Ulisse Aldrovandi tra passato e futuro: le due mostre bolognesi per il cinquecentenario

“Lascio questo mio sì caro tesoro, & fatiche al Reggimento di Bologna”:1 così scriveva nel proprio testamento il grande naturalista Ulisse Aldrovandi (1522-1605), affidando al Senato cittadino, e quindi alla fruizione pubblica in perpetuo, la preziosa collezione di naturalia, artificialia e manoscritti, pegno della sua eredità scientifica e culturale. In occasione dei ٥٠٠ anni dalla sua nascita, Bologna ha nuovamente reso grazie all’illustre studioso, omaggiandolo con l’apertura di due importanti mostre, nate dalle iniziative del Sistema Museale di Ateneo (SMA) e di Fondazione Golinelli. Due progetti apparentemente diversi, che pure trovano un prezioso punto di incontro: entrambi indagano lo sviluppo della conoscenza umana, nel delicato momento di rottura di “faglie” imprescindibili nel pensiero scientifico, tecnologico e umanistico.

La mostra L’altro Rinascimento. Ulisse Aldrovandi e le meraviglie del mondo, ideata dal Sistema Museale di Ateneo in collaborazione con la Biblioteca Universitaria di Bologna, accompagna il visitatore nelle sale storiche del Museo di Palazzo Poggi, alla scoperta del cammino intrapreso da Aldrovandi e da molti suoi colleghi nel risveglio dello studio della natura.2 Il titolo della mostra è decisamente appropriato: nel XVI secolo, a fianco delle più celebri riscoperte nel campo dell’arte e dell’architettura, anche le scienze naturali ebbero un loro momento di rivalsa, stimolate dalle novità giunte con la scoperta delle Americhe.

Fig. 1. Allestimento del “Museo Aldrovandiano”
di Palazzo Poggi in occasione della mostra
(foto dell’autore).

L’iniziativa, curata da Giovanni Carrada con la consulenza scientifica di Giuseppe Olmi e Davide Domenici, non poteva che trovare sede nel Palazzo Poggi di via Zamboni. L’edificio, sede del Rettorato universitario e dello stesso SMA, ospita infatti la più omogenea raccolta del patrimonio appartenuto al celebre naturalista. L’allestimento permanente, in occasione della mostra, è stato integrato con numerosi altri manufatti aldrovandiani e non, provenienti da altre sedi universitarie (come ad esempio il preziosissimo Codice Cospi), assieme ad oggetti e opere d’arte di altri musei italiani. L’obiettivo, riuscito, è stato quello di valorizzare la collezione dello studioso. Si è realizzato, in questo modo, un percorso che ha reso Palazzo Poggi ancora più aldrovandiano: si è resa ancor meglio l’idea della complessità e vastità dei manufatti che un tempo appartenevano al grande naturalista, la cui collezione non si è mai avuta nella sua forma originale, cioè quella sorta di wunderkammern allestita nelle stanze della sua abitazione. La storia dello sviluppo delle scienze è ben corredata da apparati didascalici e pannelli divulgativi, come pure da installazioni digitali audio e video, suddivisi per tematiche nelle varie sale occupate dalla mostra (Fig. 1). Il percorso parte dal punto di rottura scatenante: il cortocircuito tra fonti antiche e scoperte dal Nuovo mondo. Le altre stanze passano poi ad illustrare la formazione dei vari campi di studio della natura (fra tutti la botanica, la zoologia, l’anatomia umana), fino alle scienze del XIX secolo.

Ulisse Aldrovandi ha avuto la forza e l’intuizione di impiegare l’arte per fissare e divulgare le proprie conoscenze, come pure per immaginare il futuro che doveva ancora avanzare. Ci riuscì grazie alla creazione di un moderno immaginario visivo della natura, realizzato tramite l’opera di incisione e stampa di migliaia di elementi conosciuti e immaginati del mondo naturale (Fig. 2). Il suo lavoro ha portato ordine nella costruzione, raccolta e divulgazione delle conoscenze, aprendo di fatto quella faglia che ha portato alle nuove scienze e che da Bologna si è aperta al mondo intero.

Fig. 2. Tavole incisorie e matrici xilografiche del XVI secolo, impiegate per l’illustrazione dei trattati di Aldrovandi (foto dell’autore).

Proprio sul confine tracciato dalle nuove esplorazioni umane, che hanno portato alla seconda rivoluzione industriale e all’avvento delle nuove tecnologie, si conclude il percorso narrativo di Palazzo Poggi e si apre quello del Centro Arti e Scienze della Fondazione Golinelli. La mostra Oltre il tempo, oltre lo spazio. Il sogno di Ulisse Aldrovandi, nata in collaborazione col Sistema Museale di Ateneo e curata da Andrea Zanotti, Roberto Balzani, Antonio Danieli e Luca Ciancabilla, inquadra la riflessione sulla figura di Aldrovandi in un’ottica nuova, che dal passato si proietta sul nostro presente e sul nostro futuro.3 Il padre nobile delle scienze naturali viene infatti riletto come un uomo universale, fuori da ogni tempo, che esplora, cataloga ed impiega la propria conoscenza per immaginare un futuro che deve ancora arrivare. Un tipo di esperienza che può e deve essere proposta anche ai nostri giorni. Il recente progresso tecnologico ha infatti portato l’uomo al di fuori della natura, fuori da confini ormai troppo piccoli per poter essere misurati, calcolati e conosciuti tramite la macchina: dalle ultime sponde terrestri salpa idealmente il nuovo Aldrovandi, il nuovo Ulisse omerico, pronto a naufragare nel mare del cosmo. Le intelligenze artificiali e le esplorazioni spaziali hanno portato con loro nuovi reperti e nuove meraviglie, mettendo ancora una volta a nudo tutte le difficoltà dell’ignoto. Dai nostri dilemmi sui limiti del finito, sull’abitabilità dei pianeti, sull’incombenza del dominio umano sulla natura e quella del dominio artificiale sull’uomo: da qui deve partire un nuovo approccio olistico alla cultura, in cui scienza e arte si illuminano e completano a vicenda, sanando quella lacerazione ormai profonda avvenuta tra osservazione scientifica e immaginazione. In questo, l’esperienza aldrovandiana converge con la missione di Fondazione Golinelli: alla base di entrambe vi è l’idea che artisti e ricercatori debbano percorrere la stessa strada, ispirandosi a vicenda, alla scoperta dei problemi della natura e dei bisogni della nostra società. Poiché l’arte deve illuminare il destino della scienza, l’artista deve intendere il proprio cammino come il lavoro di un ricercatore. E la stessa esperienza della visita viene resa come un affascinante percorso di ricerca.

Fig. 3. Allestimento della mostra presso il Centro Arti e Scienze della Fondazione Golinelli (foto dell’autore).

L’allestimento proposto dall’architetto Simone Gheduzzi e dai suoi collaboratori ne è la prova. Lo spazio della mostra è unitario e unificante, privo di barriere divisorie e vissuto come uno spazio da attraversare. Vi sono esposti minerali, resti animali, manufatti e opere d’arte, provenienti dai musei universitari e da collezioni private, progetti dell’Agenzia Spaziale Europea ed esperienze sensoriali e virtuali: questi oggetti, distanti fra loro anche milioni di anni, si materializzano come presenze nel buio attorno ad una costellazione centrale, da cui tutto fiorisce e attorno cui tutto viene messo in connessione (Fig. 3). Obiettivo dell’allestimento è quello di dare forma al tempo. Un tempo visibile, tangibile, odorabile, esplorabile, che non viaggia più su una linea retta ma è scandito e reinterpretato nello spazio attraverso un nuovo linguaggio. Un sistema di glifi non codificati suggerisce un percorso di visita svolto in quattro settori, quattro tappe della conoscenza umana, in cui vengono messe in gioco nuove relazioni tra gruppi di oggetti apparentemente molto distanti sul piano spaziale e temporale. L’apparato didascalico, coerentemente, viene ridotto al minimo. La mostra evita di presentare sé stessa tramite pannelli e targhette esplicative, lasciando al visitatore un personale compito di decodifica. All’ingresso del percorso vi è la possibilità di richiedere una mappa, cartacea o virtuale che si voglia, strumento di navigazione accessorio in questo viaggio siderale. L’esperienza proposta è dunque identica a quella vissuta da Aldrovandi: in bilico sulle proprie certezze, il visitatore è posto di fronte alla sfida dell’ignoto e gli viene chiesto di dare risposta a quesiti magari impossibili.

In questo universo ipertestuale, nel riscoprire il faro dell’immaginazione vi è appunto una costante artistica: quella di Nicola Samorì (Forlì, 1977). La mano dell’abile pittore e scultore pone freno alla nostra corsa contro il tempo. Egli scivola in una convergenza che scombina categorie, periodizzazioni, forme e convinzioni e adagia la sua arte in un terreno di equivoco, laddove tutto è in potenza e ugualmente tutto è già accaduto o esistito. Nella possibile confusione tra un’opera di Samorì e un prodotto di natura o di macchina, proprio in quel punto, si avverte infatti il sussurro di un “segreto indistinto temporale”. Nell’apparente richiamo ai modelli tradizionali, l’artista esplora la forma della natura nelle sue sfaccettature più terribili e sublimi; nel senso di rottura e distruzione egli rivela e riscopre la meraviglia, risparmiata dalla mano umana e sopravvissuta alla volontà di classificazione, come nel caso del suo monumentale Campo dei miracoli. E se nei corpi scultorei delle sue “sfingi” (eredi delle “chimere” di Aldrovandi) Samorì incarna la volontà di riprendere contatto con un senso di natura, il messaggio più ambizioso per il futuro è affidato alla sua Vierge noire (Fig. 4): una reliquia antica che al salto nell’ignoto dell’universo affida il proprio fiducioso abbandono.

Fig. 4. Nicola Samorì, Vierge noire, 2014, resina e tecnica mista, AmC Collezione Coppola. Opera in dialogo
con l’allestimento di Simone Gheduzzi (Buco bianco)
(foto dell’autore).

Gianluca Sposato

Scuola di Specializzazione in Beni storico-artistici, Università di Bologna

gianluca.sposato2@studio.unibo.it


1 Giovanni Fantuzzi, Memorie della vita di Ulisse Aldrovandi, medico e filosofo bolognese (Bologna: Dalla Volpe, 1774), p. 76.

2 Giovanni Carrada (ed.), L’altro Rinascimento. Ulisse Aldrovandi e le meraviglie del mondo (Bologna: BUP, 2022).

3 Roberto Balzani, Luca Ciancabilla, Antonio Danieli, Andrea Zanotti (ed.), Oltre lo spazio oltre il tempo. Il sogno di Ulisse Aldrovandi (Bologna: BUP, 2023).