato a rispecchiare conoscenze classiche obsolete, la conoscenza botanica si era progressivamente allargata grazie all’arrivo di specie esotiche dal nuovo mondo. All’inizio del Cinquecento, inoltre, le piante uscivano dagli horti conclusi divenendo oggetti di studio andando così a configurare in modo sempre più consolidato la botanica come disciplina scientifica autonoma. Nella collezione di Colombo trovarono spazio infine numerosi erbari a stampa, molti dei quali erano arricchiti da tavole xilografate, che rispondevano probabilmente anche al suo gusto per le incisioni classiche.
Rileggere l’utopico progetto di Fernando Colombo di raccogliere una biblioteca universale è un’occasione preziosa anche per pensare alla possibilità che le digital humanities hanno oggi di rendere fruibili un elevato numero di opere dell’intelletto umano e per riflettere sul perché in modo ricorrente rimaniamo fatalmente affascinati da questo incrollabile, ma effimero, mito.
I primi mattoni per questo utopico progetto furono gettati già a partire dagli anni Settanta del Novecento, quando le biblioteche digitali erano ancora un sogno pressoché irrealizzabile anche per difficoltà tecnologiche, con il Project Gutenberg nato per iniziativa di Michael Hart con la digitalizzazione del primo e-book della storia, la U.S. Declaration of Indepencence. Un’iniziativa simile è stata realizzata successivamente con il progetto The Internet Archive, nato nel 1996 come biblioteca del Web, con lo scopo iniziale di preservare le “immagini” delle pagine internet del passato. La recente entrata in questo settore di Google®, testimonia ulteriormente come il concetto di biblioteca universale non abbia ancora smesso di esercitare la propria influenza, tanto sull’iniziativa pubblica quanto su quella privata.
Al termine della lettura di Ritratti, libri, giardini si ha quasi l’impressione che sia l’umanista ritratto da Sebastiano del Piombo a osservare noi, quasi a scrutare la nostra capacità di usare questi nuovi strumenti per alimentare i percorsi del conoscere, offrendo panoramiche più vaste e prospettive dapprima impensabili, senza lasciarsi catturare dall’illusione di poterle finalmente esplorare.
In un momento storico in cui in modo sempre più ricorrente si parla del fallimento delle società moderne e dell’avvento di un nuovo medioevo (si pensi all’omonimo libro del filosofo russo Nikolaj Aleksandrovič Berdjaev), il libro di Lucia Tongiorgi Tomasi ci aiuta a ricordare quella stagione complessa, ma straordinariamente feconda, che è stato il Rinascimento, nella speranza che, come riporta l’iscrizione tombale di Fernando Colombo, archivi e biblioteche tornino presto a essere viste e conservate come fonti di così tante conoscenze da essere paragonate alla fonte Castalia, dalla quale traevano ispirazione i poeti classici.
Mauro Mandrioli
Dipartimento di Scienze della Vita, Università di Modena e Reggio Emilia