Paula S. De Vos, «Compound Remedies. Galenic Pharmacy from the Ancient Mediterranean to New Spain», Pittsburgh: University of Pittsburgh Press, 2021, 404 pp. ISBN: 9780822946496

Partendo dall’inventario di rimedi, strumenti e libri della farmacia di Jacinto de Herrera y Campos a Città del Messico, risalente al 1775, Paula S. De Vos si propone di ripercorrere la storia della farmacologia galenica dalle sue origini nell’Antica Grecia fino al XVIII secolo, non senza accenni agli ulteriori sviluppi della farmacologia, che sembrano puntare anche ad una rinascita della tradizione galenica. Per fare ciò, l’autrice si appoggia su di una significativa quantità di testi, manoscritti o a stampa, redatti in lingue diverse (soprattutto greco, arabo, latino e spagnolo) e dai contenuti ben diversificati (inventari, prescrizioni e trattati). Questa scelta rende il volume uno strumento prezioso per chiunque intraprenda uno studio della storia della farmacologia.

Il saggio si apre con una stimolante introduzione (pp. 3-18) in cui De Vos, oltre a spiegare i motivi della sua ricerca e ad illustrare, per sommi capi, il contenuto del volume, invita il lettore a riflettere sulle dicotomie (Oriente/Occidente, antico-primitivo/moderno, europeo/esotico) su cui è stata costruita la tradizione scientifica e medica occidentale e a mettere in questione tali assunti. Seguono cinque capitoli corredati di sei appendici (le prime quattro stampate nel volume, le ultime due disponibili online all’indirizzo https://upittpress.org/books/9780822967255/), le note al testo (pp. 247-322), una ricca bibliografia (pp. 323-374) ed un indice dei principali concetti, sostanze e personaggi evocati nel corso della trattazione (pp. 375-385). Le prime quattro appendici (pp. 223-246) comprendono rispettivamente: 1) un elenco dei documenti contenenti prescrizioni e inventari, conservati all’Archivo General de la Nación a Città del Messico; 2) una lista dei testi farmacologici presenti negli inventari e degli autori che più spesso vi sono citati; 3) informazioni relative al numero di edizioni, commentari e annotazioni del/al testo dello Pseudo-Mesuè realizzati tra XVI e XVIII secolo; 4) una traduzione abbreviata dell’inventario della farmacia Herrera. Le ultime due appendici, invece, contengono: 5) un elenco dei semplici contenuti nelle prescrizioni e negli inventari messicani e nei testi farmacologici antichi, medievali e moderni consultati; 6) una presentazione dei 110 semplici più ricorrenti nella farmacologia Nahua (popolo indigeno dell’America centrale). Il lettore potrà anche apprezzare una tavola cronologica, alcune mappe del Mediterraneo greco, romano e arabo e dell’Impero spagnolo, oltre a numerose tabelle riepilogative ed immagini.

Il primo capitolo – Simples and Their Powers in Galenic Pharmacy (pp. 19-67) – ruota intorno ai semplici: se Galeno (II sec. d.C.) definisce il concetto di “semplice”, spiegandone il funzionamento e come individuarne le facoltà, una descrizione dei semplici in uso nel mondo greco-romano si ritrova già nel De materia medica di Dioscoride (I sec. d.C.): si tratta di più di un migliaio di sostanze di origine vegetale, minerale e animale, originarie sia del bacino mediterraneo sia, in minor misura, dell’Asia e dell’Africa subsahariana, il cui numero aumenta dapprima in seguito all’espansione islamica, poi con la scoperta del Nuovo Mondo. Nonostante ciò, il 66% dei semplici presenti negli inventari e nelle prescrizioni provenienti dal Vicereame della Nuova Spagna corrisponde a quelli descritti da Dioscoride. Dell’insieme di queste sostanze De Vos fornisce una descrizione, un’identificazione e informazioni sulle rispettive provenienze e facoltà.

Nel secondo capitolo – Election and Correction: Optimizing the Powers of Simples (pp. 68-100) –, dopo aver mostrato in che modo gli autori arabi e latini cercano di superare le lacune e le incoerenze riscontrabili nella teoria farmacologica di Galeno, De Vos si concentra su quelle che lo Pseudo-Mesuè (X sec. d.C.) ed i suoi successori considerano le due operazioni necessarie a massimizzare le facoltà dei semplici: la selezione e la manipolazione. La selezione consiste nel raccogliere, disseccare e conservare le sostanze migliori nei luoghi e nei momenti più opportuni. La manipolazione, invece, prevede di trattare le suddette sostanze con degli strumenti (forni, griglie, mortai, pestelli, etc.) e delle tecniche (triturazione, lavaggio, infusione e cottura) ben precisi, che consentono di potenziarne o ridurne le proprietà prima di usarle da sole o in combinazione con altre sostanze. Di tutte queste fasi l’autrice offre una descrizione molto dettagliata.

Il terzo capitolo – Mixtion: Compounding Medicines in Galenic Pharmacy (pp. 101-148) – tratta dell’ultima fase del lavoro del farmacista e cioè dell’elaborazione dei rimedi composti a partire da due o più semplici. Anche in questo caso, De Vos mostra come i difetti delle teorie galeniche sul funzionamento dei rimedi composti vengano affrontati nel corso dei secoli seguenti e come si passi da una classificazione di questi rimedi in base alla parte del corpo curata, al tipo di azione o al metodo di preparazione, a formulari in cui i rimedi composti vengono organizzati esclusivamente in base ai metodi di preparazione. Il modello di riferimento è il Grabadin dello Pseudo-Mesuè: egli distingue le seguenti categorie di rimedi composti, che saranno poi alla base dei formulari di età moderna (le ritroviamo anche negli inventari e nelle prescrizioni della Nuova Spagna): decotti, infusi, polveri, conserve, sciroppi, lecca-lecca, elettuari, pastiglie, pillole, olii, cerotti, pomate. Di ogni tipo di rimedio l’autrice precisa la consistenza, le modalità di preparazione e di conservazione e la durata.

Nel quarto capitolo – Galenic Pharmacy and the Materia Medica of the Nahuas (pp. 149-182) – De Vos rievoca i vari progetti di esplorazione organizzati nel Nuovo Mondo a partire dal XVI secolo, che portano, tra l’altro, alla scoperta di migliaia di nuovi semplici, e ci spiega in che modo la farmacologia galenica cambia quando entra in contatto con la materia medica americana e le pratiche mediche indigene. L’autrice presenta in seguito i 110 rimedi che ricorrono con maggiore frequenza nelle quattro fonti principali di medicina Nahua per mostrare che solo pochi di essi si ritrovano nelle farmacie della Nuova Spagna o entrano a far parte della tradizione farmacologica galenica (questo accade sia per il ritardo nella conoscenza in Europa di queste sostanze sia per la sfiducia che si nutriva a loro riguardo).

Il punto di partenza del quinto capitolo – The Development of Alchemical Pharmacy and the Chemico-Galenic Compromise (pp. 183-215) – è il fatto che i libri, i rimedi e gli strumenti inclusi nell’inventario della farmacia Herrera fanno riferimento non solo alla tradizione farmacologica galenica, ma anche a quella alchemica. Dopo aver ripercorso le prime fasi della storia dell’alchimia, De Vos si sofferma sulla nascita della farmacologia alchemica durante il Medioevo latino, sui rimedi che venivano preparati (acque medicinali, distillati, sali, tinture, essenze ed estratti, di cui l’autrice spiega dettagliatamente la fabbricazione attraverso le tre principali tecniche impiegate: distillazione, estrazione con solvente e calcinazione) e sulla fusione, a partire dal XVII secolo, delle due tradizioni farmacologiche in quello che Alan Debus ha definito il compromesso chimico-galenico, che le farmacie della Nuova Spagna rispecchiano chiaramente. Si tratta dell’ultima grande trasformazione della farmacologia galenica che sarà, poi, in gran parte soppiantata dalla produzione di droghe sintetiche.

Il volume di De Vos ci permette di intraprendere un viaggio appassionante nel tempo e nello spazio e di guardare alla farmacologia galenica sulla longue durée non come ad una costruzione granitica, ma come ad una struttura porosa, capace di accogliere i nuovi stimoli e di resistere, grazie ad essi, al tempus edax rerum.

Caterina Manco

Dipartimento di Filosofia e Comunicazione, Università di Bologna

caterina.manco2@unibo.it