Dal cielo delle regolarità al cielo dell’eccezionalità: i mostri celesti
di Ulisse Aldrovandi

Eugenio Bertozzi

Dipartimento di Fisica e Astronomia “Augusto Righi”, Università di Bologna

Sistema Museale di Ateneo, Università di Bologna

/ Abstract

I mostri celesti sono l’oggetto della trattazione sviluppata nell’ultimo capitolo del celebre volume Monstrorum Historia di Ulisse Aldrovandi, pubblicato nel 1642, a quasi quarant’anni dalla morte dello scienziato. Mostri celesti per antonomasia sono le comete, alle quali verrà dato particolare spazio nel presente articolo. L’analisi sviluppata permetterà di trarre conclusioni in merito al tema dell’illustrazione scientifica, introdotta nel testo aldrovandiano come strumento di valorizzazione dei testi antichi, greci e romani. Inoltre, un confronto tra alcuni passi della Monstrorum Historia e la celebre opera Sidereus Nuncius pubblicata da Galileo Galilei nel 1610, permetterà di evidenziare come ad appena nove anni dalla condanna di Galileo Galilei nel 1633, elementi simbolo della rivoluzione scientifica quali il cannocchiale, venivano integrati dai successori di Aldrovandi al fine di aggiornare costantemente l’opera. L’analisi che si propone mostra inoltre come nella prima metà del Seicento, il cielo – già trasformato in laboratorio di osservazione privilegiato nella transizione verso la scienza moderna da scienziati quali Copernico, Kepler e Galilei – poteva ancora essere scrutato con altri intenti, in cerca di fenomeni rari ed eccezionali, i mostri.

Celestial monsters are the subject of the last chapter of Ulisse Alrdovandi’s Monstrorum Historia, a volume published in 1642, almost forty years after naturalist’s death. This work will focus particular attention on comets, the celestial monster par excellence. The analysis that follows will highlight the role of scientific illustrations, which were valorized in Aldrovandi’s work by means of their connection to ancient Greek and Roman knowledge. Furthermore, a close comparison between key exemplars of Aldrovandi’s Monstrorum Historia and the well-known Sidereus Nuncius of Galileo Galilei published in 1610, will allow us to demonstrate how, barely nine years after Galileo’s sentencing in 1633, iconographic elements of the Scientific Revolution – such as the telescope – were integrated by Aldrovandi’s successors with the aim of constantly updating that work. The present analysis argues, moreover, that during the first half of the seventeenth century, the sky – already transformed into a laboratory of privileged observation in a period of transition towards modern science by figures like Copernicus, Kepler, and Galileo – could still be scrutinized alternative aims, in search of rare and exceptional phenomena: monsters.

/ Keywords

Monstrorum Historia; Celestial prodigies and wonders; Comets, History of physics and astronomy; Sidereus Nuncius.

© Eugenio Bertozzi, 2023 / Doi: 10.30682/aldro2301b
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1. Introduzione

La Monstrorum Historia è forse l’opera più peculiare tra i volumi della celebre Historia Naturalis di Ulisse Aldrovandi (Bologna, 1522–1605). Pubblicata nel 1642, quasi quarant’anni dopo la morte dello scienziato, a cura del botanico, medico e naturalista italiano Bartolomeo Ambrosini, l’opera fa parte dei volumi pubblicati dai custodi e depositari dell’eredità del naturalista bolognese, i quali, per oltre mezzo secolo, annotarono, editarono e ampliarono tutto il materiale abbozzato in vita dallo scienziato, al fine di portare a compimento il progetto enciclopedico aldrovandiano [§2].1 Tra i volumi che materializzano il sogno di realizzare un’indagine complessiva sul mondo naturale – e che sono dedicati ad esempio ai temi dell’ornitologia, della botanica, della geologia – la Monstrorum Historia si distingue per la volontà di affrontare il tema dell’eccezione alla regola di natura, dell’incontro con l’inconsueto o mostruosità e per volerlo fare in termini universali, rintracciando la varietà delle creature mostruose sia nel mondo naturale e osservato che quello mitologico e immaginato. Nonostante l’ampiezza degli studi aldrovandiani, non esistono studi specifici dedicati alla particolare tipologia di mostruosità considerata nel presente articolo, ovvero i mostri celesti, che vengono discussi nel Capitolo XIII, l’ultimo della Monstrorum Historia. Come si mostrerà, tali mostri celesti, qualora messi in relazione al momento storico in cui l’opera viene pubblicata, rivelano “un altro cielo” rispetto a quello che ci si potrebbe aspettare dalla storia canonica dell’astronomia e della fisica. Come è ben noto, infatti, la seconda metà del Cinquecento e la prima metà del Seicento assistettero al caratterizzarsi della scienza nei suoi attributi moderni, sia dal punto di vista sperimentale che da quello teorico. In questo quadro, il cielo costituiva un laboratorio fondamentale per l’esercizio delle nuove metodologie: grandi cambiamenti venivano introdotti nell’astronomia osservativa dall’uso del cannocchiale da parte di Galileo Galilei e altrettante novità emergevano sul piano dei modelli teorici con il sistema eliocentrico copernicano, poi raffinato da Johannes Kepler. Eppure di tale cruciale passaggio, noto come rivoluzione astronomica, non si trova quasi traccia nel capitolo aldrovandiano, ove il cielo viene osservato secondo altri criteri. La trattazione restituisce un cielo che non viene indagato in quanto sede di moti celesti, i quali – sofisticati e regolari – presentavano caratteristiche di continuità che permettevano di analizzarli matematicamente; il cielo aldrovandiano è piuttosto scrutato come sede e teatro di fenomeni eccezionali dal carattere discontinuo, episodico e imprevedibile: i mostri celesti. Dopo una breve introduzione relativa alla gestazione dell’opera [§2], nella terza sezione del presente articolo si entrerà nello specifico della prospettiva aldrovandiana, illustrando le principali tipologie di fenomeni mostruosi e presentando le fonti usate dagli autori per la loro trattazione. In particolare, si mostrerà inoltre come esista una rosa di autori classici, di chiara predilezione aldrovandiana, che funge da riferimento costante per la trattazione dei contenuti [§3]. Mostri celesti per antonomasia sono le comete, la cui trattazione intreccia elementi che appartengono a epoche molto diverse nella storia: nella quarta sezione dell’articolo si mostra come, sullo sfondo di un’astronomia e di una fisica di stampo aristotelico, si innestano gli elementi moderni, quali le osservazioni di comete nel secondo Cinquecento e l’uso del cannocchiale galileiano agli inizi del Seicento, al fine di creare argomentazioni di contrasto e dibattito “tra” i classici ma mai “contro” i classici. A tal proposito, un confronto diretto tra il capitolo aldrovandiano e le osservazioni al cannocchiale riportate da Galileo Galilei nella celeberrima opera Sidereus Nuncius, pubblicata nel 1610, mostrerà come ci sia stato un effettivo tentativo di integrazione di tali elementi di estrema modernità in una visione scientifica profondamente legata al mondo degli Antichi. [§4]. Considerazioni finali verranno svolte nell’ultima sezione [§5].

2. La morte di Aldrovandi e la curatela dell’Eccellentissimo Studio

Un vero e proprio allestimento teatrale era stato preparato nella nobile camera di Ulisse Aldrovandi la sera del 10 novembre del 1603 quando lo scienziato, sentendosi più debole e stanco del solito, fece chiamare il notaio de’ Manzolini per disporre del suo testamento. La penombra all’ingresso veniva rischiarata da quattro lampadari, i quali dovevano illuminare lo scienziato disteso sul letto, mostrando allo stesso tempo che egli era non solo vivo ma lucido di mente.2 Di fronte al notaio, all’arcivescovo di Bologna Alfonso Paleotti, al Legato, a un rappresentante della famiglia e ad altri colleghi, Aldrovandi lascia al Reggimento di Bologna de’ cinquanta Senatori ciò che definisce il “mio caro tesoro” per il quale sostiene candidamente di aver speso tutte le entrate del tempo della vita, in viaggi e pagamenti di oggetti provenienti da varie parti d’Europa e in libri di ogni sorta di scienze. Non manca di menzionare i pittori, disegnatori e intagliatori mantenuti in casa sua per tanti anni e, da ultimo, quelle fatiche costate all’animo e alla persona. Nel testamento enumera anche le opere della sua biblioteca, che si compone di 360 manoscritti e di 3.800 libri, fra cui molte edizioni rare e pregevoli del Quattrocento e Cinquecento. Nel testamento, oltre alla donazione di reperti e ai libri, Aldrovandi imposta quello che forse è il primo piano museologico in termini moderni, illustrando come gli oggetti debbano essere collocati in spazi appositi fatti di sei sale luminose e classificati secondo la tassonomia da lui indicata. Oltre a donare, Aldrovandi chiede. Chiede che al museo sia assegnato un custode che doveva essere uomo di scienze, per poter studiare e apprezzare il materiale con cui lavorava, comprendere le esigenze di conservazione delle collezioni, e anche un professore, per essere in grado di interpretare e illustrare il museo ai frequentatori. In questo modo, Aldrovandi tracciava il profilo e introduceva nell’Europa della prima età moderna la figura del curatore museale. Allo stesso tempo, chiedeva al beneficiario di portare a compimento un’operazione di comunicazione scientifica colossale, proseguendo con la pubblicazione delle opere aldrovandiane inedite, specificandone diciassette, a costituire quella che sarebbe stata la Historia Naturalis. Di tale piano di pubblicazione intrapreso assai tardi, Aldrovandi riuscì infatti a curare l’edizione di solo sette pubblicazioni mentre era ancora in vita: Ornithologiae, in tre volumi (1599, 1600, 1603); De animalibus insectis (1602); De reliquis animalibus exanguibus (1605).

Dopo quarant’anni di studi, ricerche e didattica universitaria in cui aveva ricevuto sostegno per formare le sue collezioni e l’orto botanico, Aldrovandi lasciava dunque al Senato bolognese l’onore e la custodia del suo museo, forse pensando che la curatela dello Studio Aldrovandi (intesa come l’insieme di tutto il materiale, dei lavori in corso quali le visite al museo, ma anche degli intenti futuri) sarebbe stata ovvia. In realtà, studi specifici hanno mostrato come il trasferimento dei beni a Palazzo Pubblico avvenne solo nel 1617, un anno dopo la morte di Francesca Fontana, vedova di Aldrovandi.3 Durante quel lasso di tempo non risulta chiaro chi si sia occupato degli oggetti, se la vedova stessa o il primo custode del museo, allievo diretto di Aldrovandi, Giovanni Cornelio Uterverio. Comunque, a trasferimento avvenuto, le sei stanze chieste da Aldrovandi si materializzarono, divenendo il primo allestimento dello Studio Aldrovandi a Palazzo Pubblico. E tuttavia, a rimarcare l’idea aldrovandiana che un museo non è solo progetto ma soprattutto curatela, a partire dalla morte di Cornelio Uterverio nel 1622, l’allestimento scivola in condizioni di grande trascuratezza, il museo diviene deposito e rimane chiuso al pubblico dal 1622 al 1633. Solo nel 1634 il nuovo custode, Bartolomeo Ambrosini (Bologna, 1588 – Bologna, 3 febbraio 1657) informava il Senato di aver “finito d’accomodare il pubblico Museo in maniera, che è visitabile da qualsivoglia personaggio”.4 Botanico, medico e naturalista italiano, Bartolomeo Ambrosini divenne prefetto dell’orto botanico fondato da Aldrovandi a partire dal 1620, alla morte di Uterverio. Pertanto, anche se non allievo diretto, Ambrosini fu a pieno titolo erede e successore del patrimonio scientifico aldrovandiano, rivelandosi un personaggio fondamentale per la sua tutela e il compimento del progetto. Oltre alla salvaguardia del museo e dell’orto, infatti, Ambrosini di dedicò alla prosecuzione del progetto editoriale dettato da Aldrovandi e negli anni successivi diede alle stampe i volumi relativi ai quadrupedi digitati e alla storia di serpenti e draghi, rispettivamente nel 1637 e nel 1640. Solo nel 1642 riuscì a completare la Monstrorum historia cum Paralipomenis historiae omnium animalium nel cui frontespizio si legge che: “Bartolomeo Ambrosini, nella patria Università di Bologna professore ordinario di Botanica Medicinale, prefetto del Museo dell’illustrissimo Senato bolognese, nonché dell’Orto Botanico pubblico, ha curato il volume con fatica e impegno” (Fig. 1).


Fig. 1. Frontespizio della Monstrorum historia cum Paralipomenis historiae omnium animalium di Ulisse Aldrovandi, stampato a Bologna nel 1642 (Source: gallica.bnf.fr / BnF).

Alcune tracce di tale impegno che andò certamente oltre la semplice messa in forma o revisione degli appunti aldrovandiani sono state già individuate.5 Nella prefazione, ad esempio, l’editore, usando la terza persona, racconta che Ambrosini allestì l’opera a partire da un rudis foetus ovvero materia grezza e che ciò gli richiese un grande impegno. Coerentemente con tale impostazione, in molti passi del volume si fa riferimento ad Aldrovandi come all’excellentissumus Ulysses Aldrovandi, come se il testo riportato fosse oggettivamente il prodotto di una notevole trasformazione. Allo stesso tempo, in molti passi del volume si trovano opinioni espresse usando la prima persona, generando incertezza su chi dei due sia la voce parlante e dando l’idea che il passaggio sia riportato direttamente dagli appunti manoscritti di Aldrovandi stesso. Altri elementi interessanti emergono sul piano della gestione del materiale e sulla corposità delle sezioni. Il capo primo De Hominecon la sua estensione di 318 pagine su 748 complessive – ha fatto sorgere il dubbio che Ambrosini abbia collocato qui il materiale del corpus Aldrovandiano riguardante l’essere umano, anche alla luce del fatto che tra le opere della Naturalis Historia non ve n’è una di stampo antropologico. Si trovano in questa sezione informazioni sulla mitologia, la storia, gli usi e i costumi degli uomini, le loro malattie, il cibo, i proverbi, sfiorando temi che rivelano poca attinenza con i mostri. L’estensione del capo primo caratterizza quindi la Monstrorum Historia come un’opera centrata sui mostri umani, o quantomeno antropomorfi. Tuttavia, ciò non impedisce ad Ambrosini l’inserimento di digressioni su tutto il mondo animale, nonché su quello vegetale e celeste, al fine di salvaguardare l’intento enciclopedico. Il capitolo XIII della Monstrorum Historia dedicato ai mostri celesti – con la sua lunghezza di 32 pagine [716–748] – va pertanto visto come una sorta di appendice di completamento la quale, tramite l’apertura celeste, chiude l’intera opera.

Tuttavia, come si vuole mostrare con il presente contributo, tale appendice si mostra interessante. In primo luogo, perché permette di entrare nel merito di quel lavoro di continuo aggiornamento protrattosi fino a poco prima della pubblicazione. Il caso dell’inclusione del cannocchiale galileiano, elemento cronologicamente successivo alla morte di Aldrovandi, è certamente emblematico in questo senso. Nella sezione dedicata, un focus sullo strumento galileiano permetterà di osservare come tale aggiornamento non consista in una semplice “inclusione” del materiale galileiano nell’opera aldrovandiana, ma piuttosto di un “adattamento” dei risultati dello scienziato pisano agli intenti dell’opera del naturalista bolognese. In secondo luogo, il capitolo sui mostri celesti rivela una serie di elementi contemporanei ad Aldrovandi, che potrebbero provenire dagli appunti dello scienziato, come ad esempio alcune osservazioni di comete da parte del medico, astronomo e astrologo fiammingo Cornelius Gemma (1535–1578). Nella sezione dedicata, si mostrerà come nel riportare tali osservazioni, il capitolo aldrovandiano accosti elementi quantitativi di stampo moderno, come le coordinate di posizione dell’astro, con elementi descrittivi puramente qualitativi.

L’analisi qui svolta si concentra solamente sulla fonte pubblica, ovvero il testo a stampa. Qualora tale analisi venga estesa con l’analisi delle fonti private, in particolare i manoscritti aldrovandiani, si potranno raccogliere ulteriori elementi al fine di distinguere cioè che effettivamente può essere attribuito ad Aldrovandi stesso e ciò che effettivamente proviene da autori successivi.

3. Dal cielo delle regolarità a quello delle eccezionalità: il cielo
della Monstrorum Historia

Nei trentasette anni che intercorrono tra la morte di Aldrovandi (1605) e la pubblicazione della Monstrorum Historia (1642), l’Europa attraversava un passaggio di importanza cruciale per la caratterizzazione della scienza in termini moderni. Aldrovandi non poté vederne che le fasi iniziali ma i suoi successori, come si mostrerà, mostrarono di averne piena coscienza. Quattro anni prima della pubblicazione del volume aldrovandiano, infatti, Galileo Galilei dava alle stampe i Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze attenenti alla meccanica e i movimenti locali, pubblicato nel 1638 dall’editore Ludovico Elzeviro nella città di Leida. Tale trattato, che raccoglie le esperienze sulla meccanica sviluppate nell’arco dell’intera vita dello scienziato, tra cui i celebri esperimenti con il piano inclinato, viene a buon diritto indicato come il testo fondativo della fisica moderna sul piano metodologico e il compimento di una rivoluzione cominciata quasi un secolo prima. Nel 1543 infatti, la pubblicazione del De revolutionibus orbium coelestium da parte dell’astronomo polacco Niccolò Copernico aveva posto i semi di una potenziale rivoluzione astronomica che non avrebbe tardato a manifestarsi. Tra la fine del Cinquecento e gli inizi del Seicento, il sistema eliocentrico copernicano era stato oggetto di un’attenta lavorazione da parte dell’astronomo tedesco Johannes Kepler, il quale aveva avuto il privilegio di confrontare tale modello, elaborato sulla base di dati osservativi provenienti dagli antichi con i nuovi dati acquisiti nella prima campagna osservativa di stampo moderno condotta dall’astronomo danese Tycho Brahe presso l’osservatorio di Uraniborg, sull’isola di Hven. Sebbene acquisiti con strumenti osservativi pre-galileiani che non prevedevano l’uso di cannocchiali e telescopi, i dati di Brahe erano risultati sufficienti a Kepler per concludere che le orbite dei corpi celesti non fossero di forma circolare, come previsto da Tolomeo e da Copernico stesso, ma dovessero essere di forma ellittica e che il Sole non dovesse occupare il centro delle orbite ma uno dei fuochi delle ellissi. Le prime due leggi che illustrano tale nuovo meccanismo celeste venivano enunciate da Kepler nel 1609 nel trattato Astronomia Nova, la terza nel 1619 nel trattato Harmonices Mundi. Intanto, Galileo Galilei sviluppava i suoi studi astronomici. Dapprima nel 1610, con la pubblicazione del noto trattato Sidereus Nuncius nel quale illustrava al mondo un’indagine del cielo per la prima volta condotta tramite un apparato appositamente messo a punto e che ora assumeva lo status di strumento scientifico, il cannocchiale. Le montagne sulla superficie della Luna, le lune di Giove e la risoluzione della Via Lattea e delle nebulose in singole stelle, aprivano all’astronomia osservativa un nuovo scenario di possibilità e facevano di Galilei uno dei più assidui sostenitori della teoria eliocentrica. Successivamente, con Il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo pubblicato a Firenze nel 1632, Galilei non solo entrava nel pieno del conflitto con la Chiesa cattolica circa l’interpretazione delle Scritture ma introduceva principi fisici tutt’oggi fondativi – quali il principio di inerzia o il principio di relatività – come prove meccaniche a favore della tesi astronomica copernicana. Il modello eliocentrico copernicano, rivisto in chiave kepleriana e supportato dalle osservazioni e argomentazioni fisiche galileiane, rappresenta il culmine dell’astronomia della prima età moderna. Nella seconda metà del Seicento, con il trattato Philosophiae Naturalis Principia Mathematica, il fisico inglese Isaac Newton avrebbe mostrato come questa lettura cinematica del moto potesse essere la base per una lettura dinamica dello stesso, elaborata sul concetto di forza e inquadrata in termini di gravitazione universale.

Eppure, come si è accennato sopra, tali cruciali passaggi non costituiscono il centro dell’interesse del capitolo aldrovandiano sebbene anche in questo caso l’ambiente di osservazione sia comunque il cielo. I modelli astronomici, infatti, siano essi antichi o moderni, venivano costruiti sulla base di osservazioni di fenomeni i quali, per quanto sofisticati potessero essere, presentavano caratteristiche di regolarità e continuità, come ad esempio il moto retrogrado dei pianeti, la precessione degli equinozi o il diverso tempo di percorrenza dei bracci dell’eclittica da parte del Sole. Tuttavia, questo repertorio non esaurisce la varietà delle fenomenologie celesti. A riguardo, il capitolo aldrovandiano mostra come in quello stesso cielo esistano intere classi di eventi ascrivibili alle categorie dell’eccezionalità, dell’imprevedibilità e della discontinuità: essi sono ad esempio pareli solari, comete ed eclissi. Tali eccezionalità, che prendono il nome di mostri, suscitano altri interrogativi e richiedono altri criteri di analisi. Ci si chiede se sia possibile classificarle in qualche modo, ci si chiede quale sia il meccanismo di formazione, quale sia il loro significato. Tra i mostri celesti, spiccano le comete, sulle quali si concentrerà il presente articolo. Sin dalla prima formulazione del loro meccanismo di formazione fornita da Aristotele, secondo cui la cometa veniva generata da esalazioni terrestri capaci di creare sconvolgimenti meteorologici quali terremoti o maremoti, alla concomitanza sottolineata da Plinio il Vecchio tra la loro apparizione e lo scatenarsi di disordini civili o alle predizioni di Seneca, il quale prediceva che un giorno qualcuno avrebbe mostrano in quali regioni le comete hanno la loro orbita, le comete sono sempre state non solo un corpo celeste da osservare, ma anche fenomeno eccezionale da scrutare nel suo significato.

Recenti studi sulla storia della scienza cometaria hanno mostrato come, anche alla fine Seicento, la lettura newtoniana di tali fenomeni in termini periodici, che li vede come corpi celesti su cui agisce la forza di gravità, non cancellava la percezione di quegli stessi fenomeni come portatori di cambiamenti e sconvolgimenti o come strumenti tramite i quali Dio stesso esercitava la sua azione. Prima che le letture prodigiose venissero declassate nell’ambito delle “volgari superstizioni” c’è stato un lungo momento, che trovò il suo apice nel Cinquecento e nel Seicento, dunque durante il quale all’interno del lavoro degli stessi astronomi, elementi di natura prettamente moderna coesistevano con altri che sarebbe stati, di lì a breve, liquidati come atavici e pre-scientifici.6 Il capitolo aldrovandiano offre uno scorcio su tale periodo di coesistenza tra la nascente osservazione scientifica e le antiche letture prodigiose.

Che sullo sfondo di tale coesistenza si svolgesse la rivoluzione scientifica non deve far pensare a un processo immediato. Studi sulla storia dell’accettazione del sistema copernicano illustrano il complesso processo di adozione del nuovo sistema da parte degli astronomi. Il dibattito sul tema ha visto fiorire studi i quali, mediante il censimento delle copie sopravvissute del De Revolutionibus, pubblicato nel 1543, mirano a mostrare che il libro di Copernico fu effettivamente letto e commentato dagli astronomi del Cinquecento i quali accolsero l’eliminazione dell’equante di origine tolemaica come una innovazione.7 D’altra parte, l’apprezzamento verso le innovazioni matematiche introdotte (diminuzione degli epicicli e deferenti e rimozione del punto equante), non coincideva con l’accettazione della nuova cosmologia: presso l’ateneo di Wittenberg, che dopo la presa di posizione di Lutero a sfavore del sistema copernicano divenne uno dei maggiori centri di studio del lavoro di Copernico, pare che fosse Retico il solo ad accettare l’idea eliocentrica. Lo stesso Tycho Brahe, pur definendo Copernico un “secondo Tolomeo” non esitava ad introdurre il sistema ticonico che permetteva di mantenere il geocentrismo, coniugandolo con le rivoluzioni dei pianeti intorno al Sole. Tra i cattolici, il gesuita Cristoforo Clavio, che introdusse l’astronomia nel curriculum di studi gesuitico e fu tra i maggiori astronomi del Cinquecento e il principale astronomo per la riforma del calendario Gregoriano, adottava le innovazioni tecniche copernicane come utili strumenti di calcolo, pur mantenendosi fedele alla superiorità del modello cosmologico tolemaico. Fino alla presa di posizione di Galileo Galilei, pertanto, non ci fu conflitto tra Chiesa e sistema copernicano e la stessa condanna di Giordano Bruno non va interpretata alla luce della sua adesione al modello.8 Il Mysterium Cosmographicum pubblicato da Kepler nel 1596 fu il primo testo ad essere apertamente copernicano.9 Non stupisce pertanto che anche nella Monstrorum Historia, il modello di riferimento cosmologico sia quello aristotelico.

3.1 Struttura del capitolo e definizione di “mostro celeste”

Le varie tipologie di mostruosità celesti discusse nel capitolo aldrovandiano sono illustrate al lettore secondo criteri ben riconoscibili. A una introduzione generale su che cosa debba essere considerato “mostruosità celeste” seguono due sezioni, dedicate rispettivamente alle mostruosità animate – che nelle forme ricordano figure di animali quali leoni, cervi e aquile – e a quelle inanimate, tra le quali particolare enfasi viene data al fenomeno delle comete. La lunga sezione dedicata a tale tema, che sarà centrale per il presente articolo, occupa dieci pagine delle trentasei complessive (723–733 su 716–748) ed è incentrata sullo studio di tali oggetti dal punto di vista della loro possibile classificazione, della comprensione dei meccanismi di formazione e della loro collocazione nell’ordine celeste. Alla sezione sulle comete seguono altre due sezioni dedicate alle mostruosità inanimate: la prima dedicata ai fenomeni detti chasmata, oggi riconoscibili come aurore polari, la seconda alle mostruosità del Sole e della Luna, oggi riconoscibili come pareli.

3.2 Mostri celesti di vario tipo

Come rivelano studi recenti, i mostri celesti aldrovandiani si inscrivono nel quadro di una costante attenzione a mostri e prodigi, mirabilia di ogni forma e natura che comprendevano uova di struzzo e corni d’unicorno, sorgenti curative a tessuti rari, oggetti da esibire in spettacoli o da analizzare con cura. Tale attenzione, mossa da un senso acuto del reale, destata da reazioni di meraviglia e di timore di fronte all’inconsueto, era basata su un particolare tipo di curiosità la quale, per secoli inibita, si risvegliava proprio nel Cinquecento e trovava nelle scienze naturali il principale ambito di azione.10

Un esame attento del testo aldrovandiano rivela che la caratterizzazione di che cosa debba essere considerato mostruosità vada molto oltre la categoria della semplice eccezionalità. Ciò che risulta chiaro è invece il tentativo di definire tale mostruosità in modo più preciso, ponendola in relazione alle regolarità della natura e al possibile ruolo svolto dall’intervento divino. Il tentativo di definizione inoltre non prescinde mai dagli interrogativi circa l’origine del fenomeno (se sia esso generato nella regione sublunare o sopralunare) e dalle modalità di classificazione dello stesso. A questo proposito, il passaggio proposto di seguito riporta una distinzione tra le diverse forme di mostruosità nel mondo sopralunare. In tale regione esistono fenomeni definiti sublimi piuttosto che mostruosi, che consistono in vere e proprie deviazioni dalle regolarità della natura rese possibili dalla mano del “Divino Artefice” e la cui descrizione viene rintracciata in passi delle Scritture e della Patristica: esempi di tali fenomeni sono ad esempio l’eclissi di Sole avvenuta durante la passione di Cristo la quale, avvenendo la Pasqua ebraica in prossimità di un plenilunio, non risulta spiegabile come sola conseguenza delle leggi naturali. Altri fenomeni di eclisse, i quali sono invece perfettamente spiegabili secondo le regolarità della natura e non necessitano di alcun intervento esterno, vengono comunque annoverati tra i mostri in ragione della loro rarità. Una terza classe di fenomeni riguarda prodigi non perfettamente compresi per i quali il ruolo dell’intervento divino rimane ancora da chiarire, come nel caso dei pareli solari.

Si possono fare considerazioni sublimi – nel vero senso della parola – a proposito dei fenomeni del Sole, della Luna e delle stelle che appaiono agli uomini dalle regioni celesti. Ebbene, essi si distinguono in tre generi. Alcuni infatti si collocano al di sopra dell’ordine naturale, come le eclissi che non siano ricorrenti: una per tutte, quella che ebbe luogo durante la passione del nostro Salvatore, e che viene descritta da san Dionigi l’Areopagita in una lettera a un suo amico. Ancora, l’immobilità del Sole, di cui si narra nelle Sacre Scritture: quando Giosuè, dopo Mosè, era alla guida del popolo d’Israele, il Sole rimase fermo nel cielo a favore d’Israele che combatteva, invece di affrettarsi verso il tramonto nel suo arco diurno; così non vi fu mai – né prima né dopo – un giorno altrettanto lungo, poiché in quell’occasione il Signore assecondò l’invocazione di Giosuè. Altro caso simile è la nascita di una nuova stella, come quella che apparve ai re in Oriente per la Natività di nostro Signore Gesù Cristo. Altri fenomeni sono invece naturali, ma in ragione della loro rarità vengono collocati tra le cose mostruose e prodigiose: si tratta per esempio delle congiunzioni dei tre pianeti superiori, che si ripresentano solo a intervalli di trent’anni; oppure dei casi in cui, durante un’eclissi, viene oscurato l’intero diametro del Sole o della Luna, cosa che accade assai raramente. Infine, vi sono i fenomeni che godono di una considerazione a metà strada tra quella divina e quella naturale: per esempio qualora si vedano tre o più Soli o Lune; qualora appaiano vari circoli attorno alle stelle o ai corpi luminosi; infine qualora i predetti corpi vengano visti perdere la loro luminosità, o essere deturpati da colori anomali.11

Se nel mondo sopralunare l’eccezione può avere sia origine divina che naturale, nel mondo sublunare è invece la seconda origine a prevalere. Nel mondo terrestre, la causa naturale non consiste in particolari configurazioni delle sfere celesti, quanto in certi tipi di esalazioni che provengono dalla Terra e interagiscono con l’atmosfera. Per questo motivo, nel seguente estratto si chiarisce come nella regione sublunare non sia la competenza e l’interesse dell’astronomo a essere necessaria, ma piuttosto quella del fisico, o meglio, del meteorologo.

Seguendo l’ordine stabilito al principio di questo studio, è per noi d’uopo rivolgere l’attenzione a quei fenomeni che avvengono nelle fasce più alte del mondo, al di fuori della consueta legge della natura: in ragione del luogo, essi vengono quindi chiamati mostri celesti, intendendo qui il termine cielo in senso lato. Al riguardo, bisogna notare che vi è un mondo superiore, consistente in moltissime sfere, la quali si muovono soltanto di moto circolare, e in prossimità vi sono gli elementi dai quali è composto questo mondo inferiore, o sublunare, cioè fuoco, aria, acqua e terra. Le sedi e le collocazioni di questi elementi hanno una disposizione reciproca tale per cui alla natura celeste segue il fuoco, a questo segue l’aria, poi viene l’acqua e infine la terra. Così da questi quattro elementi, che costituiscono il mondo inferiore, talvolta prendendo origine certi fenomeni meteorologici, i quali, poiché non accadono di frequente, vengono indicati come mostri e, poiché sono generati nelle sfere più alte, vengono definiti celesti. Ciò nonostante, questa definizione abbraccia poi anche cose genericamente mai viste prima, pur non osservate in ambito astronomico. […] Qui noi dobbiamo infatti vestire, in qualche modo, i panni di quel filosofo che gli antichi definivano meteorologo, il cui compito è contemplare le cose che vengono a esistenza nella fascia superiore del mondo sublunare, per esempio la pioggia, la rugiada, la brina, la grandine. Queste però, poiché si ripresentano a intervalli in modo ciclico, non vanno sotto il nome di mostri, di conseguenza non sono pertinenti alla nostra trattazione. Per questa ragione, saliremo più in alto, alle manifestazioni di natura ignea, cioè le comete, le stelle volanti, le colonne di fuoco, le meteore e le piramidi lucenti, non che’ gli altri simulacri di creature che appaiono nell’aria o tra le nubi celesti: questi fenomeni, dal momento che non accadono frequentemente, possono essere chiamati mostri o portenti.12

Nel mondo sublunare fatto dalle sfere della terra, dell’acqua, dell’aria e del fuoco si manifesta pertanto tutta una serie fenomeni meteorologici quali la pioggia, la rugiada, la brina o la grandine, i quali, ripresentandosi in modo ciclico e con regolarità, non vengono riconosciuti come mostruosi. Oltre a questi, esistono mostruosità di origine meteorologica, che si distinguono dalle mostruosità astronomiche come ad esempio le eclissi, per essere generate dalle esalazioni della Terra e non dalle configurazioni dei pianeti: seguendo Aristotele, Aldrovandi annovera tra queste le comete.

4. Il mostro celeste per antonomasia: le comete, tra classificazione
ed osservazione

La spiegazione fisica più completa relativa al meccanismo di formazione delle comete riportata nella Monstrorum Historia è la ben nota spiegazione di stampo aristotelico ricondotta all’esistenza di esalazioni emesse dalla Terra, l’una più umida e pesante, l’altra più secca e leggera. La prima, giunta alla sfera dell’aria tende a permanere in tale regione e produrre numerose manifestazioni sia ordinarie che mostruose; l’altra più secca e leggera, può essere capace di attraversare interamente la sfera dell’aria e, giunta alla sfera del Fuoco, si infiamma dando origine al fenomeno cometario.

Affinché l’intelletto umano possa essere reso incline e capace di formare immagini di questo genere, è necessario notare che, secondo la mente dei filosofi, e specialmente di Aristotele, nei libri di Meteorologia, dai corpi terreni e acquosi, un doppio respiro è costantemente portato in alto dalla potenza del Sole; ad uno dei quali è dato il nome di vapore, perché esce dalle parti umide della terra; a un altro, i filosofi hanno assegnato il nome di esalazione, perché è più sottile, ed emerge dalle parti più aride della terra. La prima di queste esalazioni, quindi, siccome più pesante e più umida, occupa il posto più interno nell’aria e più vicino alla terra; ma la seconda, perché è di una sostanza più calda e più secca, richiede un posto più alto e la terza regione dell’aria. Poiché ciò che è più caldo e secco tra i corpi lo chiamiamo fuoco il cui luogo principale si trova al di sotto dalle sfere celesti. Ma non appena possiede umidità combinata al calore, e per questo motivo è di peso maggiore come il vapore, non può innalzarsi al sopra del suo sito, e permane per un poco all’interno del fuoco ed è chiamato elemento atmosferico.13

Sebbene in modo implicito e sbrigativo, il testo aldrovandiano accenna non solo alle due qualità che caratterizzano le esalazioni terrestri (umidità e secchezza) ma anche alle tre regioni nelle quali veniva suddivisa la sfera dell’Aria nel modello aristotelico, le quali venivano raggiunte e attraversate diversamente dalle esalazioni. Vapori umidi e pesanti, giunti alla prima sfera dell’aria originavano rugiada e brina ma anche i primi fenomeni mostruosi di natura ignea, come fiammelle somiglianti a piccole candele o torce accese. Gli antichi annoveravano tra questa tipologia di fuochi quello detto “stella Elena”, che si osservava aleggiare di notte in forma di minuscole luci sulle imbarcazioni e sulle spalle dei marinai e si riteneva generato dalle esalazioni del sudore o di quella materia “crassa” che si trova all’interno delle navi. Esalazioni terrestri meno umide raggiungevano invece la seconda sfera dell’aria originando stelle cadenti o quello spargimento di faville infuocate che Aristotele aveva definito “capre saltanti” e che Aldrovandi annovera tra i mostri celesti di forma animata. Questa seconda regione, inoltre, risultava essere il serbatoio delle manifestazioni meteorologiche, cicliche e non mostruose, più frequenti: nuvole, piogge, lampi, tuoni, saette, arcobaleno. La terza regione dell’aria infine era quella alla quale giungevano infiammandosi le evaporazioni calde e secche, mentre le umide non salivano oltre la prima e la seconda. In questa terza regione le comete si formavano e si dissolvevano, assumendo le forme più diversificate: tizzoni, travi di fuoco, piramidi, voragini, insieme a immagini dalle fisionomie antropomorfe.14

La classificazione delle forme nelle quali le comete parevano manifestarsi costituisce una tematica portante del capitolo aldrovandiano così come il dibattito sulla loro: sebbene infatti la visione meteorologica in termini di esalazioni sia stata quella generalmente seguita dagli antichi e successivamente accettata dagli arabi durante il Medio Evo, non sono mancate nell’antichità visioni diverse.15 Secondo queste ultime, la somiglianza della luce emessa dalla coda della cometa con la luce emessa dalla Via Lattea, suggeriva un’origine astronomica delle comete, che dovevano considerarsi il prodotto delle esalazioni emesse dalla convergenza di pianeti e corpi celesti. Se Aristotele è tradizionalmente associato alla prima visione, Anassagora e Democrito vengono associati alla seconda. Entrambe queste tematiche verranno approfondite nella sezione seguente.

4.1 Le comete: la descrizione, classificazione e misura della distanza da Plinio
a Cornelius Gemma

Due grandi tavole riportate nel capitolo si riferiscono alla classificazione di comete in base alle loro forme (Fig 2).

Tale classificazione viene attribuita a Plinio il Vecchio e precisamente al secondo libro della sua Naturalis Historia. Un confronto con la fonte pliniana mostra come in quella sede lo storico romano effettivamente si diffonda in ampie discussioni su temi di natura astronomica quali la grandezza e la distanza delle stelle, della Luna e del Sole e l’esistenza dei prodigi celesti. In particolare, nella sezione “Delle Comete, & prodigi celesti, natura, sito, & sorte loro” si trovano descritte in prosa proprio quelle comete che vengono rappresentate nel capitolo aldrovandiano.16 Di esse si riporta la descrizione della forma insieme ad altre informazioni di carattere misto, tra cui il loro apparire in concomitanza di un certo evento storico. Tuttavia, mentre il testo pliniano non riporta figure, il testo aldrovandiano lo fa. E queste immagini sono particolari, poiché rappresentano l’informazione scientifica estratta dal testo in prosa e tradotto in linguaggio visuale. Così, laddove Plinio parla di “un’altra sorta di cometa fatta in foggia di corno, si come fu quella, quando i popoli della Grecia combatterono a Salamina” il testo aldrovandiano riporta la tipologia di cometa “cornuta”, terza della lista riportata in Figura 2. Altre tipologie di comete rese in immagini hanno forma di scudo, con crini o a pelo lungo, cornute, barbute, a forma di lancia, ensiformi o a forma di spada, solari (o a forma di botte), equine e lampadiformi. Non si omette inoltre di riportare ulteriori varianti ad alcune forme base quali la ensiforme e l’equina (Fig. 3).

Fig. 2. Nove differenti forme di comete. Aldrovandi, Monstrorum Historia (1642), 724 (Source: gallica.bnf.fr / BnF).

Fig. 3. Altre forme diverse di comete. Aldrovandi, Monstrorum Historia (1642), 726 (Source: gallica.bnf.fr / BnF).

Classificazioni di comete in parte simili a quella aldrovandiana, dove gli oggetti celesti sono rappresentati in forma di spada, torcia si ritrovano in opere di poco successive alla Monstrorum Historia, come la Description de l’univers di Alain Mallet del 1683 e la Cometographia di Johannes Hevelius del 1668. Recenti studi hanno evidenziato inoltre come, a differenza dei classici come Plinio o Tolomeo, gli autori seicenteschi come Cornelius Gemma fossero particolarmente inclini a leggere nella forma di una cometa il tipo di eventualità che si sarebbe manifestata: lo stesso Gemma non esitava ad enumerare regole generali secondo le quali la forma di colonna significava stabilità di un principe, di una grande santo o di una nazione mentre la spiccata luminosità, che rendeva la cometa simile ad un altro Sole, poteva significare la nascita di qualche grande principe. Se la forma piramidale preannunciava qualche grave perdita o l’avvicinarsi di una tirannide e il corno l’avvento di potere assoluto, la spada faceva presagire desolazione, causata dalla spada stessa.17

E pur tuttavia la classificazione secondo le forme, sebbene riportata da Plinio il quale è certamente uno dei riferimenti principali, non viene considerata definitiva e anzi viene messa in discussione. Si avanzano inoltre dubbi sulle forme di cometa descritte dagli arabi e sulle stesse forme riportate da Plinio, aggiungendo che, in fondo “le corna sono state osservate una sola volta” e che forse gli antichi confondevano la cometa stessa con la rimanente meteora infuocata. La questione delle forme si dirime ricorrendo al “più corretto e più pragmatico Aristotele” il quale ridusse tutta la varietà di figure a due sole categorie secondo le quali, i crini della cometa possono essere pronunciati in lunghezza o in larghezza generando comete “caudate” o “chiomate”. E a confutazione della rappresentazione per figure ma a sostegno della visione dicotomica di Aristotele, viene citata un’osservazione moderna, la cometa del 1588 osservata dal medico, astronomo e astrologo fiammingo Cornelius Gemma (1535–1578). Figlio del più famoso cartografo e costruttore di strumenti Gemma Frisius, Cornelius è tradizionalmente ricordato nella storia dell’astronomia per l’osservazione di due comete: la Stella Nova del 1572, osservata e resa celebre anche dall’astronomo danese Tycho Brahe, e la Grande Cometa del 1577.18 A partire da tali osservazioni, entrambi gli scienziati concludevano che la distanza delle comete dalla Terra dovesse essere ben maggiore della distanza della Terra dalla Luna: il fenomeno cometario dunque, corruttibile per costituzione vista la durata limitata e la luminosità variabile, andava annoverato tra i fenomeni celesti e diventava un primo, importante elemento importante per la confutazione delle tesi aristoteliche, che li vedeva come fenomeni sublunari e per l’affermazione della teoria eliocentrica di Copernico. Il capitolo aldrovandiano, oltre a tali famose comete, ne discute altre due, apparse rispettivamente nel 1558 e nel 1569, particolarmente funzionale alla classificazione minimalista proposta da Aristotele.

Comete a sostegno di Aristotele: le comete caudate del 1558 e del 1569

Nel testo aldrovandiano si riporta che l’astronomo Gemma, il giorno 17 agosto del 1558 all’ora del tramonto aveva osservato una cometa “circa duodecimum gradus Virginis, distabatque a cauda maioris Ursae, per spatium octo graduum supra viginti”.19 Un confronto con i resoconti astronomici dell’epoca mostra che esistono numerose fonti che attestano le osservazioni di tale cometa; tra queste la più autorevole è certamente la corrispondenza di Tycho Brahe raccolta nel Dani Epistolarum astronomicarum libri nel 1596. Brahe, in effetti, attribuisce a Gemma una prima osservazione della cometa del 1558 nella sera del 17 agosto e un’osservazione successiva, la sera del 20. In questa seconda osservazione, l’astronomo fiammingo avrebbe stimato la posizione dell’astro, localizzandolo in cielo a 30° 32’ dalla stella Arturo e a 28° 33’ dalla fine della coda della costellazione dell’Orsa Maggiore (numero quest’ultimo che coincide con quanto riportato nella Monstrorum Historia aldrovandiana).20 Inoltre, nel resoconto di Tycho Brahe si riporta ad esempio che la coda era estesa verso oriente e pertanto dalla parte opposta al Sole. Come avvenuto per il testo pliniano, anche in questo caso l’osservazione viene tradotta in termini visuali: nella Monstrorum Historia una tavola riporta l’immagine della forma della coda dalla cometa del 1558 e la distingue da quella del 1569 la cui coda ha forma diversa. Tali comete, inoltre, sono definite entrambe “saturnine” data la somiglianza nel colore e nella luminosità con il pianeta Saturno (Fig 4).

Estendendo il campo ad altre fonti cinquecentesche contemporanee all’osservazione della cometa, si trovano inoltre immagini della posizione della cometa nella regione celeste indicata (Fig 5).21

Fig. 4. Differenze tra le comete caudate del 1558 e del 1569, definite “saturnine”, riportate nella Monstrorum Historia (1642) di Ulisse Aldrovandi, 727 (Source: gallica.bnf.fr / BnF).

Fig. 5. Cometa del 1558 osservata tra la fine della coda della costellazione dell’Orsa Maggiore e la stella Arturo, osservate nell’agosto del 1558 e riportate nel frontespizio dell’opera di Paulus Fabricius, Oratio et carmen de Carolo V. Caesare mortuo. Gratulatio Ferdinando I. Augusto Caesari designato scripta. Descriptio cometae qui flagravit anno M.D.LVIII. Mense Augusto (Source: Google Books).

La sezione dedicata alle due comete si conclude mostrando come nel testo aldrovandiano ad elementi moderni e quantitativi nella descrizione della cometa, si accostino elementi qualitativi di tutt’altra natura. A proposito della cometa del 1569, si legge in fatti: “Stabat in Occasu moesta et lugubri facie, nimirum naturae saturninae et caudam versus orientalem plagam porrigebat, sed diu non fuit conspectus, nam, pluvia superveniente, ante diem septimam evanuit”. Nel testo, si descrive pertanto come al tramonto la cometa se ne stesse in cielo con un’espressione triste e mesta, tipica della natura di Saturno e come questa estendesse la sua coda verso est; si aggiunge inoltre che essa non rimase visibile per molto tempo in quanto, quando la pioggia venne, essa svanì prima del settimo giorno. Il tono del linguaggio usato e la proiezione antropomorfa utilizzata evidentemente si discostano e creano una certa dissonanza con le precise misure di posizione riportate nelle righe precedenti, misure che, nell’Ottocento, verranno utilizzate dagli astronomi per i calcoli delle orbite di tali comete.22

Comete a confutazione di Aristotele: la cometa del 1572

Come anticipato, le osservazioni moderne di comete non sono citate nel testo esclusivamente come prove a favore delle tesi aristoteliche, ma anche come elementi di confutazione. È questo il caso della cometa del 1572, descritta da Gemma nel rarissimo pamphlet Stella Peregrina che veniva pubblicato e diffuso in Europa mentre la cometa era ancora visibile; successivamente, nel 1575, Gemma ripresa ed ampliò le conclusioni tratte dall’osservazione di tale cometa nel trattato De naturae divinis characterismis, dove la cometa viene citata implicitamente.23 Nel primo lavoro, Gemma si sofferma sulla posizione in cielo di tale nuova stella, così chiamata perché non presenta la coda: essa si presenta in posizione opposta ad una delle due “V” accostate che formano la costellazione di Cassiopea (la cui forma ricorda la lettera “W”) andando a formare un rombo quasi perfetto. Interpretando i vertici della nuova figura geometrica che si era venuta a creare come gli estremi di una croce, Gemma interpreta l’evento in senso religioso ed escatologico come simbolo della passione di Cristo. Sempre nel primo lavoro, mentre sottolinea che la luce di tale cometa pareva essere comparabile a quella di Giove o Marte, Gemma sottolinea che essa non poteva essere considerata un pianeta viste le variazioni di luminosità che presentava. Nel secondo lavoro, l’astronomo fiammingo affronta la questione della parallasse, solo vagamente accennata precedentemente, rivelando la scoperta dell’assenza di questo effetto e sottolineando che tale assenza porta a concludere che la nuova stella osservata si collocava oltre la sfera di Saturno, ad una distanza comparabile a quella delle stelle fisse o addirittura maggiore.24 Tali considerazioni sono effettivamente riportate nel capitolo aldrovandiano, come si vede dal passaggio successivo dove la collocazione celeste del nuovo oggetto osservato viene commentata come elemento a favore di visioni alternative a quella aristotelica circa la generazione delle comete:

Finora ci siamo occupati delle differenze e della generazione delle Comete, secondo l’opinione di Aristotele e la mente di altri filosofi. Occorre ora riportare l’opinione degli altri filosofi antichi, quali Anassagora e Democrito i quali dissero che le comete si generavano dall’unione dei cinque pianeti, oltre che del Sole e della Luna. Poiché se quelle cinque stelle erranti, per puro caso di fortuna s’incontrano e si toccano, essi producono l’immagine di una stella sola, il cui fulgore poi si diffonde più lontano tramite un raggio di luce che si proietta in avanti. […] Cornelius Gemma ritiene che il luogo di generazione delle comete sia la parte più nobile dell’Universo e non pensa che esse possano saltarvici dopo essere state generate nel mondo corruttibile. Questo fu chiaro nel caso di quella cometa particolarmente brillante, apparsa nell’anno 1572, nel mese di novembre, nella costellazione di Cassiopea, che superò Giove nelle dimensioni, pur essendone simile in forma e lucentezza: si trovava nel lembo a più a Nord della Galassia, in una posizione tale che, insieme alla seconda, quarta e dodicesima stella di Cassiopea, di magnitudine tre, formava un rombo perfetto. L’osservazione di questa cometa portò la maggior parte degli studiosi a concludere che le comete non potessero trovarsi nella regione elementare, ovvero nella sede assegnata loro da Aristotele, ma che dovessero esistessero piuttosto nella regione eterea; essa infatti non aveva assolutamente moto proprio, e non si osservava alcuna parallasse. Questa nuova stella, balenata in cielo come una lira, apparsa all’improvviso con la massima luminosità, non mostrava chioma e brillò più a lungo di qualsiasi altra cometa per sedici mesi; poi, gradualmente si ridusse a nulla. La sua luminosità, rispetto alle altre stelle, era da ammirare poiché superava Sirio, Procione, Giove e le altre stelle, sia fisse che erratiche, per luminosità e grandezza. Democrito e Anassagora, dunque, non si discostarono molto dalla verità quando ritenevano che le comete fossero certi assembramenti di stelle.25

Solo a questo punto, il cannocchiale galileiano viene introdotto come ulteriore elemento per animare il dibattito e dare credito alle teorie di Anassagora e Democrito e superare quelle di Aristotele.

4.2 Formazione ed osservazione: il cannocchiale nella Monstrorum Historia

Il breve passaggio dedicato al “tubo ottico” o cannocchiale galileiano costituisce l’elemento più interessante tra quelli certamente successivi alla morte di Ulisse Aldrovandi che si trovano trattati all’interno del capitolo. Come si mostrerà, tale passaggio non risulta affatto estraneo alla trattazione complessiva del fenomeno cometario, ma, anzi, viene piuttosto “integrato” e “adattato” in esso. E questo suona particolarmente strano visto che Galileo Galilei, nel Sidereus Nuncius, non tratta di comete, se non in un breve e ironico passaggio. Nelle prime pagine dell’opera infatti, le lune di Giove appena scoperte vengono dedicate al Granduca di Toscana Cosimo de’ Medici, lo scienziato pisano comincia con il lodare il tentativo degli uomini di tramandare ai posteri la memoria di uomini illustri tramite statue o monumenti, aggiungendo che inoltre alcuni, guardando “a cose più salde e durature consacrarono la fama eterna di uomini sommi non a marmi o metalli, ma alla custodia delle Muse e agli incorrotti monumenti delle lettere”.26 Avendo poi l’ingegno umano ben compreso che tutti i monumenti sono corruttibili, “scrutando il cielo affidò a quei noti eterni Globi di chiarissime Stelle i nomi di coloro che per opere egrege e quasi divine furono stimati degni di godere insieme agli Astri l’eternità”. Tuttavia, sottolinea il Nostro, non sempre questi tentativi andarono a buon fine: “nel loro numero invano la pietà di Augusto tentò di eleggere Cesare: infatti, volendo egli chiamare Astro Giulio la stella apparsa al tempo suo, di quelle che i Greci chiamano Comete, i Latini Crinite, quella scomparendo in breve tempo deluse la speranza”. È a questo punto che Galilei promette al Granduca la dedica delle quattro lune di Giove, astri che non svaniranno e che non si annoverano nel “numero gregario e meno insigne delle fisse, ma dell’ordine illustre dei Pianeti che con moto diverso, attorno a Giove nobilissima Stella, come progenie sua schietta, compiono l’orbita loro con celerità mirabile”.

Quanto al contenuto scientifico del Sidereus Nuncius è ben noto invece che tre sono le tipologie principali di osservazioni che vengono riportate, ciascuna con un differente livello di impatto distruttivo verso la cosmologia aristotelica. Dapprima le osservazioni di crateri e ombre sulla superficie della Luna, le quali occupano una vasta porzione dell’opera e che da sole bastano a minare la distinzione tra il mondo sublunare corruttibile e il mondo celeste incorruttibile. Da ultimo l’osservazione dell’esistenza e dei moti delle lune di Giove – vero “pezzo forte” del Sidereus Nuncius – la quale, pur non costituendo una prova definitiva del sistema eliocentrico dimostra tuttavia come esistano corpi celesti che non ruotano direttamente attorno alla Terra. Tra queste due sezioni dell’opera, lo scienziato pisano inserisce ulteriori osservazioni particolarmente utili per un confronto con il testo aldrovandiano. Esse sono relative alle stelle della volta celeste e sono essenzialmente di due tipi: alcune mostrano che regioni del cielo normalmente percepite come blocchi omogenei sono in realtà costituite da singole stelle, come nel caso della Via Lattea o delle Pleiadi. Altre osservazioni mostrano invece come oggetti celesti percepiti ad occhio nudo come un’unica stella sono in realtà formate da un insieme di stelle, come nel caso della nebulosa Presepe.

E poiché non soltanto nella GALASSIA si osserva quel candore latteo come di nube biancheggiante, ma numerose piccole aree di colore consimile splendono qua e là di fioca luce per l’etere, se si volge il cannocchiale in una qualsiasi di quelle ci s’imbatte in un denso ammasso di stelle. E inoltre (meraviglia ancor maggiore) gli astri chiamati finora dagli astronomi NEBULOSE son raggruppamenti di piccole stelle disseminate in modo mirabile: e mentre ciascuna di esse, per la sua piccolezza e cioè per la grandissima distanza da noi, sfugge alla nostra vista, dall’intrecciarsi dei loro raggi risulta quel candore, che finora è stato creduto una parte più densa del cielo, atta a riflettere i raggi delle stelle e del Sole.27

Quest’ultima categoria di osservazioni mostra che il cannocchiale oltre che ad attaccare i nuclei fondativi della filosofia aristotelica è uno strumento funzionale ad indagare nel dettaglio quella sfera delle stelle fisse, la quale esiste sia nel modello di Aristotele che in quello di Copernico, con la differenza che nel primo essa ruota di moto diurno mentre nel secondo è immobile. Ed è proprio quest’ultima funzione, la meno dirompente che viene esposta nel capitolo aldrovandiano, dove si ritrovano riportate, in modo veloce ma puntuale le osservazioni delle Pleiadi e della nebulosa Presepe riportate da Galilei nel Sidereus Nuncius.

Un confronto diretto tra testo aldrovandiano e testo galileiano relativo a tale osservazione mostra che, riguardo alle Pleiadi, lo scienziato pisano riporta l’osservazione di 36 stelle ulteriori rispetto alle 6 che normalmente si distinguono ad occhio nudo, sottolineando che tuttavia, sarebbero molte di più: “Nel secondo esempio disegnammo sei stelle del Toro dette PLEIADI (dico sei, perché la settima non appare quasi mai), ma chiuse nel cielo entro strettissimi limiti, cui altre invisibili (più di quaranta) sono vicine; delle quali nessuna si allontana più d’un semigrado da una delle sei maggiori: di queste disegnammo soltanto trentasei” (Fig. 6).

Nel testo aldrovandiano, il riferimento alle Pleiadi è brevemente richiamato asserendo che molti corpi luminosi sia stelle fisse che pianeti situati nel cielo sono stati osservate per mezzo di un cannocchiale e che “ciascuno potrà vederne a sua discrezione nelle Pleiadi per mezzo di un tubo ottico accuratamente fabbricato”.28

Riguardo invece alla nebulosa Presepe della costellazione del Cancro, circoscritta tra le due stelle dette Asinelli, lo scienziato pisano sottolinea come, sebbene essa sia percepita ad occhio nudo come un’unica stella, consista in realtà di un ammasso di stelle: “Il secondo, rappresenta la NEBULOSA chiamata PRESEPE, la quale non è solo una stella, ma una congerie di più che quaranta stelle: noi, oltre gli Asinelli, ne notammo trentasei, disposte nell’ordine seguente” (Fig. 6). Nel testo aldrovandiano, si ribadisce la percezione della nebulosa Presepe come un’unica stella che però non viene risolta in singole stelle, ma in cinque mucchietti delle stelle: “E ancora, nell’unica stella della nebulosa del Cancro, per mezzo di uno strumento adatto, si vedranno cinque colline di stelle costituite da luce opaca, con alcune stelle intermittenti”. Un terzo elemento comune tra il testo galileiano e quello aldrovandiano è costituito dal riferimento ad un’altra celebre nebulosa visibile nella costellazione di Orione, proprio sotto la spada. Galilei riporta il disegno di tale nebulosa che commenta brevemente: “una NEBULOSA, chiamata Testa di Orione, nella quale contammo ventun stelle” (Fig. 6). Nel testo aldrovandiano Orione viene indicata secondo il nome usato dai latini che vi si riferivano come a “iugula”, spada: “Inoltre, sotto la più bassa Iugule, si vede una certa massa di stelle ammucchiate in un piccolo spazio; e ad un certo punto, tra queste stelle, spicca una luce brillante come una nuvola”. Si tratta di un riferimento alla nebulosa oggi denominata M42, visibile in effetti sotto la stella più bassa delle tre stelle allineate che formano la spada della costellazione di Orione.

Fig. 6. Osservazioni al cannocchiale della Nebulosa di Orione (Nebulosa Orionis) e della Nebulosa Presepe (Nebulosa Praesepe) riportate da Galileo Galilei nel Sidereus Nuncius (Venezia: tipografia Baglioni, 1609) (Source: INAF-Osservatorio Astronomico di Brera).

Per quanto non coincidano esattamente, le osservazioni della volta celeste riportate nei due testi si richiamano l’una con l’altra piuttosto vistosamente. Laddove i testi invece non coincidono affatto è sul genere di conclusioni che si traggono da tali osservazioni. Per lo scienziato pisano, le osservazioni della volta celeste sono una dimostrazione preliminare, utile a mostrare le potenzialità del cannocchiale prima di puntarlo su Giove e scoprirne i 4 pianeti:

Le cose osservate finora intorno alla Luna, alle stelle fisse, alla Galassia esponemmo brevemente. Resta ora quello che ci sembra l’argomento più importante di questo trattato: e cioè rivelare e divulgare le notizie intorno a quattro pianeti non mai dal principio del mondo fino ad oggi veduti, l’occasione della scoperta e dello studio, le loro posizioni, e le osservazioni condotte in questi due ultimi mesi sui loro mutamenti e giri, invitando tutti gli astronomi a studiare e definire i loro periodi, cosa che fino ad oggi non ci fu dato fare in alcun modo per ristrettezza di tempo. Ma li avvertiamo che, per non porsi vanamente a questo studio, è necessario il telescopio esattissimo del quale parlammo al principio di questo libro.29

Nella Monstrorum Historia invece, tali osservazioni sono mobilizzate in altra direzione che è quella di aggiungere un secondo elemento relativo al dibattito sul meccanismo di generazione delle comete e sulla questione della loro origine astronomica o meteorologica. Se nelle prime pagine tale meccanismo era stato ben descritto in termini di esalazioni terrestri ora, e in totale divergenza con il testo galileiano, si sostiene che le osservazioni di stelle al cannocchiale, esattamente come le recenti osservazioni di Cornelius Gemma, paiono deporre a favore della tesi circa la generazione di comete in termini di convergenze dei corpi celesti. Si dice pertanto che tali corpi visibili al cannocchiale ma invisibili ad occhio nudo (mucchietti di stelle, o corpuscoli singoli) sono proprio quelli che possono convergere l’uno con l’altro nelle teorie di Democrito e Anassagora e dare luogo alla nascita di una cometa. Si aggiunge che se alla fase di convergenza dei corpuscoli corrisponde la nascita, alla fase di divergenza corrisponde la chioma o la coda e il fatto che nella coda tali corpuscoli siano meno compatti rende ragione del fatto che essi “non possono eguagliare in luminosità le altre stelle”. Si aggiunge che la chioma o la coda non vanno intese come una fiamma quanto come una trasmissione di raggi del Sole attraverso regioni fatte da corpuscoli meno densi: “E dalla riflessione e rifrazione emanata da vari corpuscoli, potrebbero nascere le diverse tipologie di comete chiomate, barbute o con la Coda”. Strumento di osservazione quindi, il cannocchiale, anche nella prospettiva aldrovandiana, ma per rianimare un dibattito del passato e non per guardare al futuro o quantomeno alle teorie copernicane e kepleriane del presente. Utile a rivelare l’esistenza di quei corpuscoli responsabili della generazione della cometa, la cui esistenza era stata intuita da Anassagora e Democrito e che non sarebbero osservabili ad occhio. Questi aspetti verranno ulteriormente discussi nelle conclusioni.

5. Conclusioni: un dibattito “tra” e mai “contro” gli antichi

Questo articolo ha voluto sviluppare un’analisi della trattazione delle comete come prototipo di mostro celeste discusso nel capitolo XIII della Monstrorurm Historia di Ulisse Aldrovandi. Tale analisi non è stata omnicomprensiva in quanto si è volutamente focalizzata sugli aspetti astronomici e fisici, antichi e moderni, che riguardano il tema cometario e la sua trattazione nell’opera aldrovandiana. Dall’analisi svolta, si traggono due considerazioni generali sostenute da una serie di elementi specifici.

La prima riguarda il tipo di trattazione che nella Monstrorum Historia viene sviluppata: essa appare come un lavoro di valorizzazione del passato e di divulgazione erudita di una immagine del mondo che ha le proprie radici nel periodo greco e romano. Divulgazione erudita il cui ideale enciclopedico, secondo il quale tutto l’importante va contemplato, non va frainteso con una elaborazione esaustiva dei contenuti, spesso accennati brevemente tramite una serie di sottosezioni successive dal carattere eterogeneo. Non sono infatti i testi a rendere peculiare la narrazione aldrovandiana quanto, e questo in linea con gli altri volumi della Historia Naturalis aldrovandiana, le immagini: come accade per le sezioni relative all’anatomia e alla botanica, l’esposizione testuale sul tema delle comete viene coadiuvata da vere e proprie illustrazioni scientifiche le quali sono rappresentazioni visuali dei testi degli autori Antichi, come ad esempio accade nel caso di Plinio il Vecchio e il secondo libro della Naturalis Historia. Le bizzarre forme di comete a forma di scudo, con crini o a pelo lungo, cornute, barbute, a forma di lancia, ensiformi o a forma di spada, equine e lampadiformi riportate nel capitolo aldrovandiano non vanno viste pertanto come decorazioni a margine del testo ma come illustrazioni scientifiche che hanno un proprio status, portatrici di informazione estratta da una fonte che si ritiene autorevole, in questo caso quella pliniana. Seguendo questa logica il capitolo fornisce una interessante rappresentazione della cometa chiomata del 1558 la cui descrizione si trova nei lavori degli astronomi dell’epoca quali Cornelius Gemma e Tycho Brahe.

La seconda considerazione riguarda la collocazione all’interno dei vecchi quadri di alcuni degli elementi di forte rottura che hanno caratterizzato l’emergere della scienza moderna a cavallo tra Cinquecento e Seicento. Tra gli elementi ben noti e discussi nel presente lavoro si sono considerate alcune osservazioni di comete con strumenti pre-galilieani da parte di astronomi quali gli stessi Tycho Brahe e Cornelius Gemma e le celeberrime osservazioni al cannocchiale riportate da Galileo Galilei nel Sidereus Nuncius nel 1610. Sebbene in modi diversi, tali osservazioni dell’età moderna vengono mobilizzate in una direzione ben definita, quella di valorizzare, confrontare, contrastare visioni e dibattiti che rimangono tutte interne al mondo degli antichi: elementi moderni per alimentare un dibattito “tra” ma mai “contro” gli antichi. Così, la cometa del 1588 osservata da Cornelius Gemma serve a supportare la classificazione minimalista proposta da Aristotele che suddivideva tali corpi in “chiomate” e “caudate”. Mentre le osservazioni successive di Gemma e Brahe della cometa del 1572 servono ad animare il dibattito circa il meccanismo di generazione delle comete, fenomeni meteorologici dovuti ad esalazioni terrestri secondo Aristotele, corpi astronomici dovuti a convergenza di pianeti secondo Democrito e Anassagora. In questo quadro, il cannocchiale galileiano serve proprio a “scoprire” quei corpuscoli i quali, invisibili ad occhio nudo, con la loro convergenza sono responsabili della formazione delle comete secondo la visione di questi ultimi.

Una considerazione speciale va fatta invece riguardo alle citazioni galileiane che risultano essere tutte implicite. Lo scienziato pisano non viene nominato, né tantomeno la sua opera. Tuttavia, da un confronto diretto tra i due testi, è chiaro che alcuni passaggi riportati nella Mostrorum Historia di Aldrovandi sono presi dal Sidereus Nuncius. Tuttavia, di tale opera vengono riportate, e con un certo livello di dettaglio, solo alcune tipologie di osservazioni, quelle relative alla sfera delle stelle fisse, mentre viene trascurato di riportare le osservazioni dei crateri sulla superficie della Luna o dei satelliti di Giove. Certamente l’osservazione della sfera delle stelle fisse permette agli autori aldrovandiani di “utilizzare” il cannocchiale di modo da rianimare il dibattito tra gli antichi nei termini sopra descritti, cercando una continuità e non una discontinuità tra passato e presente. D’altra parte, va aggiunto che le osservazioni dei crateri sulla superficie della Luna o dei satelliti di Giove avrebbero spostato l’argomentazione su tutt’altro terreno, dal tema delle comete al dibattito tra geocentrismo ed eliocentrismo. Ad Ambrosini e agli stampatori del volume erano certamente ben noti gli eventi che nove anni prima della pubblicazione della Monstrorum Historia coinvolsero Galileo Galilei il quale, il 22 giugno 1633, nella sala del convento dei domenicani presso Santa Maria della Minerva a Roma, in cambio dell’abiura, veniva condannato per “sospetto di eresia” con pena commutata nell’isolamento a vita. Certamente noto era inoltre il fatto che tale sentenza venne diffusa in tutto lo Stato pontificio da nunzi apostolici che ebbero l’obbligo di leggerla davanti ai professori di matematica delle università. Il riferimento galileiano pertanto, implicito, brevissimo e “attutito” da una scelta oculata di quegli elementi meno compromettenti va certamente vista come una scelta di coraggio scientifico da parte dei curatori del volume. Tale scelta viene attuata tra l’altro tramite una strategia piuttosto raffinata, che rende possibile il riconoscimento di tali elementi solo sulla base di un attento confronto con l’opera galileiana. Questa lettura renderebbe conto anche dell’assenza di riferimento nel testo aldrovandiano a un altro testo galileiano, ben più significativo del Sidereus Nuncius per quanto riguardo le comete, ovvero Il Saggiatore, pubblicato nel 1633. Come è noto, una nuova apparizione di comete nel 1618 riaccese la disputa sull’origine delle stesse e vide Galileo Galilei, sostenitore della visione aristotelica delle comete come fenomeno atmosferico, opporsi al gesuita Ignazio Grassi, sostenitore dell’origine celeste. Nelle pagine del Saggiatore numerosi sono i riferimenti alle osservazioni di comete al telescopio, strumento usato per valutare l’accrescimento in luminosità nel corso dell’eventuale avvicinamento di tali corpi al Sole. Allo stesso tempo, il tema cometario all’interno del Saggiatore costituisce l’argomento per definire i nuovi termini di metodo sperimentale, trasformando lo scritto in una sorta di manifesto, apprezzatissimo, fino a prima del processo, dallo stesso Urbano VIII.

All’assenza dei riferimenti al Saggiatore, si aggiunge l’assenza delle prime osservazioni al telescopio del nucleo delle comete e dei suoi cambiamenti giornalieri, come quelle realizzate dal gesuita Johann Baptist Cysat nel 1619. Osservazioni che, seppure avanzatissime, poco riuscivano a scalfire l’immaginario popolare che continuava a vedere nelle comete i segni di provvidenza e divinazione discussi precedentemente.30

E purtuttavia, con le (pur implicite) citazioni galileiane i curatori della Monstrorum Historia paiono voler tenere fede al miglior spirito aldrovandiano, enciclopedico e rispettoso degli antichi. Da una parte, essi si mostrano autenticamente enciclopedici, non sapendo rinunciare a quella tensione verso la completezza, all’aggiornamento che porta ad includere, integrare ed elaborare il nuovo, anche quando questo è rappresentato da argomenti scabrosi. D’altra parte, essi si mostrano estremamente rispettosi delle teorie degli antichi, andando a cogliere dal presente solo quegli elementi che si rivelavano funzionali alla valorizzazione, ma mai alla messa in discussione di tali contenuti, e adattando il nuovo ai vecchi quadri, facendo oggi sorgere in noi la domanda se il timore verso gli antichi non superasse quello nei confronti dell’inquisizione.

La caratterizzazione del Dialogo sopra i due massimi sistemi galileiano in termini di “campo di battaglia” avanzata dallo storico Enrico Bellone può essere estesa, fatte le dovute differenze, al capitolo aldrovandiano.31 Se nell’Introduzione Al Discreto Lettore, piegandosi al monito di Bellarmino, Galilei accoglieva il “salutifero editto” che nel 1616 i teologi del Sant’Uffizio avevano emesso contro la tesi della mobilità della Terra, all’interno dell’opera lo scienziato pisano non resisteva a far dire al tradizionalista Simplicio, di fronte alle nuove tesi: “Questo modo di filosofare tende alla sovversion di tutta la filosofia naturale, e al disordine e mettere in conquasso il cielo e la Terra e tutto l’Universo”. La battaglia che si coglie invece nel capitolo aldrovandiano è certamente meno personale e introspettiva ma riguarda comunque un contrasto tra quadri e metodi descrittivi del passato e del presente. Tale contrasto risulta in una commistione tra vecchio e nuovo, ben evidente a livello di linguaggio e il cui esempio più eclatante è forse proprio la descrizione della cometa del 1558. Nel testo aldrovandiano di essa, infatti, si riportano le coordinate, dicendo che si trovava a 12° dalla costellazione della Vergine e a 28° dalla fine della coda della costellazione dell’Orsa Maggiore aggiungendo poi candidamente che “se ne stava in cielo con un’aria triste e mesta”. Ne nasce uno strano e curioso accostamento, fatto di vecchio e nuovo, di innovativo e antiquato, di scientifico e di extra-scientifico. Tale accostamento, che corre lungo tutto il capitolo, è ciò che rende tale scritto sui mostri celesti una testimonianza significativa dell’epoca in cui l’opera è stata composta, testimonianza di un processo in corso e di un’era scientifica giunta quasi al suo compimento.


1 Paula Findlen, Possessing Nature. Museums, Collecting, and scientific culture in Early Modern Italy (Berkeley: University of California Press, 1994), 25.

2 Archivio di Stato di Bologna, Atti Notarili di Manzolini Carlo Antonio, vol. 3063 (dal 1592 al 1608), plico 472, prot. 164 con Testam., colloc. 6/1.

3 Marinela Haxhiraj, Ulisse Aldrovandi. Il Museografo (Bologna: Bononia University Press, 2016); Ulisse Aldrovandi, Monstrorum Historia, a cura di Lorenzo Peka (Pescia: Moscabianca Edizioni, 2021).

4 Archivio di Stato di Bologna, Assunteria di Studio, Requisiti dei Lettori, vol. I, n. 27, Bartolomeo Ambrosini agli Assunti di Studio (1 aprile 1634).

5 Aldrovandi, Monstrorum Historia, ed. Peka.

6 Sara Schechner Genuth, Comets, Popular Culture, and the Birth of Modern Cosmology (Princeton: Princeton University Press, 1999), 4.

7 Owen Gingerich, The Book Nobody Read: Chasing the Revolutions of Nicolaus Copernicus (New York: Walker & Company, 2004), 55.

8 Maurice A. Finocchiaro, Philosophy versus Religion and Science versus Religion: The Trials of Bruno and Galileo, in Giordano Bruno: Philosopher of the Renaissance, ed. Hilary Gatti (Aldershot: Ashgate, 2002), 51–96.

9 Pietro Daniel Omodeo, Copernicus in the Cultural Debates of the Renaissance: Reception, Legacy, Transformation, (Leiden: Brill, 2014); Genuth, Comets, 58–65.

10 Lorraine Daston, Katharine Park, Le meraviglie del mondo. Mostri Prodigi e fatti strani dal Medioevo all’Illuminismo (Roma: Carrocci, 2000).

11 Ulisse Aldrovandi, Monstrorum historia cum Paralipomenis historiae omnium animalium. Bartholomaeus Ambrosinus in patrio Bonon. Archigymnasio Simpl. Med. Professor Ordinarius, Musei Illustriss. Senatus Bonon., et Horti pubblici Prefectus Labore, et Studio volumen composuit (Bononiae: Marco Antonio Bernia, 1642), 738: “De his, quae circa Solem, Lunam, & Stellas in Regione caelesti mortalibus astenduntur, est admodum sublimis consideratio. QUandoquidem haec triplici genere discriminantur; quaedam enim sunt supra ordinem Naturae veluti Eclypses, quae suo tempore non celebrantur, & una instar omnium fui tilla, impendente Domini Salvatoris Nostri Passione, quam Beatus Dionysius Areopagita in quadam epistola ad amicum suum describit. Item Solis quies, quae hahetur in sacris paginis, quando, Iosue populi Israelitici Duce, post Moysem pro Israel praeliante, steti Sol in medio Colei, neque per diurnum spatium ad Occasum properavit; sicque neque antea, neque deinceps tam longa dies fuit, obediente Domino voci Iosue. Similiter ortus novae stellae, quae in Natalitijs Domini Nostri Iesu Christi Regibus Orientis apparuit. Alia sunt naturalia, sed ratione raritatis inter res monstrosas, & prodigias collocantur: cuiusmodi sunt coitus superiorum trium Planetarum, qui nonnisi spatio triginta annorum celebratur; aut si in Eclypsi Solis, & Lunae totus Diameter obscuretur, quod admodum raro accidit” (traduzione da: Aldrovandi, Monstrorum Historia, ed. Peka, 279).

12 Aldrovandi, Monstrorum historia, 716: “Iuxta ordinem in principio huius Historiae constitutum nostra interest mentem dirigere ad illa, quae supernis mundi partibus, praeter consuetam Naturae legem, generantur; quae postea, ratione loci, monstra caelestia nuncupantur, quoniam Coelum hoc in loco in lata significatione accipitur. Idcirco notamdu est superiorem quemdam mundum, seu Natura inveniri, ex plurubus sphaeris constantem, quae circulo tantum moventur, & huic proxima esse elementa, ex quibus hic inferior mundus, & sublunaris integratur, nimirum ignem, aerem, aquam, & terram, quorum sedes, & loca ita inter se se sunt disposita, ut post coelestem naturam ignis succedat, post hunc Aer, deinde illum Aqua, & hanc Terra sequatur. Itaq ex quattuor elementis mundum hunc inferiurem costituentibus, quidam aliquando effectus meteorologici dimanant; qui, quoniam non frequenter siunt, monstra, & quia genita sunt in sublimi, coelestia indigitantur: quamuis postea hoc nomen aliquod etiam novum, & amplius circa sydera observatum amplestatur. […] Nos enim in praesentia quodammodo induere debemus abitum issius Philosophi, quem Veteres meteorologicum cognominarunt, cuius partes sunt contemplari illa, quae in sublimiori mundi sublunaris loro procreantur cuiusmodi sunt puviae, rores, pruinae, nives, & grandines: sed haec, quoniam per intervalla quodam veluti circulo revertuntur, monstri nomine non donantur, consequenter; ad nostrum negocium non pertinent. Quamobrem altius ascendemus ad passiones ignitas, nemper ad Cometas, Sydera volantia, Columnas igneas, faces, & Pyramides accensas, nec non alia simulacra animantium in aere, & nubibus apparentium, quae quoniam non ita frequenter siunt, monstra, & ostenta nuncupantur” (traduzione da: Aldrovandi, Monstrorum Historia, ed. Peka, 277).

13 Aldrovandi, Monstrorum historia, 721: “Ut humanus intellectus ad simulacrorum huius generis congitionem pronus, &idoneus reddatur, anima duertre oportet, iuxta mentem philosophorum, & potissumum Aristotelis, in libris Meteororum, ex his terrestribus, & aqueis corporibus duplicemhalitum virtute Solid in sublime continuo vehi, quorum alteri nomea vaporis, quia ab humestis terrae partibus prodeat, alteri nomen exhalationies Philosophi assignarunt, quia tenuior sit, & ab aridioribus terrae partibus emergat. Horum igitur halituum prior tanquam grauior, & humidior locum in acre maxime insimum, & terrae proximum occupant, alter vero, quia calidioris, & siccioris est substantiae, sedem sublimiorem, & tertiam aeris regionem petit. Namque quod inter corposa calidisu, & siccius est, ignem appellamus in primo sub sphaeris colestibus loco consistentem. Quod vero humiditatem calori coniunctam possidet, & hac de causa est ponderosius instar vaporis, non potest ad altiores euolare”. Traduzione dell’Autore.

14 Elide Casali, Le spie del cielo. Oroscopi, lunari e almanacchi nell’Italia moderna (Torino: Einaudi, 2003), 93–120.

15 Craig Martin, Renaissance Meteorology: Pomponazzi to Descartes (Baltimore: Johns Hopkins University Press, 2011).

16 Historia Naturale di G. Plinio tradotta per M. Lodovico Domenichi; con le postille a margine, nelle quali, o vengono segnate le cose notabili, o citati altri auttori, che della stessa materia habbiano scritto, o dichiarati i luoghi difficili (Venezia: Gabriel Giolito de’ Ferrari, 1560), Cap. XXV. Per qualche motivo, la referenza riportata nel testo aldrovandiano rimanda al capitolo XXII della Naturalis Historia che risulta invece “Della musica delle stelle” nella quale, secondo la tradizione pitagorica, le distanze fra i pianeti vengono messe in relazione all’armonia dell’universo.

17 Genuth, Comets, 58–65.

18 Adam Mosley, Bearing the Heavens. Tycho Brahe and the Astronomical Community of the Late Sixteenth Century (Cambridge: Cambridge University Press, 2007).

19 Aldrovandi, Monstrorum historia, 725.

20 Tychonis Brahe Dani Epistolarum Astronomicarum libri, quorum primis hic Illustriss: et Laudatiss: Principis Gulielmi Hassiae Landtgravii ac ipsius Mathematici Literas, unaque Responsa ad singulas complectitur (Uraniborg, 1596), 144, 290.

21 Paul Fabricius, Oratio et carmen de Carolo V Caesare mortuo. Gratulatio Ferdinando I. Augusto Caesare designato scripta. Descriptio cometae qui flagravit anno M. D. LVIII. Mense augusto. Descriptio item trium monstrorum eodem loco & tempore natorum & alia quaedam (Viennae, Austriae: calendis VIIIIbris. 1558), frontespizio.

22 Maik Meyer, “A new and improved orbit for comet C/1558 P1”, Journal of Astronomical History and Heritage 24, no. 3 (2021): 697‒702.

23 Cornelius Gemma, De peregrina stella quae superiore anno primum apparere coepit, Clariss. Virorum Corn. Gemmae Lovaniensis Germani, et Guliel. Postelli Barentani Galli, Ex Philosophiae naturalis, mysticaeque Theologiae penetralibus deprompta Iudicia (Basilea: Perna, 1573); Cornelius Gemma, De naturae divinis characterismis: seu raris et admirandis spectaculis, causis, indiciis, proprietatibus rerum in partibus singulis universi, libri II (Antwerp: Plantini, 1575).

24 L’effetto di parallasse si manifesta quando un oggetto “vicino” alla Terra viene osservato rispetto allo sfondo di stelle lontane le quali, per la loro lontananza appaiono fisse. Il moto annuale della Terra intorno al Sole fa sì che il punto di osservazione si sposti nel corso dell’anno e, di conseguenza, la posizione dell’oggetto rispetto allo sfondo di stelle appaia diversa.

25 Aldrovandi, Monstrorum historia, 728–729: “Hactenus circa differentias, & generationem Cometarum, iuxta opinionem Aristotele, & aliorum Philosophantium mentem, versati sumus. Modo aliorum, nempe Veterum Philosophorum sententia est aperienda: quandoquidem Anaxagoras, & Democritus concursum quemdam quinq; Planetarum, Praeter Solem, & Lunam, cometas esse dixerunt, quos Planetarum etiam nomine donarunt: sunt enim opinati illas quinq; errantes stella, si sorte fortuna congrediantur, & se contangent, unius solum stellae imaginem representaretcuius postea splendor lonigius diffusus comam veluti quamdam prae se serre cideatur: praeterquamquod addebant, dissipatis cometis, planetas quosdam relictos comparuisse. […] Nam Cornelius Gemma locum generationis Cometarum in parte nobiliore Universi essere statuit, cum vim corruptibilis metheori salere non opinetur. Praeterquamquod hoc fuit perspicuum in illo Cometa, qui apparuit fulgidus, anno post sesquimillesimum septuagesimo secundo, mente Novembris in constellazione Cassiopeae, Iovem enim magnitudine superabat, & eidem figura, & candore similissimus, limbo boreo Gallaxiae affixus: itant eum secunda, quarta, & duodecima Cassiopeae stellis tertiae magnitudinis Rhombum sere perfectum effingeret. Hinc pleriq, phafmatum indagatores hoc genus Cometae in regione elementari non fuisse existimarunt, quam sedem Aristoteles Cometis assignavit, sed in regione aetherea consistuerunt, quia nullum prorsus motum proprium, & nullam parallaxim habebat. Haecq, nova stella, instar lyrae, micabat, & de improviso absqullo incremento maxima apparuit, nullumq spargebat crinem, & diutius, quam unquam alius Cometa refulsit, nempo menses sexdecim, deinde paulatim in nihilum redacta est. Huius fulgor, in comparatione ad alias stellas, erat admorandus, quoniam Syrium, Procyona, Iovem, & ceteras stellas, tam firmas, quam erraticas splendore, & magnitudine antecellebat. Non igitur multum a veritate recesserunt Democritus, & Anaxagoras, qui Cometas, congressus quosdam stellarum esse existimarunt”. Traduzione dell’Autore.

26 Galileo Galilei, Sidereus Nuncius (Venezia: tipografia Baglioni, 1609), traduzione di Luisa Lanzillotta (https://www.liberliber.it/online/autori/autori-g/galileo-galilei/sidereus-nuncius/), 6–7.

27 Ibid., 38–40.

28 Aldrovandi, Monstrorum historia, 730.

29 Galileo Galilei, Sidereus Nuncius, a cura di Ferdinando Flora, traduzione con testo a fronte di Luisa Lanzillotta (Torino: G. Einaudi, 1976), 40.

30 Genuth, Comets, 110.

31 Casali, Le spie del cielo, 93–120; Enrico Bellone, Storia della fisica, moderna e contemporanea (Torino: UTET, 1990), 31.