Il quinto centenario della nascita di Ulisse Aldrovandi (1522-2022) culmina con la partecipazione di Krzysztof Pomian al programma culturale predisposto dall’Alma Mater, che per l’occasione – su iniziativa del Magnifico Rettore, Giovanni Molari – gli attribuisce il Sigillum Magnum. Pomian ha studiato per primo il collezionismo come fenomeno in sé, contribuendo così a definire un campo semantico ed epistemologico destinato a larga fortuna. Con la sua recente storia mondiale dei musei ha ulteriormente ampliato il terreno d’indagine, legando oggetti, luoghi e contenitori, in omaggio ad una forma di trasmissione intergenerazionale della memoria e di fruizione sociale della conoscenza sempre più diffuse a livello planetario. L’attenzione che ha riservato da decenni ad Ulisse Aldrovandi e al suo primo esperimento di museo scientifico lo rende agli occhi dell’Alma Mater il testimone più prestigioso; e proprio al mito aldrovandiano della curiosità instancabile, durato nei secoli, egli dedica le pagine che seguono, scritte espressamente per noi.

È quindi in segno di gratitudine per questa solida relazione culturale, che, rinnovando per una volta le tradizioni del tempo andato, abbiamo deciso di pubblicare l’intervento integrale di Krzysztof Pomian, per diffonderlo e conservarne intatto il ricordo nel tempo.

Roberto Balzani

Presidente del Sistema Museale di Ateneo

Aldrovandi e la curiosità. Da Bayle a Buffon

Krzysztof Pomian

ALDROVANDUS (Ulisse) professore di filosofia e medicina a Boulogne, sua patria, era uno degli uomini più curiosi al mondo per quanto riguarda la Storia Naturale. La sua cura, le sue opere e le sue spese su questo tema sono incredibili. Viaggiò nei paesi più lontani, senza altro scopo che quello di conoscere le cose che la natura vi faceva apparire: minerali, metalli, piante, animali, erano l’oggetto delle sue ricerche e della sua curiosità; ma era soprattutto affezionato agli uccelli: e per averne figure molto esatte e vivide, impiegò per più di trent’anni, a sue spese, i più eccellenti artisti d’Europa. Queste spese lo rovinarono: fu infine ridotto sul lastrico; e si dice che morì nell’ospedale di Boulogne, carico di anni e cieco, nell’anno 1605. Si tratta di un esempio molto eloquente contro l’ingratitudine del pubblico e anche contro l’eccessiva curiosità dei singoli. Ci sarebbero mille riflessioni e mille luoghi comuni da addurre a commento di questa avventura: li lascio a chi vuole coglierli, e mi accontento di questa piccola osservazione; l’antichità non ci fornisce l’esempio di un disegno così esteso e così laborioso come quello del nostro Ulisse nei confronti della Storia Naturale [...].1

1.

Questo è ciò che poteva sapere di Aldrovandi a novant’anni dalla sua morte il lettore del Dictionnaire historique et critique di Pierre Bayle, uno dei libri più letti del lungo Settecento: la prima edizione fu pubblicata nel 1697, l’ultima nel 1820. Sebbene l’autore abbia puntato a un’accuratezza impeccabile, non è riuscito a evitare almeno due elementi leggendari.2 I viaggi di Aldrovandi nei “paesi più lontani” – America? Estremo Oriente? – si riducono, dopo il controllo, a un pellegrinaggio giovanile a Santiago de Compostela, che era già una conquista. Ma ha fatto diversi viaggi nel suo Paese. E non perse la vista né morì in ospedale come i poveri, fatti che Bayle fa precedere cautamente da un “si dice”. Non c’è quindi motivo di accusare “il pubblico” di ingratitudine. Resta il fatto che, in sostanza, Bayle aveva ragione: viaggiatore, collezionista, studioso e mecenate, Aldrovandi era il prototipo stesso dell’appassionato di storia naturale che dedicava la sua vita alla “sua ricerca e alla sua curiosità”. E che illustra, in questo campo, la superiorità dei moderni sugli antichi, come dimostra il confronto della sua opera con quella di Plinio nel resto del testo.

Bayle non era molto interessato alla storia naturale. Pochi dei suoi seguaci sono menzionati nel suo Dizionario. Neppure Conrad Gessner ha ricevuto l’onore di un articolo. Se Aldrovandi si distingue, è perché per Bayle era un naturalista esemplare e una personificazione della curiosità, forse addirittura della “curiosità eccessiva” – un’espressione che mostra che, per Bayle, quando la curiosità rimane nei suoi limiti, è una virtù e quindi merita un elogio. Lo conferma l’articolo dedicato a Peiresc: “[...] mai uomo rese più servizi alla Repubblica delle Lettere: ne fu, per così dire, il Procuratore Generale; incoraggiò gli Autori, fornì loro lumi e materiali, e usò le sue rendite per acquistare e copiare i monumenti più rari e utili. Il suo mestiere di letterato abbracciava tutte le parti del mondo: gli esperimenti filosofici, le rarità della natura, le produzioni dell’arte, l’antiquariato, la storia, le lingue erano pure oggetto della sua attenzione e della sua curiosità”.3

La curiosità viene così individuata da Bayle quale impulso all’azione per accrescere la conoscenza e implementare i mezzi per farla progredire, un motivo così forte da portare sia Aldrovandi che Peiresc ad assumere il ruolo di benefattore della ricerca e a mettere le proprie rendite al servizio della comunità dei dotti. Un tale elogio della curiosità – incarnato da personaggi che hanno subordinato la loro vita ad essa e sono così diventati eroi della Repubblica delle Lettere – è dunque nella storia millenaria di questa parola e della cosa che essa designa, un fatto nuovo, in contrasto con la tradizione dominante. Come e in quale ambiente intellettuale e istituzionale è diventato possibile?

2.

Il sostantivo curiositas è apparso nella lingua latina nel II secolo d.C., ma solo duecento anni più tardi ha iniziato a essere usato con maggiore frequenza. Si riferisce al desiderio di sapere, sia esso legittimo o illecito. Può quindi essere utilizzato per descrivere, o addirittura lodare, l’applicazione zelante all’acquisizione della conoscenza, ma si tratta di un significato molto raro. Più spesso viene impiegato per condannare, a livello sociale, il desiderio di sapere troppo degli altri o di penetrare i loro segreti, o di acquisire conoscenze per alimentare la propria vanità, e, a livello intellettuale, il desiderio di oltrepassare i confini imposti alla conoscenza umana, di sapere ciò che è vietato sapere. Sono stati i Padri della Chiesa, e in particolare sant’Agostino, a fare largo uso della parola curiositas come sinonimo di concupiscenza degli occhi, per condannare il desiderio di apprendere credenze pagane, eresie, astrologia divinatoria, teurgia, magia; di frequentare il teatro o i giochi del circo, o anche di acquisire conoscenze che non elevano l’anima verso Dio.4

Per i successivi otto secoli, la curiositas è stata discussa esclusivamente nel contesto monastico, principalmente evocata nella sua accezione sociale.5 A partire dal XII secolo, in seguito all’introduzione delle opere di Aristotele nell’insegnamento universitario e alla traduzione degli scritti astrologici e alchemici arabi, la lotta contro la curiosità si spostò dalle abbazie alle università, dove talvolta venivano insegnate l’astrologia e l’alchimia, e fu la dimensione intellettuale del desiderio di conoscenza ad assumere un ruolo centrale. Lo si può vedere molto chiaramente nelle successive argomentazioni di san Tommaso d’Aquino a proposito di questo tema.6

Tra gli autori che hanno contrastato la curiosità tra il XIV e il XVII secolo, troppo numerosi per essere elencati, ci accontenteremo di distinguere due gruppi. Alcuni, come Erasmo, prendono di mira i ragionamenti sempre più sofisticati riguardanti le cose della religione e preconizzano il ritorno a una fede semplice, ridotta al contenuto delle Scritture, che dovrebbero rispondere a tutte le domande di un fedele.7 Questa tendenza fu proseguita e rafforzata da Lutero e Calvino e dai polemisti impegnati nella lotta contro le eresie, frutti dell’impia curiositas, che si moltiplicavano sulla scia della Riforma e che i protestanti combattevano con lo stesso ardore dei cattolici.8 Gli autori del secondo gruppo concentrarono le loro denunce contro l’astrologia divinatoria, che aveva creato scompiglio nelle corti e tra i dotti, prima di scendere nel XVI secolo, grazie alla stampa, nelle fiere e nei mercati sotto forma di fogli sciolti.9

Dai tempi dei Padri della Chiesa la curiositas non è mai stata menzionata così spesso come tra il XIV e il XVII secolo. E per una buona ragione. A partire dal XII secolo, il desiderio di conoscenza cominciò a emanciparsi, dando luogo a un numero crescente di traduzioni dall’arabo e dal greco e orientandosi verso ambiti profani – diritto, medicina, antichità, natura – e, sempre più spesso, verso le scienze proibite, con l’astrologia e la magia in primo piano. Nei secoli XV e XVI la loro influenza raggiunse i massimi livelli. Ne è testimonianza l’importanza attribuita agli astrologi e ai loro pronostici nelle università dove insegnavano e nelle corti principesche dove venivano consultati prima di prendere decisioni.

Gli attacchi alla credenza nell’influenza degli astri e agli oroscopi che ne erano applicazioni, per quanto ben argomentati, rimasero senza effetto. Gli stessi principi che patrocinavano i nemici dell’astrologia portavano nelle loro corti e mantenevano astrologi, come Carlo V, re di Francia, che aveva nel suo seguito Nicolas Oresme, un nemico dell’astrologia, e Tommaso da Pisano, un astrologo venuto dall’Italia.10 Queste intrusioni della curiosità condannabile nella cultura ufficiale non possono essere dissociate, a quanto pare, dall’ascesa delle monarchie nazionali a scapito del Papato e della Chiesa in generale, soprattutto dopo il trasferimento dei papi ad Avignone, con un picco durante il Grande Scisma d’Occidente. Poi la Riforma sottrasse il Nord Europa al potere del Papato. Sebbene i protestanti non fossero noti per la loro tolleranza e i loro leader spirituali combattessero la curiosità empia con lo stesso vigore dei portavoce della Chiesa romana, il loro apparato repressivo non si rivelò altrettanto efficace. Anche la Chiesa romana, con l’eccezione della penisola iberica, non era più quella di un tempo, sebbene fosse ancora in grado di imprigionare eretici e miscredenti veri o presunti e persino di mandarli al rogo. L’astrologia, l’alchimia, la magia e l’ermetismo, quest’ultimo recuperato anche dall’ortodossia, fiorirono quindi tra il XV e il XVII secolo.11

Detto ciò, va subito sottolineato che il termine latino curiositas e i suoi equivalenti volgari erano usati in quei secoli per designare comportamenti molto diversi, anche se tutti hanno come componente costitutiva la trasgressione, la violazione di un divieto. Quando la curiositas viene criticata nel contesto di una controversia intra-teologica, la questione è diversa rispetto a quando il termine si riferisce all’astrologia. Altri usi appariranno in seguito; ci torneremo. Inoltre, il problema della curiosità non sembra suscitare lo stesso interesse in tutti i Paesi della cristianità latina. In mancanza di una rilevazione esaustiva e di una mappa degli autori che si sono occupati della curiosità, dobbiamo rimanere cauti su questo punto, ma ciò che già sappiamo ci porta a ipotizzare che il tema fosse particolarmente caldo in Francia e nell’Impero. Le barriere istituzionali e mentali che incanalavano la vita intellettuale e spirituale e le impedivano di cedere alla biasimevole curiosità erano molto più forti in Spagna e in Italia che in Francia e nei Paesi germanici, sia al tempo della cattività avignonese dei papi e durante il Grande Scisma d’Occidente, sia soprattutto più tardi, dopo l’affermazione della Riforma. L’Inghilterra, che era stata a lungo fedele a Roma, era diventata sua nemica dopo la rottura di Enrico VIII. Ma sfidare l’autorità del papa non significava indulgere alla curiosità, sia religiosa che secolare, come dimostrarono tanto Lutero quanto Calvino.

3.

Tutte le turbolenze religiose e politiche non impediscono al desiderio di sapere di produrre effetti che finiranno per trasformare le coordinate del dibattito intorno alla curiosità prima di renderlo anacronistico. È il desiderio di sapere che ci ha spinto a cercare le opere lasciate dagli antichi, a stabilire correttamente i testi, a cercare di capire le affermazioni a prima vista enigmatiche, a confrontarci con le iscrizioni che bisognava imparare a leggere, con le monete e le gemme di cui bisognava riconoscere le immagini, con le vestigia di ogni tipo di cui bisognava recuperare l’uso. Mentre sollecita così alcune persone a viaggiare nel tempo, ne spinge altre in lunghi viaggi stimolati principalmente dalla sete d’oro e dalla lotta per il dominio del mondo, dove pure la curiosità gioca un ruolo significativo. Tali viaggi portarono nella cristianità cose mai viste prima, che furono a loro volta oggetto di curiosità da parte di studiosi e artisti. L’arrivo di tutto questo materiale esotico e le storie che lo accompagnavano fecero nascere, o almeno intensificarono, il desiderio di sapere cosa si trovasse nelle vicinanze. Dopo la scoperta di un continente insospettabile in Occidente e quella della rotta per l’India attorno all’Africa, la ricerca sui fenomeni naturali cominciò a fiorire parallelamente al boom degli studi antiquari iniziato un secolo prima.

Ciò portò nel XV-XVI secolo alla costituzione dei due campi del sapere che sono gli studia humanitatis, da un lato, e la storia naturale dall’altro. Tale fenomeno si accompagna all’emergere di due tipi di studiosi, l’umanista e il naturalista, talvolta riuniti in un’unica persona; ne è un esempio Aldrovandi, il cui primo libro dedicato alle statue di Roma lo mostra come un abile antiquario; un altro è Peiresc. E si prosegue poi col processo di professionalizzazione sia degli umanisti che dei naturalisti, inseparabile dall’afflusso ininterrotto di nuovi dati, dal perfezionamento delle descrizioni degli oggetti studiati e dagli scambi tra i seguaci di ciascuno di questi campi del sapere, che finiranno per istituzionalizzarsi sotto forma di accademie e altre società di studiosi e di riviste incaricate di pubblicare i risultati delle loro ricerche.

Nuovi campi del sapere, la ricerca antiquaria e la storia naturale, si aggiunsero a un campo molto antico composto da matematica, astronomia e fisica, tre discipline che stavano subendo una rivoluzione. In meno di centocinquant’anni, tra l’opera di Copernico e quella di Newton, la Terra perse la sua centralità, il mondo chiuso lasciò il posto all’universo infinito, per usare la formula di Alexandre Koyré, e l’occhio, che era sempre stato il principale strumento di conoscenza del mondo sensibile, fu integrato e amplificato in questo ruolo dal telescopio, dopo Galileo, e dal microscopio, divenuto famoso grazie a Leeuwenhoek, portando alla scoperta di oggetti celesti e di esseri viventi di cui nessuno aveva prima sospettato l’esistenza. Questa serie di sconvolgimenti viene definita “rivoluzione scientifica”, ma dovremmo piuttosto parlare di “rivoluzione cognitiva”, perché è la conoscenza stessa che comincia a cambiare natura, con conseguenze che non si esauriranno fino ai giorni nostri. Come ha detto splendidamente Maupertuis: “La nostra mente sembra destinata solo a ragionare sulle cose che i nostri sensi scoprono. I microscopi e gli occhiali ci hanno dato, per così dire, nuovi sensi al di fuori della nostra portata come se appartenessero a intelligenze superiori, e mettono costantemente in crisi la nostra”.12

4.

L’accumulo di conoscenze attraverso la ricerca antiquaria e la storia naturale e la rivoluzione cognitiva hanno modificato congiuntamente il quadro istituzionale e mentale della curiosità. Nonostante le condanne ufficiali, le prediche e le esortazioni di apologeti e moralisti, le Chiese non riusciranno mai più a confinarla nell’alveo da cui è uscita e a screditarla nell’opinione delle élites. Le monarchie che hanno cercato di metterla al loro servizio, soprattutto sotto forma di astrologia, l’hanno abbandonata, è vero, nel corso del XVII secolo, ma senza perseguitarla. È un’istituzione nuova che prenderà in mano le cose passo dopo passo, senza usare i mezzi coercitivi delle Chiese e degli Stati, ma con non minore efficacia.

Dal momento in cui la scienza moderna crea le proprie istituzioni sotto il patrocinio della monarchia o nell’ambito della sua amministrazione, inizia a costruire argini che una certa curiosità non ha più il diritto o i mezzi per infiltrare o aggirare. La curiosità che viene accettata, persino incoraggiata, deve d’ora in poi formulare le sue domande nel linguaggio della comunità scientifica, imparare a disciplinare il suo sguardo, standardizzare i suoi approcci cognitivi e utilizzare solo strumenti il cui funzionamento può essere teorizzato e i cui limiti e distorsioni possono essere presi in considerazione. Quanto alla curiosità incompatibile con i criteri della scienza, essa è confinata al di fuori di essa e persino della conoscenza, degradata al rango di superstizione. Newton era affascinato dalle profezie bibliche e dall’alchimia, ma separava accuratamente le sue curiosità dalla fisica. Le scienze occulte, l’astrologia, l’alchimia, la magia, l’ermetismo continueranno ad avere seguaci – li hanno tuttora, – influenzeranno a volte anche la letteratura e le arti,13 ma rimarranno al di fuori dei confini della scienza e non troveranno mai più il posto che era stato loro riservato nella grande età della curiosità, tra la metà del XIV e la metà del XVII secolo.

Il nuovo contenimento della curiosità iniziò con Cartesio, per il quale l’unica conoscenza degna di questo nome era quella che si poteva dedurre da assiomi evidenti. Non solo bandì le scienze occulte, degradate al rango di pseudoscienze, ma anche tutto ciò che veniva proposto da antiquari e naturalisti era, secondo lui, curiosità nel senso spregiativo del termine. La corrente cartesiana rimarrà fedele a questa posizione, come si può vedere in Malebranche.14 Quanto agli antiquari e ai naturalisti, che, contrariamente a Cartesio, accumulano nomi e date, documenti e monumenti – i primi – ed esperimenti, osservazioni e naturalia di ogni genere – gli altri –, se descrivono la loro pratica come curiosità, assumono questo termine in senso elogiativo, perché si tratta ormai di una curiosità incanalata, disciplinata e critica.15 Questo è già il caso di Peiresc, senza che venga usata la parola “critica”, e di Bayle, che fa della critica il suo programma (ma che commette un anacronismo attribuendo la curiosità critica ad Aldrovandi). Ciò non ha impedito agli apologeti cristiani di delegittimare sia la ricerca antiquaria che lo studio della natura, e ai moralisti di caricaturare e ridicolizzare gli antiquari e i naturalisti che si supponeva fossero impegnati solo in una curiosità oziosa. Ma le loro voci cominciarono a farsi sentire nel deserto, soprattutto quando i naturalisti ebbero a disposizione il Jardin du Roi e l’Académie des Sciences, mentre gli antiquari popolarono l’Académie des Inscriptions. Nel corso del XVIII secolo, sia la storia naturale che la ricerca antiquaria acquisirono definitivamente i loro titoli di nobiltà in Francia con l’ingresso nell’Accademia francese di Buffon, autore di una Histoire naturelle, e dell’Abbé Barthélémy, autore dei Voyages du jeune Anacharsis.

5.

Nel lungo resoconto della “maniera di trattare la storia naturale” che Buffon pone in testa al primo volume della sua Histoire naturelle, générale et particulière, tre pagine sono dedicate ad Aldrovandi. “Aldrovandi, il più laborioso e il più dotto di tutti i naturalisti, ha lasciato, dopo un lavoro di sessant’anni, immensi volumi sulla Storia Naturale […] [essi] si ridurrebbero alla decima parte se si eliminassero tutte le inutilità e tutte le cose estranee al suo argomento. Tranne che per questa prolissità, che, lo confesso, è schiacciante, i suoi libri devono essere considerati come i migliori di tutta la Storia Naturale; il piano del suo lavoro è buono, le sue distribuzioni sono sensate, le sue divisioni ben marcate, le sue descrizioni abbastanza esatte, monotone, certo, ma fedeli. La parte storica è meno buona, spesso mescolata al favoloso, e l’Autore mostra troppa inclinazione alla credulità”.

Le due principali critiche che Buffon muove ad Aldrovandi, che colloca al vertice della gerarchia dei naturalisti, sono la prolissità e l’assenza di spirito critico. Entrambi, secondo Buffon, sono il risultato dell’approccio conoscitivo di Aldrovandi, del modo in cui egli pratica la conoscenza della natura. Buffon lo descrive in un passo troppo lungo per essere citato per intero, ma di cui fin dall’inizio si può percepire il tono ironico: “Immagino un uomo come Aldrovandi, una volta che ha concepito il progetto di fare un corpo completo di Storia Naturale, lo vedo nella sua biblioteca leggere successivamente gli Antichi, i Moderni, i Filosofi, i Teologi, i Giureconsulti, gli Storici, i Viaggiatori, i Poeti […] e dopo aver riempito diverse cartelle con appunti di ogni tipo, spesso presi senza esame e senza scelta, inizia a lavorare su un argomento particolare, e non vuole perdere nulla di ciò che ha raccolto [...]”.16

Come tutti sanno in questa sede, accusare Aldrovandi di essere stato solo un frequentatore di biblioteche è ingiusto; egli scese in campo più volte e, soprattutto, creò a Bologna un giardino botanico e costituì una collezione di oggetti che studiò e descrisse. Ma, per quanto ingiusta, l’accusa di Buffon evidenzia una differenza fondamentale tra la storia naturale praticata ai suoi tempi e quella di Aldrovandi. Quest’ultima mette sullo stesso piano i dati della percezione e i dati della lettura di testi del passato ritenuti autorità, cioè non sottoposti al giudizio della critica, così come accoglie i dati della rivelazione cristiana; centocinquant’anni e una rivoluzione cognitiva dopo, ciò non è più ritenuto accettabile. Quello che un tempo era considerato conoscenza ora è solo un’occupazione improduttiva, e quello che un tempo era considerato sapere è degradato al livello di inutile erudizione. La lezione di Cartesio, con la sua insistenza sulle regole e sul metodo, è stata mantenuta indipendentemente dalla fisica e dalla metafisica cartesiane. La parola “curiosità” è assente dal testo di Buffon, ma l’immagine che offre del modo di lavorare di Aldrovandi lo mostra animato da un desiderio di sapere che egli non cerca nemmeno di incanalare, spingendolo ad accettare tutto ciò che trova e di cui vuole conservare tutti i contributi. La storia naturale di Buffon si oppone a quella di Aldrovandi, così come la scienza si oppone alla curiosità nel senso negativo del termine.

6.

Se la parola “curiosità” non compare nel testo di Buffon, è probabilmente perché era ormai accettato nel mondo degli studiosi che, a proposito di vita intellettuale, questa parola avesse un significato positivo. Non era quindi adatta a caratterizzare un approccio da cui Buffon prendeva chiaramente le distanze. Due anni dopo l’Histoire naturelle, apparve il quarto volume dell’Encyclopédie con l’articolo “Curiosité” scritto da de Jaucourt. È un articolo veloce, ma proprio questo fatto dimostra che l’argomento non suscita più passioni e non coinvolge questioni importanti. Dopo aver liquidato in una frase il destino della “curiosità di conoscere il futuro con l’aiuto di scienze chimeriche [...]” – cioè l’astrologia e la divinazione, a cui fa esplicito riferimento –, curiosità che definisce “figlia dell’ignoranza e della superstizione”, Jaucourt inizia a trattare la dimensione sociale della curiosità: la preoccupazione di sapere cosa gli altri pensano di noi, i tentativi di carpire i segreti altrui, l’interesse eccessivo per ogni tipo di notizia. Abbandona rapidamente queste “specie di curiosità irragionevoli” per “concentrarsi sulla curiosità degna dell’uomo, e la più degna di tutte, intendo il desiderio che lo spinge ad estendere la sua conoscenza”, una “nobile curiosità” di cui si propone di “sviluppare in poche parole l’origine e i limiti”. Essa è suscitata dalle “sensazioni e percezioni di oggetti che conosciamo solo in modo molto imperfetto” e non solo ci fa prendere coscienza della nostra ignoranza, ma “ci stimola anche ad acquisire, per quanto possibile, una conoscenza più esatta e completa dell’oggetto che rappresenta”. Ciò, però, porta a una conoscenza effettiva di quell’oggetto solo attraverso l’attenzione, il “lavoro e l’applicazione continua”. Questo vale ancor più per la conoscenza intellettuale. In breve, per Jaucourt, la curiosità è un innesco indispensabile per un movimento di ricerca che deve poi essere mantenuto da un deliberato sforzo di volontà. Non siamo più nella morale, tanto meno nella teologia. Siamo in una psicologia sensista.17

Nello stesso periodo, Maupertuis pubblicò una Lettre sur le progrès des sciences18 che Hans Blumenberg introdusse nella storia del dibattito sulla curiosità.19 Pur essendo d’accordo con lui su questo punto, non condividiamo la sua interpretazione del testo. Ma iniziamo ricordandone il contenuto. Indirizzata al re di Francia, la lettera non è né una valutazione dei risultati raggiunti né uno studio dei meccanismi che permettono alle scienze di progredire. Propone temi di ricerca che Maupertuis considera prioritari e sui quali desidera attirare l’attenzione del re per convincerlo a finanziarli. Raccomandò di organizzare spedizioni per scoprire le Terre del Sud e il passaggio dall’Europa all’Estremo Oriente attraverso il Nord: questa ricerca geografica comprendeva lo studio degli abitanti della Patagonia, ritenuti giganteschi, e lo studio delle declinazioni dell’ago magnetico. Propose di esplorare l’interno dell’Africa e le piramidi, di creare un collegio di studiosi di diverse culture (Cina, India...) e di far rivivere il latino. Presentò un programma di osservazioni astronomiche e chiese il miglioramento dei telescopi.

Presentò anche un programma di esperimenti sugli animali, sulla rigenerazione degli organi e sulla riproduzione, con i serragli dei principi dove sarebbe stato permesso l’accoppiamento di esemplari di specie diverse, che avrebbero potuto generare “intere specie che la Natura non ha ancora prodotto”.20 Maupertuis non era soddisfatto dello stato della storia naturale. “Tutti i trattati sugli animali che abbiamo, anche i più metodici, formano solo immagini piacevoli alla vista. Per fare della Storia Naturale una vera scienza, sarebbe necessario applicarsi a ricerche che ci permettano di conoscere non la figura particolare di tali o tali animali, ma i processi generali della Natura nella loro produzione e conservazione”.21 Si tratta di una velata critica a Buffon, che Maupertuis invece apprezza quando menziona le sue osservazioni microscopiche realizzate con Needham; incidentalmente, auspica un miglioramento dei microscopi. Il suo elogio di Buffon è sincero o è solo cortesia o diplomazia accademica? Per noi non ha alcuna importanza.

Finora, nulla di sorprendente o sconvolgente. Le cose cambiano quando si tratta di uomini. Maupertuis propone esperimenti su individui vivi, criminali condannati alla tortura, preceduti, se possibile, da esperimenti su cadaveri e animali. In particolare, si tratta di studiare “l’unione dell’anima e del corpo [...] nel cervello di un uomo vivente [...]. Un uomo, dice Maupertuis, è nulla rispetto alla specie umana; un criminale è ancora meno di nulla”.22 Riprende questa idea in relazione agli “esperimenti metafisici”, in particolare sul sonno e sui nervi, da effettuare “su uomini condannati a una morte dolorosa e certa per i quali sarebbero una sorta di grazia”.23 I bambini non escono indenni da questi esperimenti; isolati fin dalla nascita da qualsiasi scambio verbale con gli adulti, potrebbero servire a svelare l’origine e l’acquisizione del linguaggio.

L’opuscolo di Maupertuis, che abbiamo appena riassunto, illustra, secondo Blumenberg, il trionfo di una “curiosità teorica” senza limiti. Accusata per secoli di essere un peccato mortale, alla fine di questo lungo processo non solo è stata scagionata, ma anche nobilitata ed emancipata da ogni tutela. Lo prova ciò che Maupertuis dice a proposito degli esperimenti sugli esseri umani, da cui si desume che egli è disposto, per far progredire le scienze, ad abbandonare ogni minima compassione e a ignorare i comandamenti della religione e della morale. In un simile contesto, i divieti che Maupertuis vuole imporre per impedire le ricerche sulla pietra filosofale, sulla quadratura del cerchio e sul moto perpetuo, che fanno solo perdere tempo, sono irrisori per Blumenberg. Se tutto ciò che è proibito si limita a questo, allora tutto è permesso.24

Gli esperimenti sugli esseri umani proposti da Maupertuis sono ovviamente inaccettabili per noi; lo erano già all’epoca. Tuttavia, pianificare esperimenti contrari alle norme etiche non significa essere guidati da una curiosità sfrenata. Maupertuis è molto chiaro su questo punto, affermando fin dall’inizio di voler “fissare gli occhi” del suo augusto corrispondente solo su “alcune ricerche utili al genere umano, curiose per gli scienziati, e nelle quali lo stato attuale della scienza sembra porci nella condizione di avere successo”.25 Questi tre criteri – utilità “per l’umanità”, produttività cognitiva, cioè la capacità di contribuire alla soluzione dei problemi che si presentano, e fattibilità – limitano quindi fortemente l’elenco dei progetti possibili. E non sono gli unici. Nel discorso di Maupertuis è implicito un quadro disciplinare che esclude, senza nemmeno bisogno di dirlo, le “scienze chimeriche” e richiede che la conoscenza, per essere riconosciuta come scientifica, sia metodica, che miri a far luce sui “processi generali della natura” e che si svolga attraverso strumenti di osservazione e misurazione. Con lui siamo nel mondo della scienza, agli antipodi di una curiosità sfrenata.

7.

Seguendo Bayle, abbiamo collegato la memoria di Aldrovandi alla problematica della curiosità. Il primo tema è stato abbandonato dopo Buffon, perché il ricordo di Aldrovandi non sembra essere più tardi presente nella storia del pensiero fino alla sua breve apparizione ne Le parole e le cose di Michel Foucault.26 Per quanto riguarda il secondo tema, lo concludiamo, in omaggio polemico a Blumenberg, con Maupertuis, perché con lui la curiosità acquista il volto che conserva ancora oggi. Non è più il desiderio di sapere tutto, che guarda in tutte le direzioni e raccoglie ciò che ritiene essere i fatti affidandosi ad autorità riconosciute e ai dati dell’esperienza diretta. Non è nemmeno il desiderio di accumulare conoscenze esaminate criticamente, ma che possono essere solo giustapposte per mancanza di principi che impongano un’organizzazione complessiva, che si tratti della storia dell’uomo o della natura. È un desiderio di sapere che viene inquadrato, contenuto e incanalato dalla comunità di studiosi dotati di un apparato concettuale specifico per ogni disciplina e di strumenti adeguati ai rispettivi obiettivi, e dalle istituzioni che definiscono le domande riconosciute come legittime e gli approcci che dovrebbero fornire risposte valide. È vero che, così come ci viene presentato, questo desiderio di sapere non tiene conto di considerazioni etiche. Ma questa non è un’idiosincrasia di Maupertuis. È, ahimè, l’inguaribile tentazione di ignorare tali considerazioni – una tentazione propria di una scienza trasgressiva per sua natura, nel bene e nel male – che il resto della storia si sarebbe incaricata d’illustrare drammaticamente.


1 Pierre Bayle, Dictionnaire historique et critique, vol. I, (Amsterdam et alii: Chez P. Brunel et alii, 5e ed., 1740), 150.

2 Cfr. Giuseppe Montalenti, “Aldrovandi, Ulisse”, Dizionario biografico degli Italiani, 2 (1960) https://www.treccani.it/enciclopedia/ulisse-aldrovandi_%28Dizionario-Biografico%29/.

3 Pierre Bayle, Dictionnaire historique et critique, vol. III, (Amsterdam et alii: Chez P. Brunel et alii, 4e ed., 1730), 638–639.

4 Per un punto di vista filologico limitato all’antichità: André Labhardt, “Curiositas: notes sur l’histoire d’un mot et d’une notion”, Museum Helveticum 17, n. 4 (1960): 206–224; Robert Joly, “Curiositas”, L’antiquité classique 30, fasc. 1 (1961): 33–44; Nathaël Istasse, “Pour une contribution à l’étude du lexique latin de la curiosité: la curiosité intellectuelle dans l’Antiquité”, Camenae 15 (2013): 1–49, https://orfeo.belnet.be/handle/internal/4666. E, per un punto di vista filosofico e generale: Hans Blumenberg, La légitimité des Temps modernes (1966), trad. di Marc Sagnol et alii (Paris: Gallimard, 1999) basato sulla seconda edizione del 1988, 255 ss. (“La curiosità teorica alla prova”). Per una prospettiva teologica: Heiko Augustinus Oberman, Contra vanam curiositatem. Ein Kapitel der Theologie zwischen Seelenwinkel und Weltall (Zurich: Theologischer Verlag, 1974). Anche il nostro “Curiosité et science moderne”, in Nouvelles curiosités. New curiosities, ed. N. Gomez-Passamar, (Digne: Musée Gassendi, 2003), 5–26.

5 Oberman, Contra vanam curiositatem, 23 ss.

6 Krysztof Pomian, “La culture de la curiosité” (1982), ristampato in Collectionneurs, amateurs et curieux. Paris-Venise, XVIe -XVIIIe siècle (Paris: Gallimard, 1987), 61–80 (in particolare p. 75 ss.); Blumenberg, La légitimité des Temps modernes, 372 ss.; Oberman, Contra vanam curiositatem, 29 ss.

7 Oberman, Contra vanam curiositatem, 33 ss. (su Jean Gerson); André Godin, “Pia/impia curiositas”, in La curiosité à la Renaissance, Actes du colloque (Paris: S.E.D.E.S., 1986), 25–36 (su Erasmo).

8 Oberman, Contra vanam curiositatem, 39 ss. (su Lutero); Marc Vial, “La curiosité, anti-modèle de la théologie: Calvin et Gerson”, Bulletin de la Société de l’Histoire du Protestantisme Français 155 (2009): 29–40.

9 Paola Zambelli, “Astrologi allucinati. Stars and the End of the World in Luther’s Time (Berlin-New York: Walter de Gruyter, 1986).

10 Tommaso Duranti, “Tommaso da Pizzano”, Dizionario biografico degli Italiani, vol. 96 (2019); Charles Jourdain, Nicolas Oresme et les astrologues à la cour de Charles V (1875) (Paris: Hachette BNF, 2016).

11 Due classici: Daniel P. Walker, Spiritual and Demonic Magic from Ficino to Campanella (1958) (University Park (PA): The Pennsylvania State University Press, 2000); Frances A. Yates, Giordano Bruno and the Hermetic Tradition (1964) (Chicago (IL): University of Chicago Press, 1991). E inoltre: Paola Zambelli, Magia bianca, magia nera nel Rinascimento (Ravenna: Longo, 2004); Ead., Astrology and Magic from the Medieval Latin and Islamic World to Renaissance Europe. Theories and Approaches (Aldershot: Ashgate [Collected Studies Series CS 997], 2012).

12 Pierre-Louis Moreau de Maupertuis, “Venus physique”, in Les Œuvres (Dresde: Chez George Conrad Walther, 1752), 228.

13 Auguste Viatte, Les sources occultes du romantisme. Illuminisme. Théosophie (1770-1820) (Paris: Champion, 1928, 2 voll.; Genève: Slatkine reprints, 2009).

14 Pomian, “La culture de la curiosité”.

15 Benedetto Bravo, “Critice in the Sixteenth and Seventeenth Century and the Rise of the Notion of Historical Criticism”, in History of Scholarship. A Selection of Pages from the Seminar on the History of Scholarship Held Annually at the Warburg Institute, a cura di Christopher R. Ligota e Jean-Louis Quantin (Oxford: Oxford University Press, 2006), 135–195.

16 Georges-Louis Leclerc, conte di Buffon, Louis Jean-Marie Daubenton, Histoire naturelle, générale et particulière, avec la description du Cabinet du Roy, vol. I, (Paris: Ed. de l’Imprimerie Royale, 1749), 26 ss.

17 Chevalier de Jaucourt, “Curiosité”, in Encyclopédie, ou dictionnaire raisonné des sciences, des arts et des métiers, tome IV (Paris: Chez Briasson et alii, 1751), 577–578.

18 Pierre-Louis Moreau de Maupertuis, Lettre sur le progrès des sciences, par Monsieur de Maupertuis, (s.l.: 1752), https://books.google.it/books?id=btgdYv74ua0C&printsec=frontcover&source=gbs_ge_summary_r&cad=0#v=onepage&q&f=false.

19 Blumenberg, La légitimité des Temps modernes, 470 ss.

20 Maupertuis, Lettre, 106.

21 Ivi, 100–101.

22 Ivi, 83–84.

23 Ivi, 115.

24 Blumenberg, La légitimité des Temps modernes, 473.

25 Maupertuis, Lettre, 3.

26 Michel Foucault, Les mots et les choses. Une archéologie des sciences humaines (Paris: Gallimard, 1966), 54–55.